PROVENGONO DALLA NUBE DI OORT

L’ingorgo delle comete giganti

L’Università del Maryland avverte: le comete di lungo periodo sono molto più numerose di quanto ci si aspettasse fino ad oggi. I dati della sonda Wise della Nasa aprono nuovi scenari su un fenomeno di cui sappiamo ancora molto poco

     28/07/2017

Le immagini della sonda Wise filtrano agli infrarossi la corona e individuando il nucleo delle comete di lungo periodo. Crediti: Nasa / Jpl-Caltech

Komé in greco e coma in latino significano chioma, ecco perché le comete si chiamano così: sono astri… “chiomati”, ovvero dotati di grandi e vistose “acconciature” illuminate – e talvolta letteralmente spettinate e sconciate – dall’azione del Sole, al quale capita che si avvicinino fino a esserne risucchiate.

Per via del loro strano aspetto, questi corpi celesti sono stati oggetto di dibattito da sempre. Incredibilmente, per quasi duemila anni, ebbe la meglio la teoria aristotelica delle comete come fenomeni meteorologici prossimi alla Terra. Seneca, nelle sue Naturales Quaestiones, provò a scardinare quest’ingenua visione e ripropose la teoria che fossero corpi assimilabili ai pianeti che vagano per il Sistema solare, ma la sua teoria non fece breccia nel mondo “scientifico” del tempo.

Oggi, grazie a innumerevoli osservazioni protrattesi dal 1500 ai nostri giorni, sappiamo qualcosa in più, ovvero che le comete sono corpi celesti formati da ghiaccio e materiale roccioso che entrano periodicamente nel Sistema solare, e la cui origine è da ricercarsi nella nube di Oort: zona totalmente oscura nella quale vagano miliardi di comete che ogni tanto, per ragioni che non conosciamo, vengono sbalzate verso l’interno del Sistema solare.

Le orbite delle comete, per quanto bizzarre, eccentriche e lontane da noi, sono più o meno regolari. I tempi di tali orbite, tuttavia, variano tantissimo. Le comete, infatti, possono compiere un giro intorno al Sole in pochi anni terrestri ma anche in vari secoli o, per quel che ne possiamo sapere, migliaia o milioni di anni.

Nel primo caso si tratta di Jupiter Family Comets (Jfc), ovvero quel gruppo di comete di breve periodo che risente della gravità di Giove e in qualche modo ha relazioni temporali con il pianeta gigante. Molte infatti hanno la metà o la stessa temporalità dell’orbita gioviana: rispettivamente circa 6 o 12 anni. Nel secondo caso, se un ciclo completo supera i 200 anni, parliamo invece di comete di lungo periodo.

Nuovi risultati dai dati della sonda Wise della Nasa

Una ricerca dell’Università del Maryland condotta da James Bauer, utilizzando i dati della sonda Wise (Wide-field Infrared Survey Esplorer) della Nasa, ha fornito dettagli inediti relativi alle comete di lungo periodo. Wise è stata in grado di osservare ben 164 comete di cui 95 di breve periodo (famiglia delle comete gioviane) e 56 di lungo periodo. Le osservazioni sono state fatte nel 2010, durante la prima missione della sonda, prima che, nel 2013, fosse rinominata NeoWise e dedicata ai cosiddetti Neo, i Near Earth Objects.

Il risultato più eclatante di queste osservazioni è che le comete di lungo periodo – quelle di una certa rilevanza, ovvero da almeno un chilometro di diametro – potrebbero essere ben sette volte più numerose di quelle che lo stesso scopritore della nube, l’olandese Jan Oort, aveva ipotizzato nel 1950. In pratica si è visto che, nel giro di un anno (terrestre), le comete di lungo periodo che passano entro 1,5 Unità Astronomiche dal Sole (ossia 224 milioni di km, una volta e mezzo la distanza tra la Terra e il Sole) sono molto più numerose di quanto stimato in precedenza: in media sette, e non una come aveva predetto Oort.

Ma non è tutto, perché la tecnica di osservazione all’infrarosso ha consentito di “ripulire” l’accecante luminescenza della corona, composta di gas e polveri, ed osservare più facilmente il nucleo, stimandone in tal modo una misura precisa che ha confermato un altro dato interessante: le comete di lungo periodo sono grandi almeno il doppio di quelle della famiglia gioviana. La ragione è abbastanza semplice: più spesso si passa vicino al Sole, più l’acqua sublima (ovvero passa dallo stato ghiacciato a quello gassoso senza passare per la forma liquida) e più la superficie della cometa si consuma.

Una cometa, residuo di una molto più grande frantumatasi secoli fa, cade dritta dentro il sole nel 2016.
Crediti: Soho (Solar and Heliospheric Observatory) Nasa / Esa

Rischio d’impatti 

Infine, immancabile, c’è l’aspetto per noi più importante: la minaccia di un impatto.  Questi studi sono importantissimi per poter stimare la probabilità di impatti cometari con i pianeti del Sistema solare, Terra inclusa. Molti di voi ricorderanno, nel 1993, l’impatto della cometa Shoemaker – Levy 9 su Giove. Le cicatrici sul pianeta furono visibili e ampiamente fotografate.

I famosi “tempi astronomici”, ovvero intervalli di migliaia o milioni di anni, sommati agli immensi spazi vuoti che caratterizzano il Sistema solare, dovrebbero farci stare relativamente tranquilli. Tuttavia, sapere che in media sette bolidi chilometrici sfrecciano ogni anno a distanze simili a quella che c’è tra noi e il Sole non è tanto rassicurante. «Le comete viaggiano a velocità molto superiore a quella degli asteroidi, e alcune sono davvero enormi», conclude Amy Mainzer, coautrice dello studio in forze al Jet Propulsory Laboratory della Nasa. «Studi come questo potranno aiutarci a determinare il rischio rappresentato dalle comete di lungo periodo».

Per saperne di più:

  • Leggi su The Astronomical Journal l’articolo “Debiasing the NEOWISE Cryogenic Mission Comet Populations“, di James M. Bauer, Tommy Grav, Yanga R. Fernández, A. K. Mainzer, Emily A. Kramer, Joseph R. Masiero, Timothy Spahr, C. R. Nugent, Rachel A. Stevenson, Karen J. Meech, Roc M. Cutri, Carey M. Lisse, Russell Walker, John W. Dailey, Joshua Rosser, Phillip Krings, Kinjal Ruecker, Edward L. Wright e the NEOWISE Team

Guarda l’animazione della Nasa: