Un team internazionale di ricercatori, guidato dall’Istituto Leibniz di astrofisica di Potsdam (Aip), è intervenuto nel dibattito che da decenni anima la comunità scientifica sul motivo per cui le galassie ruotano più velocemente del previsto e se tale comportamento sia dovuto alla presenza di materia oscura o a una modifica della gravità su scala cosmica.
Lo studio, in uscita su Astronomy & Astrophysics, ha analizzato i dati sulla velocità delle stelle in dodici galassie tra le più piccole e deboli dell’universo per mettere alla prova teorie alternative come la Modified Newtonian Dynamics (Mond), proposta per la prima volta negli anni ’80, che invece di attribuire l’attrazione gravitazionale in eccesso a una materia oscura, invisibile e non rilevabile, suggerisce che la gravità a basse accelerazioni sia più forte di quanto sarebbe previsto da una pura comprensione newtoniana.

Nelle galassie a spirale come M33 (a sinistra), il legame tra materia visibile e accelerazione gravitazionale è ben consolidato. Le deboli galassie nane, come Eridanus II (a destra), mostrano accelerazioni inferiori. Lo studio rivela che il loro campo gravitazionale non può essere spiegato solo con la materia visibile e conferma la necessità della materia oscura. Crediti: Eso/ Dss2 (D. De Martin); Des (S.E. Koposov), composition: Aip (M. P. Júlio)
Secondo gli autori, le previsioni della teoria Mond non riescono a riprodurre il comportamento osservato nelle dodici galassie. Confrontando i risultati ottenuti attraverso simulazioni eseguite sul supercomputer nazionale Dirac del Regno Unito con modelli teorici che assumono la presenza di un esteso alone di materia oscura intorno a queste galassie, hanno trovato una corrispondenza significativamente migliore con i dati osservativi.
«Le galassie nane più piccole sono state a lungo in contrasto con le previsioni della Mond, ma la discrepanza potrebbe essere plausibilmente spiegata dalle incertezze di misurazione o dall’adattamento della teoria Mond», spiega Mariana Júlio, dottoranda presso Aip e prima autrice dello studio. «Per la prima volta, siamo stati in grado di risolvere l’accelerazione gravitazionale delle stelle nelle galassie più deboli a diversi raggi, rivelando in dettaglio la loro dinamica interna. Sia le osservazioni che le nostre simulazioni Edge mostrano che il loro campo gravitazionale non può essere determinato dalla sola materia visibile, contraddicendo le previsioni della gravità modificata. Questa scoperta rafforza la necessità della materia oscura e ci avvicina alla comprensione della sua natura».
La ricerca mette in discussione un presupposto di lunga data sul comportamento delle galassie. Per decenni, gli astronomi hanno ritenuto che esistesse un legame diretto tra la quantità di materia visibile in una galassia e la forza di attrazione gravitazionale da essa esercitata – una relazione nota come relazione di accelerazione radiale. Sebbene questa correlazione risulti ancora valida per i sistemi di dimensioni maggiori, il nuovo studio mostra che tende a venir meno nelle galassie più piccole.
«Il nostro nuovo studio cambia completamente il quadro, utilizzando dati migliori e un’analisi più approfondita per dedurre i profili effettivi risolti radialmente delle galassie nane», aggiunge Marcel Pawlowski, coautore dello studio. «I nostri risultati confermano il sospetto iniziale che le galassie nane non si comportino come ci si aspetterebbe dalle galassie più massicce. Esse non sono in linea con la relazione di accelerazione radiale estrapolata, ma mostrano accelerazioni maggiori o, nel quadro della materia oscura, una maggiore massa mancante».
In alcuni casi, la stessa quantità di materia visibile può produrre accelerazioni gravitazionali diverse, suggerendo che un altro fattore invisibile, molto probabilmente la materia oscura, influenzi il loro comportamento.
«I nuovi dati e le più avanzate tecniche di modellizzazione ci permettono di mappare il campo gravitazionale su scale più piccole che mai, offrendoci nuove informazioni su quella misteriosa sostanza, apparentemente invisibile, che costituisce la maggior parte della massa dell’universo», spiega Justin Read, dell’Università del Surrey, coautore dello studio. «I nostri risultati mostrano che le informazioni basate esclusivamente su ciò che possiamo osservare non bastano per determinare l’intensità del campo gravitazionale nelle galassie più piccole. Questo può essere spiegato se tali galassie sono circondate da un alone invisibile di materia oscura, poiché è la materia oscura a contenere le informazioni mancanti. Le teorie Mond, almeno nelle versioni proposte finora, invece prevedono che il campo gravitazionale dipenda unicamente da ciò che vediamo. Semplicemente, questo non sembra funzionare».
Sebbene i risultati non rivelino di cosa sia composta la materia oscura, restringono lo spazio per spiegazioni alternative. Future osservazioni di galassie ancora più deboli e distanti aiuteranno a mettere a fuoco cosa sia realmente la materia oscura.
Per saperne di più:
- Leggi su Astronomy & Astrophysics l’articolo “The radial acceleration relation at the EDGE of galaxy formation: testing its universality in low-mass dwarf galaxies” di Mariana P. Júlio, Justin I. Read, Marcel S. Pawlowski, Pengfei Li, Daniel Vaz, Jarle Brinchmann, Martin P. Rey, Oscar Agertz e Tom Holmes






