DI QUANDO SFIORAMMO L’ECATOMBE NUCLEARE

Guerre stellari

Siamo nel 1967, al culmine della Guerra fredda, quando una tempesta solare rischia d’innescare un conflitto militare disastroso fra le due superpotenze. La vicenda, ricostruita oggi su “Space Weather”, non è la sola in cui tensioni militari ed eventi astrofisici s’intrecciarono

     12/08/2016
Immagine in H-alpha del Sole il 23 maggio del 1967. La regione del brillamento è quella più luminosa nella parte superiore del disco. Crediti: National Solar Observatory historical archive

Immagine in H-alpha del Sole il 23 maggio del 1967. La regione del brillamento è quella più luminosa nella parte superiore del disco. Crediti: National Solar Observatory historical archive

A guardarsi indietro, sembra quasi incredibile che l’umanità sia riuscita a emergere dagli anni Sessanta. Certo i disastri non sono mancati, ma con la Guerra fredda che teneva la corda costantemente tesa come non mai poteva decisamente andare peggio. Sarebbe stato sufficiente un errore, una decisione impulsiva, per scatenare la catastrofe nucleare. L’evento più noto, quello in cui ci avventurammo più vicino al folle punto di non ritorno, è probabilmente la crisi del 1962 fra Stati Uniti e Unione Sovietica a seguito dell’episodio passato alla storia – e alla letteratura, grazie alla penna magistrale di James Ellroy – con il nome della costa cubana teatro delle operazioni, la Baia dei Porci. Il più noto, ma non il solo. E fra chissà quanti altri che costellarono quegli anni vissuti pericolosamente, in almeno due casi, più che la CIA, fu l’astrofisica a metterci lo zampino.

Uno, oggi celebre fra gli astrofisici delle alte energie, avvenne alle 14:19 UTC del 2 luglio 1967. Quando due dei satelliti della costellazione Vela, messi in orbita dagli Usa per controllare che l’Urss non stesse violando il Trattato sulla messa al bando parziale dei test nucleari sottoscritto nel 1963, registrarono un’improvvisa – brevissima e intensa – emissione di raggi gamma. Scartati subito il Sole o una supernova, quel flash non destò eccessiva ansia fra i militari, ma rimase comunque senza spiegazione fino agli anni Settanta, quando si riuscì finalmente ad accertarne la provenienza: non da qualche recondito recesso della steppa siberiana, ma da molto, molto più lontano. Addirittura al di là della nostra galassia. Era l’inizio dell’astrofisica dei GRB, i lampi di raggi gamma, il fenomeno più violento dell’universo dopo il big bang.

Meno noto ma potenzialmente assai più rischioso, invece, l’episodio illustrato mercoledì scorso, il 10 agosto, da Delores Knipp dell’università del Colorado al pubblico riunito nella città di Boulder, sede giusto dallo scorso maggio del National Solar Observatory statunitense. Un episodio ricostruito minuziosamente in un documentatissimo articolo d’una cinquantina di cartelle in uscita a breve su Space Weather, la rivista della American Geophysical Union. Un episodio che ha inizio poco più d’un mese prima di quello dei satelliti Vela al quale abbiamo accennato poc’anzi. E che sarebbe potuto sfociare in un attacco nucleare dalle conseguenze devastanti.

L’apice viene raggiunto il 23 maggio 1967, come vedremo. Ma le prime avvisaglie hanno luogo sul disco del Sole cinque giorni prima, il 18 maggio. Quando un gruppo insolitamente esteso di macchie solari affiora sulla superficie della nostra stella. I prodromi di un brillamento abbastanza intenso da causare aurore boreali visibili fino al Nuovo Messico.  E da mettere ko i radar posti in siti a latitudini elevate. Siti come i tre, all’epoca, del Ballistic Missile Early Warning System del NORAD.

Malfunzionamento? Tre su tre pare strano. Potrebbe essere un’azione di disturbo – jamming, in gergo – messa in atto dall’Unione Sovietica? Se così fosse, sarebbe l’equivalente d’un atto di guerra. Ecco dunque che, nell’incertezza, l’US Air Force si prepara a sferrare un attacco. Eventualità rischiosissima, più probabile di quanto si potrebbe immaginare. All’epoca, infatti, i piloti dello Strategic Air Command della US Air Force, in caso di impossibilità di comunicare con la base, e dunque in assenza di un preciso ordine di rientro, erano addestrati a completare la missione assegnata. Ma la ragione stessa all’origine dell’allerta, il brillamento solare, avrebbe probabilmente reso quelle comunicazioni difficili, se non impossibili.

A sventare la catastrofe, ricostruisce Knipp, la provvidenziale e lungimirante esistenza, già all’epoca, di una rete per il monitoraggio dell’attività solare. A ricevere la telefonata del NORAD che domandava con malcelato panico se ci fossero attività anomale in corso sulla nostra stella, quel 23 maggio di quasi mezzo secolo fa, c’era il colonnello Arnold L. Snyder. Ora è in pensione, ma quella telefonata se la ricorda come fosse oggi. «Mi ricordo in particolare d’aver risposto agitatissimo “Sì, è come se fosse esploso mezzo Sole”, prima di ritrovare la calma per fare rapporto in modo più quantitativo». E far tirare all’umanità inconsapevole un sospiro di sollievo.

«Se non fosse stato per il fatto che avevamo investito con grande anticipo nel monitoraggio delle tempeste solari e geomagnetiche, l’impatto di quella tempesta sarebbe stato probabilmente assai più grande», dice ora Knipp, sottolineando come sia importante essere preparati.

Rimane la curiosità di sapere come siano andate le cose dall’altro lato della cortina di ferro: anche i sistemi radio sovietici qualche sintomo dovranno pur averlo mostrato, viene naturale supporre. In ogni caso, tornando al presente: se qualche ipotetico futuro politico statunitense post Obama avesse mai in agenda la bella pensata di tagliare i fondi destinati alla meteorologia spaziale, be’… adesso è avvisato.

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