Le nuove analisi basate sulle osservazioni di Jiram (Jovian InfraRed Auroral Mapper) — lo strumento a guida italiana a bordo della missione Nasa Juno – offrono una sorprendente revisione della potenza termica di Io, la luna vulcanicamente più attiva del Sistema solare. Jiram ha osservato il satellite nella banda infrarossa, rivelando un’attività termica intensa e variabile. Secondo un nuovo studio pubblicato su Frontiers in Astronomy and Space Sciences, il calore realmente emesso dalla superficie di Io potrebbe essere centinaia di volte superiore a quanto stimato finora. La causa della discrepanza non è una mancanza di dati, ma il modo in cui questi sono stati interpretati. Ne parliamo con Federico Tosi, ricercatore dell’Inaf di Roma e primo autore del lavoro.
Come è nata l’idea di rivedere le stime del calore emesso da Io, che sembravano ormai consolidate?
«Negli ultimi anni diversi lavori hanno proposto che la distribuzione del calore emesso da Io, misurata nello spettro infrarosso, potesse aiutarci a capire se sotto la sua superficie esistesse un oceano globale di magma. Tuttavia, confrontando questi risultati con altri dati di Juno e con modelli termici più dettagliati, ci siamo accorti che qualcosa non tornava: i valori di potenza termica apparivano troppo bassi rispetto alle caratteristiche fisiche dei laghi di lava che conosciamo. Da qui è nata l’idea di rianalizzare il problema alla radice, verificando quanto la banda spettrale utilizzata influenzasse le stime del calore».
Perché la banda infrarossa può ingannare sulle reali quantità di calore emesso?
«Molti studi si sono basati sulla cosiddetta banda M, tra 4.5 e 5 micron, che è una finestra dello spettro molto utile per individuare le regioni più calde di Io. Gran parte di queste osservazioni nella banda M proviene proprio da Jiram, lo strumento italiano a bordo di Juno, che ha fornito dati preziosissimi per comprendere il vulcanismo di Io. Il problema è che questa banda è sensibile solo alle temperature più elevate, e quindi tende a privilegiare le aree più incandescenti dei vulcani, trascurando quelle più fredde ma molto più estese. In pratica, è come stimare la luminosità di un falò osservandone solo le fiamme e non la brace che lo circonda: si colgono i punti più brillanti, ma non si misura tutta l’energia realmente emessa».
Cosa avete scoperto riguardo alla struttura dei laghi di lava di Io? Perché la loro composizione influisce così tanto sulle misurazioni del calore?
«Le osservazioni di Juno e le analisi successive mostrano che la maggior parte dei vulcani di Io non è composta da pozze uniformemente calde, ma da laghi di lava con un anello periferico molto caldo e luminoso e una crosta centrale più fredda e solida. Questa crosta, pur essendo meno brillante nella banda M, copre una superficie molto più ampia e quindi emette una quantità di calore complessiva enorme. Quando si considera anche questa componente “nascosta”, il flusso termico reale risulta fino a centinaia di volte superiore a quello calcolato analizzando soltanto la banda M. È un salto importante, perché cambia la scala del bilancio energetico del satellite».

Rappresentazione della potenza emessa sia dalla crosta che dall’anello di Chors Patera. Il pannello (A) mostra i contributi all’interno della banda M, mentre il pannello (B) mostra la potenza totale su tutte le lunghezze d’onda. Crediti: Alessandro Mura Inaf
Questa nuova interpretazione mette in discussione anche l’ipotesi, spesso citata, di un oceano globale di magma sotto la superficie?
«Più che mettere in discussione direttamente l’ipotesi, la nostra analisi spiega perché non sia possibile dimostrarla con dati Jiram basati solo sulla banda M. Inoltre, misure indipendenti di radio scienza ottenute da Juno non sono compatibili con la presenza di un oceano globale di magma. Anche per quanto riguarda la distribuzione dei vulcani, abbiamo verificato che circa metà dell’emissione termica totale di Io proviene da appena 17 sorgenti su 266 note: un’evidente concentrazione di energia che rende poco significative le correlazioni globali tra calore emesso e latitudine. La nostra prudenza, quindi, è ben motivata: non diciamo che quell’oceano non ci sia, ma che non può essere dedotto da queste osservazioni. È importante riconoscere i limiti dei dati disponibili prima di trarre conclusioni troppo forti su una questione tanto complessa».
Guardando al futuro, Juno continuerà a osservare Io, e nuove missioni come Juice o Europa Clipper sono in arrivo. In che modo i vostri risultati potranno contribuire a interpretare meglio ciò che osserveranno?
«Nel 2023 e nel 2024 Juno ha effettuato le osservazioni di Io più ravvicinate e dettagliate mai ottenute da una sonda spaziale. Nel prossimo anno, tuttavia, la naturale evoluzione dell’orbita della sonda non consentirà nuovi passaggi così vicini. Le future missioni verso il sistema gioviano, come Juice dell’Esa e Europa Clipper della Nasa, non avranno la possibilità di osservare Io con risoluzioni spaziali comparabili, poiché saranno dedicate principalmente a Ganimede ed Europa. Nonostante ciò, il monitoraggio di Io resta fondamentale. Il nostro studio fornisce un quadro metodologico utile per interpretare in modo più corretto anche osservazioni a distanza e per pianificare campagne di misura che tengano conto dell’emissione a diverse lunghezze d’onda. In prospettiva, questa esperienza potrà servire anche per la progettazione di future missioni specificamente dedicate a Io, che potrebbero finalmente osservare direttamente i processi che alimentano il vulcanismo più intenso del Sistema solare».
Per saperne di più:
- Leggi su Frontiers in Astronomy and Space Sciences l’articolo “Re-evaluating Io’s volcanic heat flow: critical limitations in Juno/JIRAM M-band analysis”, di F. Tosi, A. Mura e F. Zambon







