
Grace Richards, la ricercatrice a capo del team che ha mostrato che la composizione dei pennacchi di Encelado potrebbe aver origine dalle radiazioni di Saturno
Encelado, satellite di Saturno, è uno dei papabili candidati per l’abitabilità nel Sistema solare. Candidatura supportata dalla presenza di un oceano sotto la sua superficie che emette dei pennacchi acquosi in cui sono stati trovati composti organici. Fino ad ora si pensava che questi composti organici, requisito necessario per definire un pianeta abitabile, fossero presenti nell’oceano sotterraneo e da questo venissero passati poi ai pennacchi, ma grazie un team guidato da una ricercatrice dell’Istituto nazionale di astrofisica, Grace Richards, da oggi abbiamo una nuova ipotesi, presentata la scorsa settimana a Helsinki al Joint Meeting of the Europlanet Science Congress and the American Astronomical Society’s Division for Planetary Science e in uscita nel numero di ottobre di Planetary and Space Science.
Fisica sperimentale con un dottorato alla Open University (Regno Unito) sui processi d’invecchiamento spaziale (space weathering) sulla superficie ghiacciata di Encelado con un gruppo di ricerca astrobiologica, Richards è attualmente ricercatrice post dottorato nel team strumentale di Serena, strumento a bordo di BepiColombo, all’Inaf Iaps di Roma. I suoi interessi di ricerca includono i processi superficiali, le lune ghiacciate e la strumentazione spaziale, e oltre alla ricerca dedica tempo anche al lavoro con scuole per eventi di divulgazione e comunicazione della scienza.
Richards e il suo team hanno simulato la composizione del ghiaccio sulla superficie di Encelado e poi ricreato le condizioni ambientali di radiazioni attorno al satellite di Saturno. Così si sono accorti che alcune delle specie molecolari – tra cui i composti organici – che si venivano a creare erano gli stessi presenti nei pennacchi. Da qui l’ipotesi che i composti organici precursori della vita presenti su Encelado possano generarsi grazie alle radiazioni di Saturno sui pennacchi già emersi, invece che nell’oceano sotto la superficie. L’abbiamo intervistata.
Quali sono le differenze principali tra la vostra teoria e la precedente, quella in cui si afferma che i pennacchi e la loro composizione siano generati dall’oceano sotto la superficie di Encelado?
«Siamo certi che i pennacchi di Encelado provengano da un oceano globale sotterraneo composto da acqua liquida, poiché esistono molteplici evidenze a sostegno di questa ipotesi. Ad esempio, la sonda Cassini ha raccolto dati in situ sulla composizione dei pennacchi e ha studiato il campo gravitazionale di Encelado per determinarne la struttura interna. Tutti questi dati indicano un oceano globale come fonte dei pennacchi. Tuttavia, man mano che i pennacchi vengono espulsi nello spazio, il materiale può subire trasformazioni fisiche e chimiche, ad esempio cambiamenti di fase e frazionamento chimico. Pertanto, se vogliamo dedurre la composizione dell’oceano dal materiale dei pennacchi, è molto importante capire come tale materiale cambia durante il suo viaggio dall’oceano al pennacchio, poiché questo contribuisce in ultima analisi a determinare l’abitabilità di Encelado. Il nostro studio si è concentrato su un aspetto delle trasformazioni chimiche: l’ambiente di radiazione. I nostri esperimenti hanno studiato come composizioni di ghiaccio relativamente semplici possano cambiare nell’ambiente spaziale per aiutare a comprendere quale materiale possa avere meccanismi di formazione secondari all’interno dei pennacchi».

Pennacchi, grandi e piccoli, spruzzano ghiaccio e vapore acqueo da molti punti vicino al polo sud della luna di Saturno, Encelado. Crediti: Nasa/Jpl/Istituto di scienza dello spazio
Come cambia l’ipotesi di abitabilità di Encelado alla luce della vostra scoperta?
«I risultati di questi esperimenti non modificano la nostra comprensione dell’abitabilità di Encelado: abbiamo dimostrato che è possibile che il materiale presente nei pennacchi possa essere generato anche nell’ambiente spaziale, e che i tempi necessari per la formazione di tale materiale sono simili alla durata della permanenza del materiale nei pennacchi. Non intendiamo dire che questo materiale non possa potenzialmente provenire anche dall’oceano, ma che ci sono altri processi di cui tenere conto. Questo aiuta a vincolare le molecole che utilizziamo come indicatori di abitabilità, poiché se individuiamo specie chimiche che potrebbero essere considerate importanti per la chimica prebiotica, vogliamo essere sicuri che non abbiano una fonte abiotica».
Quali potrebbero essere i prossimi passi per avvalorare l’ipotesi che le molecole organiche nei pennacchi acquosi si originino grazie alla radiazione di Saturno?
«I pennacchi di Encelado contengono diverse specie organiche e i dati di Cassini sono ancora in fase di rianalisi. Consigliamo cautela nell’utilizzare alcune delle specie chimiche presenti nei pennacchi come biomarcatori, poiché alcune di esse potrebbero essere formate da processi abiotici come l’irradiazione nella magnetosfera di Saturno, oltre ad avere origine nell’oceano. Abbiamo anche utilizzato una sola composizione di ghiaccio, che presentava una maggiore abbondanza di specie minori, come l’anidride carbonica, rispetto a quella presente sulla superficie di Encelado. Volevamo aumentare i prodotti radiolitici per rilevarli, e avevamo anche dei limiti nella possibilità di formare il ghiaccio in laboratorio, poiché molte delle specie sono piuttosto volatili, il che significa che amano trovarsi in fase gassosa. Esperimenti futuri coinvolgeranno diverse composizioni di ghiaccio per limitare le possibilità di ghiacci presenti sulla superficie di Encelado».
E come hanno reagito gli scienziati che supportavano la precedente teoria sui pennacchi di Encelado a questa nuova alternativa?
«L’obiettivo principale di questo studio era cercare di distinguere tra i numerosi processi che possono modificare il materiale oceanico espulso nello spazio attraverso i pennacchi. È ampiamente riconosciuto nella comunità scientifica che molteplici processi si verificano sia all’interno dei pennacchi che sulla superficie ghiacciata per modificare il materiale: l’erosione spaziale è un campo di studio molto vasto! Abbiamo evidenziato solo un processo specifico, l’irradiazione di ioni del gruppo dell’acqua, come un modo per modificare e formare il materiale presente nei pennacchi. I prodotti di radiolisi che abbiamo formato sono stati identificati sulla base di molti studi precedenti condotti da altri gruppi di astrochimica che hanno irradiato ghiacci simili, quindi i prodotti di formazione non sono stati particolarmente sorprendenti; li abbiamo solo collegati ai processi che si verificano su Encelado».
Per saperne di più:
- Leggi su Planetary and Space Science l’articolo “Water-group ion irradiation studies of Enceladus ice analogues: Can radiolysis account for material in and around the south polar plume?”, di Grace Richards, Richárd Rácz, Sándor T.S. Kovács, Victoria Pearson, Geraint Morgan, Manish R. Patel, Simon Sheridan, Duncan V. Mifsud, Béla Sulik, Sándor Biri, Nigel J. Mason, Robert W. McCullough e Zoltán Juhász






