Schierati come gli undici giocatori di una squadra di calcio. A presiedere il confine tra due ammassi di galassie. Stanno facendo parlare di sé per due ragioni: non ci si aspettava di trovarne così numerosi, in un’area larga “solo” quaranta milioni di anni luce, e poi perché non ci si aspettava di trovarli lì, al bordo fra due strutture di galassie in evoluzione. Sono gli undici quasar scoperti da un gruppo internazionale di ricercatori guidati da Yongming Liang dell’Università di Tokyo e del National Astronomical Observatory of Japan. La scoperta più che raddoppia il record precedente, che era di cinque quasar in una stessa struttura, ed è stata pubblicata su The Astrophysical Journal questa settimana.
L’Himalaya cosmico (colonna arancione) spicca in questo istogramma che confronta il numero di quasar rivelati nella sovradensità con quello degli oggetti in altre regioni (punti neri). Crediti: Sdss, Liang et al.
La sorprendente formazione di quasar è stata scoperta grazie ai dati della Sloan Digital Sky Survey (Sdss), una delle più grandi campagne osservative mai realizzate, che ha mappato circa un terzo del cielo notturno. Sovradensità – o overdensity, in inglese – viene detta un’associazione di oggetti che non sono distribuiti a caso nel cielo ma fanno parte di una stessa struttura, più densamente popolata di quanto accada in media nell’universo circostante. Questa sovradensità svetta in modo particolare, rispetto alle altre regioni del cielo, come si vede nel grafico qui accanto. Per questo i ricercatori l’hanno ribattezzata col roboante nome di Himalaya cosmico (“Cosmic Himalayas”, in inglese). O per lo meno, questo è uno dei motivi.
Il secondo motivo lo hanno fornito agli astronomi i dati dell’Hyper Suprime-Cam, camera montata sul telescopio da 8.2 metri Subaru, situato alle Hawaii. Curiosi di approfondirne la natura, i ricercatori hanno scandagliato un’area di cielo che si estende per centocinquanta milioni di anni luce attorno a questi quasar. Scoprendo centinaia di giovani, flebili galassie, aggregate in due ammassi in piena crescita. Il fatto anomalo è che la sovradensità dei quasar non coincide spazialmente con nessuno dei due ammassi di galassie. Bensì, gli undici oggetti sono situati al confine fra queste due gigantesche strutture in evoluzione, un po’ come una catena di montagne, elemento di separazione tra regioni distinte. Da qui la seconda ragione per l’epico nome di Himalaya cosmico.
L’Himalaya cosmico in un’immagine del telescopio Subaru (immagine di sfondo). Gli undici quasar sono visibili nei quadrati. La regione rossa e quelle blu indicano rispettivamente la sovradensità dei quasar e le due sovradensità di galassie. Crediti: Subaru Telescope, Sdss, Liang et al.
Hanno partecipato alla scoperta Sebastiano Cantalupo e Andrea Travascio dell’Università di Milano Bicocca. «Questa regione di universo corrisponde alla più grande concentrazione di quasar osservati dalla survey Sdss, sorprendentemente, però le nostre osservazioni con il telescopio Subaru non hanno mostrato in questa regione una corrispondente concentrazione di galassie che emettono nell’ottico. Anzi, le osservazioni attuali sembrano suggerire che i quasar si trovino al bordo di due concentrazioni di galassie. Non esattamente il posto dove ci saremmo aspettati di trovarli», dice Cantalupo a Media Inaf. E aggiunge: «Non abbiamo ancora una chiara spiegazione per questo. Una possibilità è che nella regione dei quasar ci siano delle galassie oscurate da polveri o più difficili da individuare nell’ottico. Stiamo conducendo osservazioni addizionali a diverse lunghezze d’onda per cercare di fare luce su questa questione».
I quasar sono fra gli inquilini più vivaci dell’universo. Alimentati da copiose quantità di gas in caduta su di un buco nero supermassiccio, producono talmente tanta luce da eclissare le galassie che li ospitano. Sono degli animali da palcoscenico, insomma. Si ritiene che le interazioni fra galassie favoriscano l’approvvigionamento di materiale da parte dei buchi neri situati nelle loro regioni nucleari. In quelle grandi concentrazioni di oggetti che sono gli ammassi di galassie, le interazioni sono più frequenti e dunque ci si aspetta che i buchi neri supermassicci si accendano come quasar più facilmente che altrove. Ecco perché la posizione dell’Himalaya cosmico ha lasciato i ricercatori sbalorditi. Alla luce delle teorie attuali, gli scienziati si sarebbero aspettati di trovarlo piazzato al centro di uno dei due ammassi, piuttosto che in questa regione di confine. Questa scoperta costringe gli scienziati a riconsiderare gli ambienti in cui i buchi neri supermassicci si evolvono.
In questa immagine le “X” in giallo indicano la posizione degli undici quasar, al confine tra i due ammassi di galassie. La scala di colore rappresenta la densità di idrogeno, più alta nelle regioni rosse (gas neutro) e più bassa in quelle blu (gas ionizzato). I contorni neri indicano la densità di galassie, mentre le aree grigie sono state mascherate a causa della scarsa copertura o per la presenza di stelle nelle vicinanze. L’immagine in basso mostra invece la catena montuosa dell’Himalaya, che ha ispirato il nome della struttura appena scoperta. Crediti: Subaru Telescope/Sdss, Liang et al.; Google, Image Landsat/Copernicus
«Abbiamo scoperto che questi quasar si raccolgono ai margini di una zona in cui le condizioni cambiano», afferma Liang. «Questo potrebbe indicare che la loro potente radiazione sta attivamente rimodellando il gas circostante, mentre, allo stesso tempo, i quasar potrebbero tracciare regioni in cui strutture massicce come gli ammassi di galassie sono ancora in fase di assemblaggio. Ecco perché l’abbiamo chiamata Himalaya cosmico: si staglia come una catena montuosa che separa strutture distinte nell’universo primordiale».
I ricercatori hanno studiato anche la distribuzione dell’idrogeno nel mezzo intergalattico, ovvero il gas diffuso tra una galassia e l’altra. Scoprendo che la zona in cui risiedono i quasar coincide con la regione di transizione dall’idrogeno neutro a quello ionizzato. «Trovare una tale concentrazione di buchi neri attivi – e scoprire che la distribuzione delle galassie e dei gas circostanti si discosta dalla nostra immagine convenzionale dell’universo – è davvero sorprendente», afferma il professor Masami Ouchi, membro del team. «Potrebbe essere che abbiamo semplicemente trovato un posto unico e speciale nel cosmo. Ma potrebbe anche indicare qualcosa di più profondo: forse stiamo assistendo a un raro momento nella storia cosmica in cui molti buchi neri diventano attivi tutti insieme. Studi futuri saranno essenziali per svelare la vera natura di questa scoperta».
Un ambiente in effervescente evoluzione, dunque, quello rivelato dall’Himalaya cosmico, in cui due grandi strutture stanno crescendo lungo un filamento, ovvero una struttura allungata su grande scala, e galassie, buchi neri supermassicci e gas intergalattico si stanno evolvendo in maniera simultanea.
L’Himalaya cosmico lo si può ammirare a 10,8 miliardi di anni luce dalla Terra, guardando verso la costellazione della Balena. Per il futuro i ricercatori vogliono approfondirne la natura con il Prime Focus Spectrograph, spettrografo sempre del telescopio Subaru, che aiuterà a comprendere meglio come certe strutture si evolvano fino ad assumere la conformazione che osserviamo nell’universo di oggi.
Per saperne di più:
- Leggi su The Astrophysical Journal l’articolo “Cosmic Himalayas: The Highest Quasar Density Peak Identified in a 10,000 deg2 Sky with Spatial Discrepancies between Galaxies, Quasars, and IGM HI” di Yongming Liang, Masami Ouchi, Dongsheng Sun, Nobunari Kashikawa, Zheng Cai, Sebastiano Cantalupo, Kentaro Nagamine, Hidenobu Yajima, Takanobu Kirihara, Haibin Zhang, Mingyu Li, Rhythm Shimakawa, Xiaohui Fan, Kei Ito, Masayuki Tanaka, Yuichi Harikane, J. Xavier Prochaska, Andrea Travascio, Weichen Wang, Martin Elvis, Giuseppina Fabbiano, Junya Arita, Masafusa Onoue, John D. Silverman, Dong Dong Shi, Fangxia An, Takuma Izumi, Kazuhiro Shimasaku, Hisakazu Uchiyama e Chenghao Zhu