L’universo è in espansione, ma la velocità con cui sta avvenendo è al centro di un acceso dibattito, noto come tensione di Hubble. Questo nome deriva dalla celebre costante di Hubble, che sembra assumere valori diversi a seconda che venga calcolata a partire dalle misurazioni sull’universo primordiale oppure da osservazioni dell’universo locale. Se confermata, questa discrepanza metterebbe in discussione il modello standard della cosmologia, attualmente la teoria più solida a nostra disposizione per descrivere l’universo. Tuttavia, un nuovo studio guidato da Wendy Freedman, scienziata dell’Università di Chicago, non ha riscontrato anomalie. Utilizzando i dati del telescopio spaziale James Webb (Jwst), il team non ha rilevato discrepanze significative nei valori ottenuti.
Gli scienziati hanno calcolato in modo più preciso la velocità di espansione dell’universo, utilizzando i dati raccolti dal potente telescopio spaziale James Webb su diverse galassie. Qui sopra, l’immagine di Webb di una di queste galassie, nota come Ngc 1365. Crediti: Nasa, Esa, Csa, Janice Lee (NoirLab), Alyssa Pagan (StScI)
Esistono due principali approcci per calcolare la velocità di espansione dell’universo. Il primo si basa sull’osservazione del fondo cosmico a microonde, la radiazione fossile del Big Bang, che offre agli astronomi preziose informazioni sulle condizioni dell’universo primordiale. Il secondo approccio, nel quale Freedman è specializzata, consiste invece nel misurare la velocità di espansione dell’universo attuale, ovvero dell’universo locale. Paradossalmente, quest’ultimo metodo è molto più complesso, perché richiede misurazioni estremamente precise delle distanze cosmiche – un compito tutt’altro che semplice.
Negli ultimi cinquant’anni circa, gli scienziati hanno ideato diversi metodi per misurare le distanze cosmiche relativamente vicine. Uno dei più noti si basa sull’osservazione delle supernove di tipo Ia, una tipologia di supernove originata dall’esplosione di una nana bianca. Poiché il picco di luminosità di queste esplosioni è ben conosciuto, confrontarlo con la loro luminosità apparente consente di calcolarne la distanza.
Freedman ha sviluppato altri due metodi, sfruttando le proprietà di due tipi di stelle: le stelle all’apice del ramo delle giganti rosse (Trgb, dall’inglese tip of the red giant branch) – stelle di bassa massa in una fase evolutiva molto avanzata, poco prima dell’accensione dell’elio nel loro nucleo – e le stelle al carbonio (Jagb, dall’inglese J-band asymptotic giant branch), una sottoclasse delle stelle del ramo asintotico delle giganti, particolarmente luminose nella banda J dell’infrarosso.
Nello studio appena pubblicato su The Astrophysical Journal, gli autori presentano gli ultimi risultati del programma Chicago-Carnegie Hubble Project (Cchp), volto alla misurazione della costante di Hubble utilizzando i dati di Jwst. Il programma ha l’obiettivo di calibrare tre metodi indipendenti per la determinazione della costante: quello basato sulle stelle Trgb, quello sulle Jagb e quello che impiega le Cefeidi.
Lo studio si basa su un campione di 10 galassie vicine che ospitano in totale 11 supernove di tipo Ia, oltre alla galassia Ngc 4258, la cui distanza geometrica fornisce una calibrazione di riferimento fondamentale. Nell’articolo vengono discussi i risultati ottenuti tramite i due metodi basati sulle stelle Trgb e Jagb, che portano a una stima della costante di Hubble pari a 70,39 ± 1,22 (stat) ± 1,33 (sist) ± 0,70 (σₛₙ) km s⁻¹ Mpc⁻¹. Questo valore si basa esclusivamente sul metodo Trgb, utilizzando un totale di 24 supernove di tipo Ia come calibratori, derivate dai dati del Telescopio Spaziale Hubble (Hst) e del Jwst.
Considerando invece solo i nuovi dati ottenuti con Jwst, gli autori trovano un valore di 68,81 ± 1,79 (stat) ± 1,32 (sist) km s⁻¹ Mpc⁻¹ per il metodo Trgb e 67,80 ± 2,17 (stat) ± 1,64 (sist) km s⁻¹ Mpc⁻¹ per il metodo Jagb.
Le distanze misurate con i metodi Trgb e Jagb risultano in accordo tra loro a un livello superiore all’uno per cento, e mostrano una concordanza con le distanze derivate dalle Cefeidi del programma SHoES (Supernovae, H₀, for the Equation of State) a un livello di poco superiore all’uno per cento.
I risultati ottenuti sono coerenti con il modello cosmologico standard ΛCdm (Lambda Cold Dark Matter), che descrive un universo composto principalmente da materia oscura fredda ed energia oscura, senza richiedere l’introduzione di nuova fisica. Tuttavia, per affinare ulteriormente la precisione e l’accuratezza della scala delle distanze locali, saranno necessari nuovi dati osservativi di Jwst.
Prossimamente, Freedman e il suo team utilizzeranno Jwst per effettuare misurazioni nell’Ammasso della Chioma, un gruppo di galassie che potrà fornire ulteriori dati da una prospettiva indipendente. «Queste misurazioni ci permetteranno di determinare direttamente la costante di Hubble, senza il passaggio dell’osservazione delle supernove», spiega Freedman.
In sintesi, l’ultima stima della costante di Hubble ottenuta da Freedman, che integra i dati di Hst e Jwst, fornisce un valore di circa 70,4 chilometri al secondo per megaparsec, con un’incertezza di circa il 3 per cento. Questo valore risulta statisticamente compatibile con le più recenti misurazioni del fondo cosmico a microonde, che indicano un valore di 67,4 chilometri al secondo per megaparsec, con un’incertezza inferiore all’uno per cento.
Con una (apparente) buona pace per la costante della discordia.
Per saperne di più:
- Leggi su The Astrophysical Journal l’articolo “Status Report on the Chicago-Carnegie Hubble Program (CCHP): Measurement of the Hubble Constant Using the Hubble and James Webb Space Telescopes” di Wendy L. Freedman, Barry F. Madore, Taylor J. Hoyt, In Sung Jang, Abigail J. Lee e Kayla A. Owens