CON UN COMMENTO DI PIETRO BOLLI DELL’ISTITUTO NAZIONALE DI ASTROFISICA

Segnale radio? Era solo una trasmissione tv

Una nuova tecnica per il riconoscimento dei segnali di disturbo nelle radiofrequenze è stata proposta da una coppia di ricercatori della Brown University e potrebbe essere d'aiuto nella lotta all'inquinamento del cielo radio. A dare il via allo studio, il riconoscimento di un segnale di interferenza radio proveniente da un'emittente televisiva australiana rimbalzato su un aereo di linea

     03/03/2025

Mentre la crescente attività dei satelliti in orbita intorno alla Terra minaccia il futuro della radioastronomia, un segnale televisivo casualmente riflesso da un aereo di linea ha spinto un gruppo di ricerca della Brown University negli Stati Uniti a elaborare una nuova tecnica per individuare – ed eliminare – i segnali radio indesiderati che costituiscono una fonte di disturbo per i radiotelescopi.

Per un certo periodo di tempo, durante l’analisi dei dati prodotti dal Murchison Widefield Array (un radiotelescopio situato nell’Australia occidentale), gli astronomi si sono imbattuti inaspettatamente nell’interferenza di un segnale che non proveniva dalle fonti astronomiche che stavano studiando. Il fatto risultava decisamente strano, perché il radiotelescopio si trova in una zona di silenzio radio regolata dal governo australiano per tutte le apparecchiature di radiocomunicazione – compresi i trasmettitori televisivi, i dispositivi bluetooth, i telefoni cellulari – con lo scopo di ridurre al minimo le interferenze con i telescopi situati in quella zona.

Il Murchison Widefield Array, situato nell’Australia occidentale. Questa immagine ritrae una parte delle antenne dell’array. Crediti: Natasha Hurley-Walker/Mwa Collaboration & Curtin University

«Erano quasi cinque anni che vedevamo questi segnali e diverse persone avevano ipotizzato che si trattasse di aerei che riflettevano segnali di trasmissioni televisive. Ci siamo resi conto che per una volta avremmo potuto confermare questa teoria», dice Jonathan Pober della Brown University (Usa), responsabile del programma di ricerca statunitense per il Murchison Widefield Array.

Lo studio, pubblicato il mese scorso su Publications of the Astronomical Society of Australia, non solo conferma l’ipotesi che i segnali provengono da un aereo ma fornisce anche un nuovo metodo per identificare e filtrare le radiofrequenze indesiderate: un obiettivo che diventa sempre più importante man mano che i cieli della Terra, con il dispiegamento di un sempre maggiore numero di satelliti, diventano più rumorosi .

«L’astronomia sta affrontando una crisi esistenziale. C’è una crescente preoccupazione – anche riportata in alcuni documenti ufficiali – per il fatto che gli astronomi potrebbero presto non essere in grado di effettuare osservazioni radio di alta qualità, come le conosciamo, a causa delle interferenze delle costellazioni satellitari», ricorda Pober. «Questo è particolarmente difficile per telescopi come il Murchison Widefield Array, che osserva l’intero cielo contemporaneamente. Non c’è modo di puntare i nostri telescopi lontano dai satelliti».

«Tradizionalmente, quando nei dati dei radiotelescopi vengono rilevati segnali indesiderati, noti come interferenze di radiofrequenza (Rfi), i dati vengono scartati in quanto contaminati. Questo perché questi segnali sono imprevedibili e, senza un modello chiaro della loro origine, è quasi impossibile sottrarli dai dati», spiega prima autrice dello studio, Jade Ducharme, della Brown University. «Si finisce per buttare via una quantità pazzesca di dati per non contaminare nessuna parte dell’osservazione».

Per Ducharme e Pober, il nuovo studio è utile per gettare le basi di una soluzione a questo enorme problema, sviluppando un nuovo metodo per rintracciare le interferenze nelle frequenze radio provenienti da oggetti vicini. Per farlo, si sono combinate due tecniche di tracciamento già esistenti. La prima è nota come correzioni del campo vicino, e regola il telescopio in modo tale da mettere a fuoco gli oggetti più vicini alla Terra che normalmente causano interferenze. I telescopi sono progettati per guardare in profondità nello spazio ma le correzioni del campo vicino permettono loro di seguire con maggiore precisione gli oggetti a poca distanza. La seconda tecnica, il beamforming, affina la messa a fuoco di un oggetto creando un “fascio” più preciso che individua la provenienza dell’interferenza, in questo caso il rimbalzo di un aereo.
Combinando i due metodi, i ricercatori hanno tracciato l’aereo e analizzato la curvatura delle onde radio riflesse sulla sua superficie. Ciò ha permesso di calcolare che l’aereo volava a una quota di circa 11.5 km e si muoveva alla velocità di poco meno di ottocento km/h. Pober e Ducharme hanno anche scoperto che il segnale di interferenza che rimbalzava sull’aereo proveniva dalla banda di frequenza associata a Channel 7 della tv digitale australiana.

«Si tratta di un passo fondamentale verso la possibilità di sottrarre dai dati le interferenze causate dall’uomo», dice Pober. «Identificando e rimuovendo con precisione solo le fonti di interferenza, gli astronomi possono sfruttare un maggior numero di osservazioni, ridurre la perdita di dati e aumentare le possibilità di fare importanti scoperte».

I prossimi passi del progetto prevedono il tentativo di rimuovere effettivamente i segnali di interferenza trasmessi dai dati analizzati con il Murchison Widefield Array. L’obiettivo è poi quello di perfezionare ulteriormente il metodo e di estenderlo per filtrare le interferenze dei satelliti e di altri oggetti spaziali, il cui tracciamento è molto più impegnativo.

Altre antenne del Murchison Widefield Array. Crediti: Icrar/Curtin

«Per garantire coperture più capillari e connessioni più veloci, oltre alle nuove generazioni di telefonia mobile terrestre, nei prossimi anni verranno lanciati in orbita circa dieci satelliti ogni giorno. Ciò rappresenta una notevole minaccia alla radioastronomia che già oggi vede molte delle proprie osservazioni dell’universo contaminate dalla presenza di interferenze a radiofrequenza prodotte da sistemi di telecomunicazioni», commenta il referente Inaf per la protezione delle bande di frequenza assegnate al servizio di radioastronomia, Pietro Bolli, non coinvolto nello studio della Brown University. «Come evidenziato nello studio di Ducharme e Pober, anche radiotelescopi localizzati in zone estremamente remote, quali il deserto australiano, non sono immuni da tali disturbi: la sensibilità degli strumenti radioastronomici è infatti tale che un emettitore televisivo terrestre può produrre segnali spuri verso il cielo che riflessi dalla fusoliera di un aereo tornano a terra finendo nel fascio di radiazione del radiotelescopio assieme al segnale naturale prodotto dall’universo».

Si prevede che il boom di satelliti si espanderà ulteriormente nei prossimi decenni, ponendo una sfida importante alla capacità della radioastronomia di studiare fenomeni come i buchi neri, la formazione delle galassie e le origini dell’universo. Ma cosa possiamo fare? «Se non riusciamo a trovare un cielo tranquillo sulla Terra, forse la Terra non è il posto giusto», dice Pober. «Qualunque cosa facciamo, non abbiamo altra scelta che investire in migliori tecniche di analisi dei dati per identificare e rimuovere le interferenze generate dall’uomo».

«I radioastronomi si adoperano per arginare problematiche di questa natura contribuendo ai tavoli che regolamentano l’utilizzo dello spettro radio e sviluppando tecniche di monitoraggio e mitigazione hardware e, come in questo caso, software sempre più evolute per riconoscere il segnale interferente e sottrarlo dal dato celeste minimizzando così la perdita di informazioni utili», cocnlude Bolli. «Se i radioastronomi riusciranno a ingegnarsi con tecniche di mitigazione sempre più avanzate per preservare le proprie osservazioni, oppure se sarà veramente necessario costruire i futuri radiotelescopi nella faccia nascosta della Luna – sempre che le interferenze non arrivino anche là… – lo capiremo solo in futuro».

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