IL VULCANO È DI NUOVO PROTAGONISTA DI UNA APOD

Gli anelli di fumo dell’Etna affascinano la Nasa

Le sorprendenti emissioni circolari del vulcano siciliano immortalate dall’astrofotografo siracusano Dario Giannobile, che è riuscito a cogliere un particolare momento di luci e suggestioni, sono state scelte come immagine astronomica del giorno. E proprio sull’Etna è in programma a breve una missione dei geologi planetari dell’Inaf per studiare le lave recenti e confrontarle con quelle dei vulcani di Venere

     23/04/2024

“Luna e anelli di fumo dall’Etna” è la foto selezionata come Apod della Nasa del 22 aprile 2024. Crediti e copyright: Dario Giannobile

La notizia e le immagini degli “anelli di fumo” fuoriusciti dall’Etna hanno fatto il giro del mondo. Ma se aggiungiamo un’alba scaldata dalla luce rossa del Sole e una falce di Luna in cielo, ecco che il paesaggio diventa ancora più spettacolare tanto da finire come foto del giorno scelta dalla Nasa per la rassegna di immagini Apod – Astronomy Picture of the Day.

L’eccezionale scatto è stato eseguito all’alba del 7 aprile dall’astrofotografo siracusano Dario Giannobile, che si è recato a Gangi, in Sicilia, per catturare questo suggestivo momento. Nell’immagine scelta, sono visibili più anelli di fumo, o meglio di vapore, emessi con grande sorpresa in questi giorni dall’Etna, il più grande vulcano attivo d’Europa.

Tecnicamente noti come “anelli di vortice vulcanico” (volcanic vortex rings), i cerchi vaporosi vengono generati dalle esplosioni di bolle di gas all’interno di un condotto stretto sopra una camera magmatica.  Quando il magma sale attraverso il condotto, infatti, la pressione circostante diminuisce, permettendo ai gas disciolti di emergere sotto forma di bolle. Se il magma non è troppo viscoso, le bolle possono fondersi in singolari sacche di gas pressurizzato. Quando si avvicinano allo sfiato, queste sacche di gas possono depressurizzarsi violentemente ed esplodere, spingendo il vapore caldo verso l’alto a velocità elevate, fino a 40 metri al secondo. A quel punto, le pareti del vulcano rallentano leggermente la risalita degli sbuffi di fumo verso l’esterno, facendo muovere più velocemente il gas interno e creando un cerchio di bassa pressione che fa sì che lo sbuffo di gas e cenere vulcanica emesso si avvolga in un anello, una struttura geometrica familiare che può essere sorprendentemente stabile mentre sale.

Studiati dalla fine del diciannovesimo secolo – ma i primi avvistamenti sull’Etna risalgono al 1724 – gli anelli vulcanici sono piuttosto rari e richiedono una coincidenza tra la geometria del condotto, la giusta velocità del fumo espulso e la relativa calma dell’atmosfera esterna. Il fenomeno è stato documentato in diversi apparati vulcanici, tra cui il Vesuvio, lo Stromboli, i vulcani Eyjafjallajökull e Hekla in Islanda, e Momotombo in Nicaragua. Ma, sempre secondo i vulcanologi, nessun vulcano sulla Terra produce tanti anelli di vapore quanto l’Etna.

Il Maat Mons, qui in prospettiva tridimensionale generata al computer, è il rilievo vulcanico più elevato del pianeta Venere: si eleva a quasi 5 chilometri sopra il terreno circostante. Crediti: Jet Propulsion Lab / Nasa

Il vulcano siciliano, per le sue particolari caratteristiche eruttive e geomorfologiche, è speciale e interessante per tanti altri studi scientifici. Per capire cosa sta succedendo ai vulcani di Venere, ad esempio. A questo scopo, nelle prossime settimane, un gruppo di ricerca guidato da Piero D’Incecco dell’Inaf d’Abruzzo tornerà sull’Etna con una squadra di geologi planetari, vulcanologi, planetologi ed esperti di spettrografia per raccogliere i campioni della lava fuoriuscita più recentemente dai crateri etnei.

«L’ultima missione Magellano su Venere ci ha mostrato un pianeta ricoperto da ampi bacini di lava solidificata con centinaia di vulcani. Un recente studio ha confermato che c’è attività vulcanica in corso su Venere, ma abbiamo bisogno di capire di più su che tipo di vulcanismo sia in atto e sul passato geologico del pianeta», dice D’Incecco a Media Inaf. «Per questo motivo, la comparazione spettrale tra i materiali vulcanici “giovani” provenienti dall’Etna con quelli sulla superficie di Venere ci servirà per vedere sostanzialmente come poter identificare e classificare le lave eruttate in tempi recenti dai crateri dell’Idunn Mons e di altri vulcani sul pianeta venusiano».

Dunque, i vulcani su Venere sono ancora attivi? Erutteranno con violente esplosioni o lente effusioni? Potranno anch’essi fare “giochi di fumo”? C’è ancora tanto da scoprire sui misteri del vulcanismo di Venere e il progetto Avengers (Analogs for Venus’ Geologically Recent Surfaces), guidato dall’Inaf d’Abruzzo, si occuperà proprio di selezionare e studiare una serie di vulcani attivi sulla Terra come “pianeta gemello” di Venere. «La collaborazione multidisciplinare tra astrofisici, geologi planetari e vulcanologi», conclude D’Incecco, «sta gettando nuova luce sui fenomeni venusiani. E questa sinergia tra gli esperti sarà protagonista anche della nostra prossima attività di campionamento e analisi delle eruzioni vulcaniche di lava fluida, prevista verso la fine dell’estate, sui vulcani delle Hawaii».