AVVOLGEREBBERO LA TERRA E GLI ALTRI PIANETI

Capelli di materia oscura

Un Sistema solare con i pianeti circondati da “bulbi piliferi” e “capelli” ad alta concentrazione di dark matter. È quanto ipotizza uno studio in uscita su ApJ. Matteo Viel (INAF): «L’incremento della densità di materia oscura appare molto confinato, da qui il nome “hair”, capello»

     24/11/2015
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Rappresentazione artistica della Terra avvolta in una chioma di “capelli” di dark matter. Crediti: NASA/JPL-Caltech

Quando cerchiamo d’immaginare la materia oscura, la prima rappresentazione che viene in mente – complici le numerose ricostruzioni della distribuzione di materia nell’universo a grande scala – è probabilmente quella di intricate strutture filamentose lunghe migliaia di anni luce. Figuriamoci dunque lo stupore di Gary Prézeau, del Jet Propulsion Laboratory della NASA, quando al termine d’una complessa simulazione ha visto apparire sullo schermo del computer qualcosa di simile all’immagine che vedete qui a fianco (cliccare per ingrandire): una tavola che sembra uscita dritta dritta da un manuale di tricologia. Solo che al centro non c’è una testa, bensì un pianeta. La nostra Terra, per la precisione. Avvolta in una cresta di “capelli” così dritti e rarefatti che non sfigurerebbe come acconciatura punk.

Da dove salta fuori? E perché non l’abbiamo mai notata prima, considerando che la distanza che separa i “bulbi piliferi” dalla superficie del nostro pianeta è relativamente ridotta – meno d’un milione di chilometri? Be’, non potevamo averla vista perché è fatta non di cheratina e altri residui di cellule morte, bensì di materia invisibile: dark matter, appunto, l’inafferrabile sostanza che contribuisce per il 27 percento al conto complessivo di tutta la materia ed energia dell’universo.

Ebbene, i risultati delle simulazioni di Prézeau, in corso di pubblicazione su The Astrophysical Journal, mostrano che quando un flusso di materia oscura attraversa – perfettamente indisturbato, com’è sua abitudine – un pianeta, le particelle che formano il flusso, incanalate dalla forza di gravità, finiscono per concentrarsi in un filamento ultra-denso: un “capello” di materia oscura. Capelli del genere, dicono i calcoli, sembrerebbero abbondare attorno a corpi compatti, come appunto la Terra o Giove. E le particelle dovrebbero presentarsi assai più addensate attorno alle “radici” rispetto a quanto non siano spostandosi verso le “punte”.

Al punto che, suggerisce Prézeau, «se riuscissimo a individuare la posizione della radice di questi capelli, in teoria potremmo inviare una sonda esattamente in quel luogo e ritrovarci così a disposizione una miniera di dati sulla materia oscura». E nemmeno troppo in teoria, considerando che un milione di km è più o meno a metà strada fra la Luna e quel punto lagrangiano secondo, L2, che già ospita numerosi telescopi spaziali.

Ma potrà aiutarci, questa prossimità, per compiere finalmente qualche passo avanti sulla comprensione della natura di questa elusiva forma di materia? E in che modo? Media INAF lo ha chiesto a Matteo Viel, ricercatore all’INAF di Trieste. «Lo studio delle proprietà a piccolissima scala della materia oscura è molto importante per due ragioni. La prima è che metodi di ricerca diretta possono sfruttare questa conoscenza per il design dello strumento di rilevazione della particella, come per esempio viene fatto per la ricerca dell’assione. In secondo luogo, proprietà a piccola scala hanno un effetto sulla struttura e sulla dinamica di oggetti astrofisici, dando informazioni per la ricerca indiretta».

«Il lavoro in questione», continua Viel, «si focalizza sul modello di materia oscura fredda, discutendo in modo quantitativo la formazione di flussi di materia oscura confinati e coerenti (stream). Mentre risultati precedenti sembravano indicare una distribuzione abbastanza uniforme della materia oscura locale, qui si evidenziano delle soluzioni delle equazioni che indicano un incremento molto significativo della densità della materia oscura in particolari posizioni vicino a oggetti compatti. Tale incremento appare molto confinato, da qui il nome hair, capello».

«Tali predizioni», raccomanda però Viel, «vanno comunque completate con simulazioni numeriche per diventare più realistiche e accurate».

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