COLD CASE: COSÌ SI SCHIANTÒ SCHIAPARELLI

Morte su Marte a 540 km/h

Pubblicato oggi da Esa il rapporto, stilato dallo Schiaparelli Inquiry Board, con le conclusioni ufficiali sulla dinamica e le ragioni del fallito atterraggio dello scorso ottobre sul suolo marziano. Conclusioni che confermano quanto già trapelato: il computer di bordo “pensava” che il lander fosse già a destinazione, quando invece si trovava ancora a 3.7 km d’altitudine

     24/05/2017

Il luogo dell’impatto. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech/University of Arizona

Ricordate Schiaparelli, il piccolo lander carico di strumenti in buona parte italiani spiaccicatosi rovinosamente su Marte il 19 ottobre scorso? Nei giorni immediatamente successivi alla fatale collisione, mentre gli venivano affibbiati soprannomi scherzosi – ‘Schiantarelli’ su tutti – e diveniva tema di satira e fumetti irriverenti (com’era inevitabile per un evento balzato suo malgrado al centro dell’attenzione mediatica ancor più di quanto non si attendesse), grazie ai dati raccolti durante la discesa dall’orbiter Tgo e alle foto del luogo dell’impatto scattate da altre sonde in orbita attorno al Pianeta rosso cominciarono subito a fioccare ipotesi sulle ragioni all’origine dello schianto.

Ebbene, le prime anticipazioni, quelle che ipotizzavano una caduta libera da 3.7 km a causa di un’interpretazione non corretta dei dati dell’Inertial Measurement Unit (Imu) da parte del computer di bordo, risultano sostanzialmente confermate dal rapporto ufficiale prodotto dallo Schiaparelli Inquiry Board, da oggi disponibile online. A innescare la sequenza di azioni che portò alla perdita del lander, scrive la commissione d’inchiesta voluta dal direttore generale dell’Esa Johann-Dietrich Wörner, furono informazioni conflittuali ricevute dal computer di bordo.

Ecco dunque come sono andate le cose. Il paracadute si apre come da programma circa tre minuti dopo l’ingresso in atmosfera, ma qui il modulo prende a ruotare molto più rapidamente di quanto atteso (unexpected high rotation rates, riporta il sito dell’Agenzia spaziale europea). Questo conduce alla saturazione, ovvero al raggiungimento di valori oltre la soglia massima consentita, dell’unità di misura inerziale, l’Imu appunto, cui spetta anche il compito di misurare la velocità di rotazione del lander.

La saturazione, a sua volta, provoca un errore nella ricostruzione dell’assetto del lander da parte del software di guida, navigazione e controllo della sonda. Ed è proprio la combinazione fra i dati in arrivo dal radar di bordo con la stima errata dell’assetto a ingannare il computer, inducendolo a ritenere che il lander si trovi ormai al di sotto del livello del suolo.

Confuso dai dati incoerenti e immaginando che Schiaparelli sia già atterrato, il software invia dunque il comando di rilascio del paracadute e del guscio posteriore, ordina l’accensione dei retrorazzi per solo 3 secondi invece dei 30 previsti e dà l’ok all’attivazione del sistema onground, quello che dovrebbe entrare in azione ad atterraggio avvenuto. E infatti lo strumento scientifico Dreams, del quale è responsabile Francesca Esposito dell’Inaf – Osservatorio Astronomico di Capodimonte, perfettamente funzionante, entra subito in azione, facendo però appena in tempo a inviare un unico pacchetto di telemetria prima che il segnale vada perduto a causa dello schianto.

Il lander, in realtà, lungi dall’aver toccato il suolo, è infatti in caduta libera da quando si trovava a un’altitudine di circa 3,7 km, e l’impatto con Marte avviene a una velocità stimata attorno ai 540 km/h.

Un lavoro cruciale, questo svolto dallo Schiaparelli Inquiry Board, in vista della seconda parte della missione ExoMars, quella prevista per il 2020, quando a tentare l’approdo sul Pianeta rosso non sarà un dimostratore, com’era Schiaparelli, ma un vero e proprio rover. Rimane l’amarezza per una missione – questa di Schiaparelli, appunto – che, seppur principalmente dimostrativa, portava a bordo una suite di strumenti scientifici, la maggior parte dei quali made in Italy, tutti perfettamente funzionanti e che non attendevano altro che entrare in azione, come mostrato da quel primo e ultimo pacchetto di dati inviato.

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