UNA TECNICA PER SCOVARE CIVITA’ EXTRATERRESTRI

Le luci della città…aliena

Come trovare ET? Cercando segnali di luci artificiali provenienti dai pianeti extrasolari. La proposta viene da due ricercatori statunitensi, che però sottolineano come per renderla applicabile ci sia bisogno di telescopi e strumentazione molto più avanzata di quella oggi disponibile. Montebugnoli: "Così potrebbero aumentare le probabilità di rivelare la presenza di ET".

     04/11/2011

Avete mai visto le immagini della Terra di notte dallo spazio? No? Qui a fianco trovate un esempio, dove sono ripresi l’Europa e il bacino del mar Mediterraneo. I puntini luminosi sono tutte luci artificiali. I maggiori agglomerati indicano le più grandi città, ed è facile riconoscere la posizione di Napoli, Roma, Milano, ma anche Parigi, Londra, Madrid, Mosca, solo per citarne alcune. Forse questi segnali luminosi, viaggiando nel cosmo, potrebbero essere captati da una civiltà aliena sufficientemente sviluppata, venendo così a conoscenza che anche su quel pianetino azzurro vicino a una comunissima stella di medie dimensioni nella periferia della Via Lattea c’è vita intelligente.

E se invece fossimo noi a cercare luci artificiali di civiltà extraterrestri? Pura fantascienza o provocazione scientifica? Una concreta opportunità secondo Abrahm Loeb dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics e Edwin Turner dell’Università di Princeton. Nel loro articolo appena sottomesso alla rivista Astrobiology, i due ricercatori presentano il loro metodo per la ricerca di ET.

Così come altri progetti SETI (Search for Extra Terrestrial Intelligence), la tecnica si basa sul presupposto che gli alieni avrebbero sviluppato tecnologie simili alle nostre. Cosa ragionevole, perché qualsiasi forma di vita intelligente che si è evoluta alla luce dalla sua stella più vicina può sfruttare l’illuminazione artificiale durante le ore di oscurità. E proprio per individuare questa radiazione artificiale, il punto cruciale sta nel riuscire a distinguere questo debolissimo segnale sulla superficie di un pianeta dal bagliore prodotto dalla stella madre. L’idea di Loeb e Turner è quella di studiare la variazione di luce prodotta da un esopianeta che si muove intorno alla sua stella. Nella sua orbita, il pianeta ci apparirebbe dotato di fasi, proprio come accade alla nostra Luna. Quando è in una fase di buio, la luce artificiale prodotta dal ‘lato notte’ sarebbe visibile dalla Terra più di quanto sia la luce riflessa dal lato giorno. Sarebbe così possibile, almeno in teoria, distinguere un pianeta dotato di illuminazione artificiale da uno senza. C’è però da dire che, parlando di oggetti celesti molto distanti da noi e segnali assai flebili, cercare in questo modo civiltà intelligenti al di fuori del nostro Sistema solare con la strumentazione oggi disponibile è una scommessa persa in partenza.

Loeb e Turner stimano infatti che i migliori telescopi oggi in funzione dovrebbero essere in grado di vedere la luce generata da una metropoli grande come Tokyo alla distanza della Fascia di Kuiper,  la regione occupata da Plutone, Eris, e migliaia di piccoli corpi ghiacciati, che si estende fino a circa 50 volte la distanza Terra-Sole. Dovremo dunque aspettare i telescopi di nuova generazione per sperare di poter applicare la tecnica ai pianeti in orbita attorno alle stelle del nostro vicinato cosmico.

“Sembra comunque essere un’ottima idea ricercare ‘segnature’ relative a civiltà extraterestri anche in campo ottico” commenta Stelio Montebugnoli, ricercatore dell’INAF-IRA di Bologna. “Ciò significherebbe stare ‘affacciati’ non solo alla finestra radio, per cercare l’eventuale presenza di una tramissione aliena, ma anche a quella ottica per scorgere la loro luce artificiale. Ovviamente questo approccio aumenterebbe considerevolmente la probabilità di rivelare la presenza di ET”.