UNA MISSIONE PER I GIGANTI GHIACCIATI

Vogliamo Urano e Nettuno

Diego Turrini e Romolo Politi spiegano a Media INAF perché una missione alla scoperta dei pianeti giganti ghiacciati, Urano e Nettuno, rappresenterebbe una pietra miliare nello studio del sistema solare

     08/10/2014
Crediti: NASA

Crediti: NASA

Nel corso della selezione dei temi scientifici per le large mission dell’ESA nell’ambito del programma Cosmic Vision 2015-2025, l’esplorazione dei pianeti giganti Urano e Nettuno è stata considerata “una pietra miliare”. Nonostante questo la missione a leadership INAF a questi pianeti, chiamata ODINUS dai suoi proponitori, non ha trovato ancora posto nel budget del programma Cosmic Vision.

Il team della missione, in maggioranza ricercatori italiani dell’INAF-IAPS, ha pubblicato recentemente sulla rivista Planetary and Space Science un approfondimento degli argomenti a sostegno di una missione, singola o doppia, per lo studio dei due giganti di ghiaccio.

Ai primi firmatari dell’articolo, Diego Turrini e Romolo Politi, dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali dell’INAF, abbiamo rivolto un paio di domande per capire il perché della loro “ostinazione” e il valore della missione per la planetologia italiana.

Urano e Nettuno sembrano i pianeti dimenticati del nostro sistema solare. Se New Horizon è in viaggio per Plutone, missioni per lo studio diretto di questi due pianeti non sono ancora all’ordine del giorno dopo la mancata selezione della missione ODINUS. Quali sono i motivi addotti e quanto ritenete invece possa essere significativo il loro studio?

L’esplorazione del sistema solare esterno, e in particolare dei giganti ghiacciati, presenta notevoli sfide tecnologiche, in particolare per quanto riguarda la generazione di energia a bordo delle sonde. Le tecnologie necessarie per risolvere il problema energetico, basate sull’energia nucleare, sono già da tempo disponibili e consolidate in ambito NASA, che quindi ha potuto lanciare missioni come Cassini e più recentemente New Horizon. Dal lato europeo, queste tecnologie sono ancora in fase di prototipo e, mentre per la missione JUICE è stato possibile risolvere questo problema tramite l’uso di pannelli solari, la stessa soluzione non è applicabile al caso di Urano o Nettuno per via della loro grande distanza dal Sole. Il rischio che queste tecnologie potessero non essere pronte per tempo è stato il principale motivo della mancata selezione di ODINUS. Nonostante questa decisione, l’esplorazione dei giganti ghiacciati rimane uno degli obiettivi strategici dell’ESA, come è stato enfatizzato dall’agenzia stessa nel presentare le motivazioni che hanno portato all’adozione dei temi scientifici delle future missioni L2 e L3 (vedi Media INAF). Urano e Nettuno, infatti, possono fornirci informazioni chiave per comprendere la storia del Sistema Solare e identificare quali fattori lo abbiano reso un luogo in grado di ospitare la vita su almeno di uno dei suoi pianeti. I due giganti di ghiaccio, inoltre, rappresentano una classe di corpi poco compresa ma al contempo estremamente abbondante nella nostro Galassia. Di conseguenza il loro studio è rilevante anche per il campo degli esopianeti.

Molte sonde stanno esplorando o sono in procinto di esplorare il nostro sistema solare, da Cassini a Dawn, a Mars Express o Venus Express alle prossime JUICE, Bepicolombo, Solar Orbiter solo per citarne alcune. In quasi tutte queste sonde vi è strumentazione italiana. Qual è il ruolo della planetologia italiana nello studio del nostro sistema?

In tutte le missioni citate la planetologia italiana non è coinvolta solo con strumenti di alto profilo, ma è stata parte attiva fin dalle prime fasi della loro gestazione svolgendo ruoli chiave nella definizione dei loro obiettivi scientifici. La comunità planetologica INAF, in particolare, svolge da sempre un ruolo di primissimo piano nell’esplorazione del nostro Sistema Solare, come testimonia la sua massiccia partecipazione alle proposte del recente bando M4 dell’ESA. A riguardo, noi membri del team di ODINUS stiamo partecipando, come parte del comitato direttivo e dei gruppi di lavoro scientifici, allo sviluppo di una nuova proposta di missione a Urano. Guardando al di là dei confini del Sistema Solare, inoltre, grazie alle competenze acquisite la comunità planetologica INAF negli ultimi anni è stata coinvolta in misura sempre crescente anche nello studio dei nostri vicini cosmici, i pianeti extrasolari.

In effetti, missioni per lo studio degli esopianeti con forte partecipazione italiana sono già in programma, come CHEOPS e PLATO, e nuove sono in fase di definizione, come la proposta M4 ARIEL in cui INAF gioca un ruolo di rilievo. Forte anche la partecipazione italiana negli studi da terra, grazie all’uso dello spettrografo HARPS-N installato sul Telescopio Nazionale Galileo (TNG) alle Canarie. Il ruolo dei ricercatori italiani nella ricerca e studio degli esopianeti sarà oggetto di un convegno che si svolgerà ai primi di novembre e di cui Media INAF vi darà conto.