NELLA STESSA REGIONE DOVE NEL 2018 È STATA TROVATA ACQUA LIQUIDA

Sotto il Polo Sud marziano, il ghiaccio si deforma

Utilizzando il radar italiano Marsis di Mars Express, un team di ricercatori ha identificato per la prima volta al di fuori della Terra pieghe glaciali all’interno dei depositi stratificati della calotta meridionale di Marte. Una scoperta con importanti implicazioni per la comprensione della dinamica glaciale marziana e della sua storia climatica. Intervista al primo autore dello studio, Luca Guallini, dell’Inaf di Bologna

     10/12/2025

Dopo aver trovato acqua liquida sotto la calotta polare del Polo Sud di Marte, il radar Marsis a bordo della più che ventennale missione orbitante Mars Express non si è lasciato sfuggire un nuovo, particolare, dettaglio: la presenza, all’interno dello spesso strato di ghiaccio, di regioni non riflettenti, simili a strutture già osservate sulla Terra in Antartide e in Groenlandia. In inglese si chiamano englacial folding, sono estremamente rare anche sulla Terra ma potrebbero dire molto sulla storia geologica che ha portato alla loro formazione. In italiano le chiameremo pieghe glaciali su suggerimento del primo autore dell’articolo pubblicato su Earth and Planetary Science Letters che ne racconta la scoperta. Lui è Luca Guallini, ricercatore all’Inaf di Bologna, geologo di formazione e appassionato di natura e paesaggi estremi, come quelli marziani che esplora da lontano. Da vicino, invece, visita paesaggi naturalistici in tutto il mondo, organizzando viaggi verso le aurore boreali, territori vulcanici, per vedere le eclissi solari o raggiungere regioni polari. Media Inaf l’ha intervistato.

Luca Guallini, geologo all’Inaf di Bologna e primo autore dello studio che rivela la presenza di pieghe glaciali sotto la superficie della calotta meridionale di Marte. Il suo lavoro si concentra sullo studio della geologia di Marte, integrando dati radar, immagini e osservazioni da remoto, in un’ottica comparativa con i processi geologici terrestri. Appassionato di natura e paesaggi estremi, da anni organizza e realizza viaggi naturalistici in tutto il mondo — dalle aurore boreali ai territori vulcanici, dalle eclissi solari alle regioni polari — affiancando alla ricerca un’intensa attività di divulgazione scientifica

Guallini, cosa sono queste “pieghe glaciali”?

«Le strutture osservate dal radar Marsis sono delle deformazioni plastiche (o, per meglio dire, duttili) che interessano gli strati di ghiaccio d’acqua e polveri che compongono il cuore della calotta polare meridionale di Marte. È la prima volta che vengono trovate al di fuori della Terra, e a dirla tutta anche sul nostro pianeta sono una rarità. Su Marte, le abbiamo trovate all’interno dei depositi stratificati (South Polar Layered Deposits, Spld) della calotta meridionale del pianeta, grazie a un’elaborazione innovativa dei dati radar, e si presentano come aree non riflettenti che interrompono la stratigrafia sub-orizzontale tipica. Tali anomalie, riscontrate nella regione di Ultimi Scopuli, sono accompagnate da strati riflettenti deformati e, nel complesso, sono interpretate come pieghe geologiche, ossia come strutture a larga scala create dal ripiegamento duttile degli strati deposti. Queste evidenze radar sono analoghe a quelle osservate dai radar subglaciali nelle calotte terrestri della Groenlandia e dell’Antartide e indicano, inequivocabilmente, una dinamica glaciale più articolata di quanto precedentemente sospettato».

Deformazioni degli strati orizzontali di ghiaccio, se ho capito bene. Come possiamo immaginarle?

«Immaginiamo di stendere uno sopra l’altro una serie di tappeti di gomma, con un certo spessore. Teniamo bloccato uno dei lati mentre, a quello opposto, applichiamo una spinta. Vedremo subito che i tappeti si deformeranno proporzionalmente alla forza applicata, creando delle pieghe più o meno ampie e più o meno rovesciate o coricate nella direzione della spinta. Ecco, questo è il principio attraverso il quale qualunque strato roccioso (incluso il ghiaccio che, in senso lato, può essere considerato come una vera e propria roccia), se sottoposto alle giuste condizioni fisiche (in particolare di pressione e temperatura), si deforma creando delle pieghe. Queste strutture sono alla base, ad esempio, della formazione delle catene montuose (come le Alpi e gli Appennini) e, esemplificando il concetto, si creano nel momento in cui gli strati circa piano paralleli deposti uno sopra l’altro (ossia i tappeti) vengono ad un certo punto sottoposti a forze causate dalla collisione tra placche tettoniche. Quindi, affinché tali pieghe si generino, è necessario del movimento».

Nel caso di Marte?

«Nel caso delle lingue glaciali, la forza motrice è la gravità, ossia il peso stesso del ghiaccio accumulato che, lento ma inesorabile, si muove strato sopra strato e fluisce verso i propri margini, determinando localmente la deformazione degli strati che le compongono. Tale movimento non va tuttavia immaginato come uniforme e generalizzato, ma variabile ed eterogeneo e causato da meccanismi vari e complessi, non sempre di facile definizione. In generale, il ghiaccio si muove per flusso interno (se lo immaginiamo come un fluido altamente viscoso e malleabile in profondità) o anche per scorrimento lungo le superfici di contatto tra i diversi strati o degli strati di ghiaccio basali con il substrato roccioso».

Cosa c’è sopra e cosa c’è sotto?

«Le calotte glaciali rappresentano un unico corpo geologico, costituito da tanti strati di ghiaccio più o meno piano paralleli e suborizzontali e impilati l’uno sopra l’altro. Le pieghe si formano all’interno delle calotte glaciali e interessano parte degli strati di ghiaccio che le costituiscono. Quindi, tali pieghe confinano sopra e sotto con strati di ghiaccio non deformati o poco deformati. Nel loro insieme, le calotte ed i ghiacciai poggiano su un basamento roccioso, lungo cui possono scivolare e avanzare. La condizione ordinaria di una lingua glaciale è quella di mostrare strati di ghiaccio circa piano paralleli ed orizzontali. Sulla Terra, nella calotta antartica o groenlandese ad esempio, tale condizione è localmente interrotta dalla presenza di pieghe, fratture e faglie, che variano l’assetto spaziale degli strati, deformandoli. Sul nostro pianeta, la loro presenza è logico aspettarsela, in quanto i ghiacciai e le calotte sono elementi altamente dinamici. Su Marte, a oggi, sebbene le calotte ricoprano i poli in maniera estesa, non esistevano prove dell’esistenza di pieghe al loro interno che ne suggerissero il movimento. Marsis le ha per la prima volta rivelate nella regione del Polo Sud Ultimi Scopuli».

È stata quindi una scoperta inattesa…

«Come si può intuire da quanto detto finora, il fatto che nella calotta meridionale di Marte esistano delle pieghe geologiche implica che tale calotta (o, per meglio dire, parte di essa) si sia mossa e, che, dunque non sia un elemento “fossile” come pensavamo, ma dinamico, ossia probabilmente soggetto agli stessi processi che interessano le controparti terrestri. Tuttavia, viste le condizioni attuali della regione polare marziana, è del tutto verosimile ipotizzare che tale movimento sia associabile a condizioni climatiche passate più calde che, inoltre, rendevano il ghiaccio più “caldo” e, dunque, più favorevole alla deformazione. Quindi, questo processo potrebbe essere avvenuto a causa di cambiamenti climatici che periodicamente hanno interessato l’era più recente del pianeta (come già molti altri studi suggeriscono), oppure per la presenza di anomalie geotermiche alla base della calotta, ossia per l’esistenza di regioni più calde rispetto alle zone circostanti per via di un flusso di calore proveniente dall’interno del pianeta. Inoltre, a nostro avviso non casualmente, tali pieghe esistono laddove, alcuni anni fa, alcuni scienziati (in primis, Roberto Orosei, coautore anche di questo lavoro) hanno dedotto, grazie allo stesso strumento radar Marsis, l’esistenza di possibile acqua salata alla base della calotta glaciale. Tale acqua, infatti, non solo potrebbe essere indice di possibili processi di fusione del ghiaccio o di antichi laghi sepolti dal ghiaccio (come avviene sulla Terra), ma potrebbe aver avuto un ruolo nel movimento della lingua glaciale e, dunque, nell’insorgere delle pieghe».

Ci sono altre spiegazioni possibili rispetto al segnale radar trovato, o c’è modo di verificare la presenza di queste pieghe glaciali con altri strumenti, usando missioni già orbitanti attorno al Pianeta rosso, o magari missioni future?

«Per quanto, purtroppo, non sia possibile verificare direttamente l’esistenza di queste pieghe glaciali per gli ovvi limiti dello studio da remoto di mondi così lontani e, quindi, non si possano escludere del tutto ipotesi alternative, le evidenze raccolte e la profonda somiglianza delle strutture osservate a quelle scovate dai radar nelle calotte terrestri (sebbene a più alta risoluzione) suggeriscono che l’ipotesi più probabile e ragionevole sia che si tratti proprio di pieghe geologiche all’interno del ghiaccio. Missioni future potrebbero essere pianificate e programmate per inviare su Marte strumenti radar (o sismici) in grado di risolvere meglio la stratigrafia interna delle calotte, che rappresenta una libreria naturale che raccoglie miliardi di anni di storia del Pianeta rosso e che vale, per cui, la pena di provare a decifrare e leggere».

Come mai nessuno le ha mai viste prima? Lo strumento Marsis è a bordo di Mars Express che orbita attorno a Marte da più di vent’anni…

«In generale, le scoperte scientifiche in ambito geologico planetario sono casuali. O, per meglio dire, arrivano nel momento in cui qualche studioso, scrutando ad esempio delle immagini di superficie o dei dati di sottosuperficie, si accorge di strutture simili a qualcosa di noto sulla Terra. Inoltre, i dati raccolti da decenni dalle diverse missioni sono ormai innumerevoli e serve del tempo per vagliarli e analizzarli. In questo caso è stato anche necessario l’occhio di geologi per capire che quelle strutture radar potevano essere associate a quelle viste dai radar sulle calotte terrestri e associate a pieghe glaciali. Inoltre, i dati Marsis sono stati processati con un metodo innovativo, che ha permesso di definire meglio la stratigrafia interna e, di conseguenza, le eventuali strutture presenti».

Sul clima di Marte escono moltissime notizie e l’impressione è che sia davvero un mondo complesso. Quanto ne sappiamo secondo lei, e cosa manca per capire davvero come sia evoluto e se abbia potuto ospitare forme di vita?

«Marte, come qualunque altro pianeta del Sistema solare che non sia il nostro, è ancora un mondo aperto a innumerevoli scoperte scientifiche in quanto, nonostante gli innumerevoli dati raccolti (geologici, geochimici, geofisici, atmosferici, meteorologici, eccetera) in diversi decenni di esplorazione da parte di ormai molteplici missioni spaziali orbitanti e di superficie, rimane ancora in gran parte inesplorato e, quindi, incompreso. Inevitabile, ovviamente, se si pensa che stiamo parlando di un pianeta lontano decine e centinaia di milioni di chilometri da noi. Tanto più se si pensa che, da gemello della Terra, la sua storia geologica è estremamente complessa ma anche estremamente simile a quella del nostro pianeta. Gli scenari che mostra sulla sua superficie spaziano da forme glaciali a forme fluviali, da forme eoliche a forme vulcaniche, da valli a rilievi montuosi, da pianure ad altipiani, eccetera. Tutti ambienti analoghi a quelli terrestri e che in passato possono potenzialmente essere stati idonei alla presenza di vita per l’esistenza di acqua liquida in superficie. Acqua che oggi è conservata nelle calotte, nel permafrost e forse in riserve sotterranee. Questo fa sì che, anche oggi, la vita in forma di microorganismi, potrebbe sussistere. Possiamo dire di aver capito molto, ormai, del Pianeta rosso. Ma rimane ancora troppo poco, purtroppo, per poter dire di avere il polso di ciò che è stata la sua storia e quella dei suoi eventuali ospiti. Quindi, ben vengano nuove esplorazioni (magari anche umane) e nuovi studi, perché la ricerca continua e le scoperte scientifiche sono in continua evoluzione».


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