L’OPINIONE DI STEVEN TINGAY

Green Bank corre da solo

Da struttura sotto il cappello protettivo dell’NRAO a facility indipendente. A guardare il bicchiere mezzo pieno, per lo storico osservatorio radioastronomico americano si apre una nuova epoca di sfide entusiasmanti. Ma all’origine della decisione c'è la necessità di recuperare fondi pubblici per impianti scientifici più moderni

     12/10/2016
L'antenna da 100 metri del Green Bank Telescope (GBT), inaugurato nel 2001. Crediti: AUI/NRAO/GBO

L’antenna da 100 metri del Green Bank Telescope (GBT), inaugurato nel 2001. Crediti: AUI/NRAO/GBO

Nuova vita per il Green Bank. Quello che dal 1956 ha rappresentato l’icona della radioastronomia statunitense, il mattone fondamentale del National Radio Astronomy Observatory (NRAO) americano, dall’8 ottobre scorso è una nuova facility astronomica e didattica passata in mano alla National Science Foundation (NSF). Tradotto: dovrà sostenersi con le proprie gambe. Gambe finanziarie. Una pubblica, sempre più precaria e in crisi, e una privata. Fatta di crowdfunding, outreach, gadget, education e quant’altro si possa immaginare ma, soprattutto, di servizi – non necessariamente scientifici – offerti dietro compenso.

Ecco così che la vecchia e gloriosa antenna da 42 metri, risalente agli anni Sessanta, si ricicla in parabola di ricezione per il download dei dati provenienti da RadioAstron, il radiotelescopio spaziale russo. E anche il tutt’altro che vecchio Green Bank Telescope (GBT) da 100 metri, entrato in funzione nel 2001, dovrà in qualche modo darsi da fare per conto terzi, per esempio tenendo d’occhio le pulsar in cerca di segni di onde gravitazionale per il North American Nanohertz Observatory for Gravitational Waves (NANOGrav).

Insomma, il lavoro non manca. Tutto bene dunque? Dipende. Se il comunicato ufficiale trasuda entusiasmo per la nuova avventura che sta per cominciare, ad ascoltare le voci raccolte sul campo – come ha fatto la settimana scorsa Wired – più che eccitazione sembra di cogliere una certa amarezza e preoccupazione per il futuro. Comprensibile, del resto, visto che gli antefatti che hanno condotto alla situazione attuale, riferiti due anni fa sulle pagine di Nature, comprendono l’urgenza, anche da parte dell’NSF, di svecchiare il parco strumenti: «Liberandosi dei vecchi telescopi», osservava Alexandra Witze nel 2014, «l’agenzia riuscirebbe a recuperare circa il 10 percento del suo budget di 233 milioni di dollari dedicato all’astronomia. Il che significherebbe più denaro per i contratti ai ricercatori. E, soprattutto, fondi recuperati per i telescopi del futuro, a partire dal Large Synoptic Survey Telescope».

Steven Tingay

Steven Tingay

«La rimozione del Green Bank Telescope (GBT) dal portfolio di facilities dell’NRAO è una vicenda interessante e controversa», commenta a Media INAF Steven Tingay, direttore dell’Istituto di Radioastronomia di Bologna e responsabile dell’Unità Scientifica per la radioastronomia dell’INAF. «Da una parte, non è un telescopio così vecchio, è produttivo e presenta alcune caratteristiche uniche. Si è sostenuto che l’attuale situazione scientifica porrebbe il GBT, nel 2017, al di fuori della decisione presa nel 2012. D’altra parte, quelli delle agenzie di finanziamento sono budget finiti, e non c’è dubbio circa il fatto che le nuove facilities richieste dagli astronomi siano costose. A meno che non ci sia un incremento radicale nei finanziamenti, è pressoché impossibile continuare a tenere in attività tutti gli impianti esistenti realizzandone al contempo di nuovi. Diventa così inevitabile dover prendere decisioni difficili».

«In generale, le organizzazioni cercano di risparmiare denaro agendo sui bilanci operativi, ma quando non c’è più margine per farlo», dice Tingay, «alcune facilities devono essere cedute. Nel caso del GBT, si stanno prendendo in considerazione modelli alternativi di finanziamento, con sovvenzionatori esterni e utenti che forniscono i finanziamenti necessari per intraprendere i progetti a cui sono interessati. Si viene così a creare una sorta di pubblico mercato per gli impianti di astronomia».

«Una situazione, questa, che non è limitata agli Stati Uniti», sottolinea Tingay. «In Australia, facilities presenti da tempo come Parkes e l’Australia Telescope Compact Array (ACTA) si ritrovano oggi sotto pressione a causa dello sviluppo del nuovo SKA Pathfinder australiano (ASKAP). L’agenzia che gestisce queste facilities in Australia, CSIRO, ha già adottato un approccio simile – seppur meno radicale – per il radiotelescopio Mopra, rivolgendosi agli utenti per ottenere fonti di finanziamento esterne. A dimostrazione del fatto che un simile approccio può avere successo (almeno a breve termine), un progetto Kickstarter ha ottenuto finanziamenti sostanziali per mappare con Mopra la nostra galassia».

«In effetti, la spinta da una parte a tenere in funzione le facilities già esistenti e, dall’altra, a svilupparne e costruirne di nuove è una tensione che si ritrova un po’ ovunque nel mondo. La mia opinione», spiega Tingay, «è che sia sano abbandonare una vecchia facility, a patto però che ve ne siano a disposizione di nuove – e migliori – per sostituirla. Questo, naturalmente, richiede pianificazione e finanziamenti stabili nel lungo periodo. Va anche detto che, se ci si trova ad abbandonare una facility improduttiva, significa che la si è abbandonata troppo tardi. Dobbiamo essere pronti ad abbandonarle quando sono ancora produttive. Una scelta che sarà sempre controversa. Tuttavia, non si può pensare di riuscire ad accontentare sempre tutti».

«A rendere ancor più difficili le cose», aggiunge Tingay, «c’è poi la rapidità delle innovazioni tecnologiche. A distanza di pochi anni è possibile riprogettare e costruire nuovi strumenti più potenti rispetto a quelli della generazione che li ha preceduti. I tempi scala dell’aggiornamento tecnologico sono oggi più brevi che in passato. La disponibilità di nuove tecnologie significa che ci sono molte più possibilità di nuovi sviluppi, rispetto al passato. E sempre più paesi stanno entrando in prima linea nella radioastronomia – basti pensare al recente completamento, in Cina, del più grande radiotelescopio al mondo, FAST».

«Questo vuol dire che le organizzazioni e i paesi coinvolti nella radioastronomia – e più in generale nell’astronomia – devono focalizzarsi maggiormente su una pianificazione science-driven», conclude Tingay, «così da essere certi di costruire gli strumenti giusti nel modo più efficiente e, soprattutto, con il giusto tempismo».