A COLLOQUIO CON GUIDO RISALITI

Buchi neri nati già grandi? No, però…

Misteriosi, avidi e densissimi, i buchi neri sono tra gli oggetti più studiati del cielo. Ma qual è la loro storia? Sono nati così come sono, o si sono evoluti nel tempo? A partire da una ricerca pubblicata recentemente su Astrophysical Journal, il commento di Guido Risaliti dell’INAF di Arcetri

     03/04/2014
Rappresentazione artistica di un buco nero. Crediti: NASA

Rappresentazione artistica di un buco nero. Crediti: NASA

Per quanto piccole, anche le galassie nane hanno diritto al loro buco nero. Ne abbiamo parlato qualche giorno fa rispetto a un nuovo articolo uscito su Astrophysical Journal, che ha rilevato appunto la presenza di buchi neri in un gruppo di galassie nane osservate dal telescopio WISE della NASA. Avanzando allo stesso tempo l’ipotesi per cui tali buchi neri sarebbero nati “già grandi” nell’Universo primordiale, e non a seguito di una lenta evoluzione nel tempo (come afferma invece la teoria più accreditata sulla formazione di questi misteriosi oggetti celesti).

Ma quali sono le implicazioni della nuova prospettiva sull’origine dei buchi neri? E davvero si può dire che il loro aspetto attuale sia lo stesso di milioni e milioni di anni fa? Secondo Guido Risaliti, ricercatore dell’Osservatorio Astrofisico di Arcetri dell’INAF, prima di trarre questa conclusione bisogna andarci con i piedi di piombo.

“Il contesto scientifico di questa ricerca è la relazione tra la massa dei buchi neri e quella delle galassie ospiti” spiega l’astrofisico. “Infatti è provato ormai da più di 15 anni che esiste una relazione di scala tra il buco nero e il bulge (ovvero il nucleo galattico) della galassia ospite. Questo ha suggerito l’idea della coevoluzione: se le due masse sono correlate, significa che l’evoluzione dell’una ha influenzato l’evoluzione dell’altra”.

Un esempio di galassia nana, NGC 1705, osservata dal telescopio Hubble. Crediti: NASA

Un esempio di galassia nana, NGC 1705, osservata dal telescopio Hubble. Crediti: NASA

In base a questa prospettiva, poiché le galassie nane sono le uniche ad aver subito pochissime evoluzioni nel corso della storia, la presenza di un buco nero al loro interno ha suggerito che questo potesse trovarsi lì già al momento della formazione della sua galassia ospite. In altre parole, che fosse nato insieme alla galassia nana, così come lo osserviamo oggi.

Una conclusione che però potrebbe essere troppo affrettata. “I buchi neri trovati nelle galassie nane non hanno milioni o miliardi di masse solari, ma qualche migliaio” dice Risaliti. “Sono grandi rispetto alle dimensioni totali di queste galassie, ma sono comunque piccoli in termini assoluti. E in ogni caso la loro presenza non può smentire la teoria dell’accrescimento dei buchi neri”.

Teoria che, stando a ciò che sappiamo, dovrebbe valere per tutte le altre galassie oggi osservate. In cosa consiste? “Si pensa che i buchi neri supermassicci (cioè da un milione di masse solari fino a circa dieci miliardi) nascano piccoli nell’Universo primordiale” racconta il ricercatore. “Questo significa che hanno una massa trascurabile rispetto alla massa finale, da 1 a 10.000 masse solari”.

È a questo punto, quando la galassia è appena nata, che inizia la relazione tra la massa del buco nero e la massa della galassia stessa.

“In base a questa coevoluzione, si pensa che la quasi totalità della massa finale dei buchi neri sia stata prodotta per accrescimento di massa, oppure mediante un processo di fusione tra galassie. È così che i semi iniziali diventano i buchi neri supermassivi che osserviamo oggi” dice Risaliti.

E prosegue spiegando che la teoria dell’accrescimento dei buchi neri è basata sia su osservazioni sperimentali che su modelli teorici: “Dai dati sappiamo che la correlazione tra massa del buco nero e massa della galassia ospite non può essere casuale: i processi fisici che hanno portato all’evoluzione del nucleo della galassia sono gli stessi che hanno portato all’accrescimento del buco nero.  Poi ci sono i sistemi numerici che cercano di riprodurre l’evoluzione dell’Universo: questi modelli non funzionano (ovvero non coincidono con ciò che effettivamente osserviamo) a meno di non introdurre un’influenza del buco nero centrale sulla galassia ospite”.

Un nucleo galattico attivo. Crediti: NASA

Un nucleo galattico attivo. Crediti: NASA

Questa “influenza” altro non è se non la radiazione emessa dal buco nero a seguito del suo accrescimento di materia. E la fase luminosa dell’accrescimento corrisponde ai cosiddetti nuclei galattici attivi.

Proprio sulla ricerca di queste strutture si basa lo studio pubblicato su Astrophysical Journal. “I ricercatori hanno trovato in alcune galassie nane un’indicazione della presenza di un nucleo attivo: un buco nero che stava accrescendo materia ed emettendo luce” spiega Risaliti. “Questa è un’osservazione interessante, perché si pensa che queste galassie non si siano evolute molto dall’inizio dell’Universo. Però si tratta comunque di galassie locali, che hanno quindi più di 10 miliardi di anni: è vero che la loro evoluzione è stata minima, ma non può definirsi nulla. Per questo non è detto che il buco nero che si trova al loro interno e che osserviamo oggi sia identico a quello originale”.

A questo, secondo Risaliti, vanno aggiunti alcuni punti deboli dell’articolo, che hanno a che fare con la metodologia: “L’identificazione dei nuclei galattici attivi non è sicura al 100%” dice. “La classificazione è avvenuta attraverso i colori infrarossi, che per quanto precisi non sono sicuri come un’identificazione spettroscopica”.

Mancano quindi troppi elementi per affermare che i buchi neri comparsi nell’Universo primordiale fossero già giganti. Però l’astrofisico, pur ridimensionandola, sottolinea l’importanza della ricerca:  “Questo studio ci sta dicendo che esiste un canale di accrescimento dei buchi neri senza che sia avvenuto per forza uno scontro tra galassie. Le galassie possono quindi aumentare il gas dei propri buchi neri centrali anche in una fase quiescente, e questo è molto interessante”.

Un aspetto che si può legare anche alla ricerca condotta dallo stesso Guido Risaliti, al momento impegnato sul progetto della NASA NuSTAR.

“Noi abbiamo dimostrato che i buchi neri giganti hanno una rotazione molto alta: questo implica che il buco nero non si è formato a seguito di tanto piccoli processi casuali, ma con un accrescimento coerente, che ha aumentato lo spin, cioè la velocità di rotazione, del buco nero” spiega l’astrofisico.

E le galassie nane? “Non mi stupirei se anche qui la velocità di rotazione dei buchi neri fosse elevata, proprio perché le galassie nane non hanno mai subito scontri e la loro evoluzione è probabilmente stata minima ma costante” conclude Risaliti. Oltre al loro buco nero, quindi, queste piccole galassie potrebbero anche avere un cuore molto veloce.