IL TELESCOPE ARRAY SI ESPANDE

A caccia di raggi cosmici ultra energetici

L'ampliamento dello strumento situato nello Utah servirà per studiare una particolare regione del cielo da dove pare abbiano origine le particelle più energetiche dell'Universo. Al momento è nota la loro origine extragalattica ma non è possibile spiegare come mai esse acquisiscano così tanta energia. L'unico indizio da dove cominciare è una ‘macchia calda’ celeste

     15/06/2015
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Uno dei 507 rivelatori a scintillazione attualmente operativi del Telescope Array. Credit: John Matthews, University of Utah

Costerà 6,4 milioni di dollari l’espansione del Telescope Array Observatory situato nello Utah, già costato 25 milioni di dollari, per studiare una particolare regione del cielo (detta hotspot o “macchia calda”) che sembra essere associata ad una sorgente da cui hanno origine le particelle più energetiche dell’Universo: stiamo parlando dei raggi cosmici ultra energetici.

In realtà, i raggi cosmici, scoperti nel 1912, non sono veri e propri “raggi” bensì particelle subatomiche, come i protoni e i nuclei atomici, (tra cui l’elio, l’ossigeno, l’azoto, il carbonio e il ferro), molti dei quali trasportano energie relativamente basse e hanno origine nella nostra galassia dalle esplosioni stellari o da altri tipi di stelle, compreso il Sole. Ad ogni modo, la sorgente dei raggi cosmici ultra energetici, essenzialmente protoni, rimane ancora un mistero. Diversi astrofisici ritengono che essi abbiano origine dai nuclei galattici attivi in cui la materia viene attratta da un buco nero supermassiccio in un processo che determina la produzione di due getti relativistici di materia che si dipartono in direzione perpendicolare al disco di accrescimento. Altri ipotizzano, invece, che tali sorgenti di raggi cosmici ultra energetici includano lampi gamma da stelle esplose, radio galassie, onde d’urto provenienti dalle galassie interagenti e altre sorgenti esotiche come il decadimento di “stringhe cosmiche” o di particelle massicce, prodotti dal Big Bang 13,8 miliardi di anni fa.

Il Giappone contribuirà con 4,6 milioni di dollari mentre i ricercatori dell’Università dello Utah dovranno recuperare altri 1,8 milioni di dollari per quadruplicare la dimensione dell’osservatorio, attualmente pari a 300 miglia quadrate, che si trova situato nel deserto a ovest di Delta, nello Utah. Questo ampliamento permetterà agli astronomi di identificare, almeno così si spera, quali oggetti siano responsabili della produzione di raggi cosmici di altissima energia, particelle subatomiche così energetiche che se mai ci colpissero sarebbe come ricevere in testa una palla da baseball. Fortunatamente, però, esse non attraversano l’atmosfera terrestre.

«Sappiamo che queste particelle esistono e che sono di origine extragalattica e al momento non sappiamo spiegare come mai esse acquisiscano così tanta energia», spiega Pierre Sokolsky dell’University of Utah ed investigatore principale del Telescope Array. «Per rispondere a questo quesito dobbiamo sapere da dove essi provengono. Questa ‘macchia calda’ rappresenta il nostro primo indizio. Dobbiamo lavorare con gli astronomi per capire se esistano galassie o buchi neri in questa regione dello spazio».

Infine, secondo i ricercatori, le probabilità che questa “hotspot” possa essere una sorta di “colpo di fortuna statistico”, e perciò non reale, sono 1,4 su 10.000. Perciò occorre un livello di confidenza più elevato. «Senza l’espansione dell’array non sapremo mai se essa sia reale oppure no, a meno che non si vorrà aspettare ancora 40 anni», dice Sokolsky. Insomma, per studiare realmente questa regione del cielo con una sensibilità accettabile gli astronomi dovranno analizzare un tasso più elevato di eventi e ciò potrà essere fatto solamente quadruplicando l’area di raccolta dei rivelatori.