IL PIANETA RALLENTA LA SUA ROTAZIONE

Venere con il freno tirato

Sul pianeta considerato il 'gemello bollente della Terra' il giorno sembra si sia allungato di ben 6 minuti e mezzo in poco più di 20 anni. E' questo il sorprendete risultato di un lavoro condotto da un team internazionale di scienziati confrontando i dati raccolti dalla sonda Magellan con quelli dello spettrometro italiano VIRTIS a bordo della sonda Venus Express dell'ESA.

     03/02/2012

Mappa di altimetria dal radar della sonda Magellan (in basso) e quella ricavata da VIRTIS nell’infrarosso (in alto). Le parti più chiare sono più alte rispetto a quelle più scure. La corrispondenza dei dettagli, essenzialmente crateri, tra le due viste è quasi identica a parte una piccola significativa differenza che può essere spiegata da una errata valutazione della velocità di rotazione. I dettagli della mappa di VIRTIS sono leggermente spostate in senso orario rispetto a quelle di Magellan. Sebbene non utilizzate per il calcolo della rotazione, la mappa di VIRTIS fornisce informazioni anche di ampie zone che Magellan non è riuscito a coprire (vedi le strisce e le zone bianche). (Crediti: ESA/VIRTIS-Venus Express/INAF-IAPS/Obs. de Paris-Lesia/DLR N. Mueller)

Su Venere i giorni scorrono davvero molto lenti. Una rotazione completa del pianeta intorno al proprio asse viene infatti completata in 243 giorni terrestri, record assoluto tra gli altri corpi celesti del Sistema solare. Sembrerebbe però che questo primato si stia ulteriormente consolidando: almeno negli ultimi 20 anni infatti la velocità di rotazione del pianeta è diminuita, facendo allungare la durata del giorno di 6 minuti e mezzo. A confermarlo è lo studio condotto da un team di scienziati guidati da Nils Mueller del DLR Institute of Planetary Research e pubblicato nel numero speciale di febbraio della rivista Icarus interamente dedicata alle più recenti ricerche su Venere.

I ricercatori hanno confrontato i dati presi tra il 1990 ed il 1994 dalla sonda Magellan della NASA con quelli raccolti dalla missione Venus Express dell’ESA che dal 2006 è in orbita attorno a Venere. Dopo una attenta revisione delle riprese radar di Magellan grazie alla quale sono stati individuati alcuni punti di riferimento sulla superficie di Venere, Muller e colleghi sono andati alla ricerca delle stesse strutture utilizzando le recenti osservazioni del pianeta nell’infrarosso ottenute dallo strumento VIRTIS, lo spettrometro ad immagini in gran parte ideato, progettato e realizzato in Italia da ricercatori dell’INAF e dalla Società Galileo Avionica del Gruppo Finmeccanica per conto dell’Agenzia Spaziale Italiana.

Grazie alla precisione delle immagini fornite da VIRTIS che è riuscito a penetrare la fitta coltre di nubi e densa atmosfera, oltre 20 anni dopo, sono state ritrovate le stesse strutture sulla superficie del pianeta. Ma, con grande sorpresa degli scienziati, non nei punti dove si aspettavano di scorgerle, bensì distanti fino a 20 chilometri dal punto dove si aspettavano di ritrovarle sulla base di quello che è il valore della velocità di rotazione di Venere attualmente accettato dallo IAU (International Astronomical Union), l’organismo internazionale di riferimento. Sembrerebbe dunque che nel periodo di tempo relativamente breve tra le ‘visite’ di Magellan e di Venus Express, il pianeta abbia visto crescere la durata del suo giorno, che è stata quantificata in ben 6 minuti e mezzo in più.

“Ci troviamo di fronte a due misure indipendenti e differenti della velocità di rotazione di Venere” commenta Giuseppe Piccioni, dell’INAF-IAPS di Roma, Principal Investigator di VIRTIS. “Qual’è quella giusta ? In realtà entrambe. Il fatto è che fotografano il pianeta in due momenti differenti. Possiamo dire che la rotazione della parte solida di Venere è cambiata ma non possiamo affermare ancora con certezza quale ne sia la causa e se sia di lungo termine. Modelli matematici recenti ci danno una certa confidenza sul fatto che l’ attrito della densa atmosfera con la superficie può dar luogo ad effetti non trascurabili sulla rotazione”.

L’indiziato numero uno quale responsabile di questo inatteso fenomeno è quindi la densa atmosfera venusiana, 90 volte più massiccia di quella della Terra. Moti ondulatori che si propagano  sulla superficie del pianeta da questa enorme massa di gas – in gran parte composta di anidride carbonica e acido solforico, con venti che spirano continuamente con velocità anche superiori ai 400 chilometri orari – potrebbe creare degli effetti di attrito in grado di rallentare la rotazione del pianeta, proprio come osservato. Un fenomeno simile accade anche sulla Terra, ma l’entità in paragone è trascurabile ed inoltre mostra oscillazioni di tipo stagionale, legate dal cambiamento della circolazione dei venti su scala globale nel corso dell’anno.

L’animazione alterna le due immagini riprodotte sopra mostrando in maniera qualitativa ed intuitiva la differenza di posizione dei dettagli sulla superficie di Venere. Si può notare soprattutto sul lato sinistro della mappa che l’immagine di VIRTIS rispetto a quella di Magellan (che presenta le strisce bianche) ruota di una quantità piccola ma significativa in senso orario. (Crediti: ESA/VIRTIS-Venus Express/INAF-IAPS/Obs. de Paris-Lesia/DLR N. Mueller)

“Questo risultato ed i molti altri che abbiamo ottenuto con questo fantastico strumento scientifico quale è VIRTIS sarebbero stati persino impensabili prima del lancio della missione Venus Express” prosegue Piccioni. “Nessuno avrebbe mai rischiato di promettere degli obiettivi scientifici così spinti nella proposta dello strumento. Invece, oltre ad avere confermato i tanti importanti obiettivi che ci eravamo proposti, siamo riusciti ad andare ben oltre le più rosee aspettative. Ormai quasi non ci sorprendiamo più di niente. Risultati come questo e come i molti altri che sono stati pubblicati recentemente su un numero speciale del giornale Icarus, sono stati possibili grazie ad un’analisi attenta ed importante dei dettagli, grazie alle prestazioni dello strumento ma anche e soprattutto alle persone che ci lavorano. E’ vero che gli scienziati ed i tecnici non possono lavorare senza strumenti ma è ancor più vero che gli strumenti non possono lavorare senza quelle persone che, molto spesso, non hanno neanche la giusta visibilità e riconoscimento”.