QUASAR PER COMPRENDERE LA FISICA FONDAMENTALE

Dal macrocosmo al microcosmo

L'analisi delle luce di alcuni tra i più lontani quasar mai osservati dal telescopio Hubble ha permesso a un team tutto italiano di ricercatori di gettare nuova luce tra le teorie che cercano di unificare la Relatività Generale con la Meccanica quantistica. Al lavoro ha partecipato Massimo della Valle (INAF OA-Capodimonte).

     02/09/2011

Immagine del telescopio spaziale Hubble del quasar SDSS J015339.60-001.104,8. Nel riquadro centrale è visibile la struttura del quasar ricostruita dal software realizzato dal gruppo di ricerca, in quello a destra i 'residui' della zona centrale dell'oggetto celeste.

Teoria della Relatività Generale e Meccanica quantistica. Sono i due fondamentali pilastri su cui oggi si fonda la nostra comprensione dell’Universo: dal macrocosmo, popolato da stelle, buchi neri, galassie con la prima, al microcosmo, quello degli atomi, dei quark e delle particelle subnucleari con la seconda. Ciascuna delle due teorie ha ricevuto finora importanti conferme sperimentali ed entrambe sono state in grado di predire fenomeni poi effettivamente osservati in natura. Tuttavia queste due ‘visioni’ dell’universo ed i loro concetti fondamentali quali lo spazio e il tempo, sono ancora lontani dall’essere compresi ed unificati in un’unica teoria coerente, in gergo denominata “del Tutto”. Con grande cruccio ed altrettanto accanimento dei fisici teorici di tutto il mondo, che da decenni stanno cercando di trovare una risposta coerente e soprattutto convincente a questo problema.

Sono così proliferate, soprattutto negli ultimi anni, diverse teorie sull’unificazione delle quattro forze della natura (quella elettromagnetica, quelle nucleari forte e debole e quella gravitazionale) che presentano differenti scenari sulla soglia dell’energia raggiunta la quale dovrebbe verificarsi questo effetto. Per decidere quale tra esse sia la migliore, c’è bisogno di verifiche sperimentali. Oggi il nostro migliore strumento sulla Terra per condurre queste prove è il Large Hadron Collider, il più grande acceleratore di particelle che si trova al CERN di Ginevra, in Svizzera. Ma potrebbe non essere sufficiente. E allora ecco l’idea di un gruppo di fisici e astrofisici italiani, guidati da Fabrizio Tamburini dell’Università di Padova: se sul nostro pianeta non riusciamo ancora a costruire esperimenti in grado di darci indicazioni su queste differenti teorie, perché non andare a indagare nel cosmo per verificare se alcuni effetti da esse predetti si manifestano davvero? Uno di questi produrrebbe infatti la degradazione delle immagini di sorgenti celesti lontane. Un fenomeno prodotto dalle fluttuazioni dello spazio-tempo in cui sono immersi e interagiscono tutti gli oggetti che popolano l’Universo.  Queste fluttuazioni agiscono sui segnali luminosi proprio come fa la nostra atmosfera con la luce delle stelle: spazio e tempo sono come una schiuma caotica fluttuante di istanti di tempo ed intervalli spaziali. Il gruppo ha quindi cercato le tracce di questi possibili effetti nella luce che ci arriva dai quasar più lontani mai osservati dal telescopio spaziale Hubble. Giungendo alla conclusione che le predizioni di due modelli teorici, quello detto “olografico” e quello di “random walk” di “schiuma spazio-tempo” non sono state confermate dalle osservazioni. Avere eliminato questi modelli riduce il numero delle teorie fisiche di unificazione ancora possibili.

“Il nostro lavoro presenta altri due aspetti interessanti” commenta Massimo Della Valle, direttore dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Capodimonte, che insieme a Roberto Gilmozzi, dell’ESO e Carmine Cuofano, dell’Università di Ferrara ha partecipato a questo studio, recentemente pubblicato sulla rivista Astronomy and Astrophysics. “Il primo è di carattere metodologico: persegue l’idea di studiare le proprietà del ‘microcosmo quantistico’ attraverso osservazioni del ‘macrocosmo cosmologico’.  Il secondo riguarda l’estensione del principio cosmologico. È ben noto infatti che  l’universo è omogeneo e isotropo se osservato su di una scala opportunamente grande. Una interessante implicazione del nostro lavoro è che questa proprietà, ora, include anche  le proprietà quantistiche dello spazio-tempo”.

Per saperne di più:

Ascolta l’intervista di Media INAF a Fabrizio Tamburini