IN OCCASIONE DELLA SCOPERTA DI BH3, RIPERCORRIAMO LA STORIA DI LB-1

Che fine ha fatto il buco nero da 70 masse solari?

Questa mattina è stata annunciata la scoperta di un buco nero stellare di 33 masse solari, presentato come il più massiccio a oggi noto nella Via Lattea. Ma nel 2019 su Nature era stata data notizia di un altro buco nero stellare, sempre nella nostra galassia, di 70 masse solari. Che fine ha fatto? Come mai è stato spodestato? Per capirlo, abbiamo intervistato l’astrofisico Mario Lattanzi dell’Inaf di Torino, coautore di entrambe le scoperte

     16/04/2024

Mario Lattanzi, dirigente di ricerca all’Inaf di Torino e coautore sia dell’articolo pubblicato su Nature nel 2019 sul buco nero Lb-1 sia di quello pubblicato oggi su ApJL su Bh3, il buco nero da 33 masse solari. Crediti: Inaf

È di oggi l’annuncio della scoperta del buco nero di massa stellare più grande a oggi noto nella nostra galassia, la Via Lattea. Si trova a meno di duemila anni luce da noi, è stato chiamato Bh3 – essendo il terzo oggetto di questo tipo individuato grazie al telescopio spaziale Gaia dell’Agenzia spaziale europea – e la sua massa stimata è pari a 33 volte quella del Sole. Va sottolineato che parliamo di un buco nero di massa stellare, dunque di una categoria completamente diversa rispetto ai “pesi massimi” che si trovano al centro delle galassie – nel caso della nostra, il buco nero supermassiccio Sagittarius A*, un mostro da oltre quattro milioni di masse solari. L’annuncio odierno potrebbe comunque lasciare perplessi, perché qualche anno fa – era il 2019 – avevamo dato notizia di un altro buco nero della Via Lattea – si chiama Lb-1, ed è anch’esso di massa stellare – da ben 70 masse solari. Enorme, dunque, al punto che avevamo intitolato la news “Quel buco nero non dovrebbe esistere”.

Che fine ha fatto, Lb-1? Come mai è stato spodestato da un oggetto, il buco nero Bh3 annunciato oggi, che pesa poco più della metà? E cosa c’è di diverso, fra le due scoperte? Per capirlo abbiamo raggiunto uno degli autori dello studio pubblicato su Nature nel 2019, l’astrofisico Mario Lattanzi dell’Inaf di Torino.

Lattanzi, che è successo a Lb-1? Vi eravate sbagliati? Non esiste, quel buco nero?

«Esiste, esiste. Era stato individuato attraverso una survey spettroscopica con il metodo delle velocità radiali, lo stesso che si usa per cercare gli esopianeti. In quel caso, esattamente come nel caso di Bh3, si trattava infatti di un buco nero in un sistema binario, e quel che si vedeva era il moto della stella compagna che gli orbitava attorno. Solo che, mentre quando sono in gioco i pianeti osserviamo velocità radiali che si misurano in metri al secondo, nel caso della stella in orbita attorno a Lb-1 erano decine di chilometri al secondo. Insomma, è fuori dubbio che le ragioni che il sistema Lb-1 contenga un buco nero sono ancora tutte in campo. Ma è sempre più probabile che la sua massa andrà ridimensionata. Il fatto è che si tratta di un oggetto problematico».

In che senso, problematico?

«Anzitutto, l’oggetto osservato spettroscopicamente era una stella Be, caratterizzata da righe di emissione, più emissione nella riga Hα dovuta ad un disco di gas attorno alla compagna invisibile. Dunque era un oggetto piuttosto complesso, e non si capiva bene se il periodo misurato di circa 80 giorni era relativo al moto del disco di materia attorno alla stella invisibile o al moto orbitale della stessa Be. Insomma, c’erano alcune ambiguità. I dati astrometrici di Gaia, che fornimmo ai colleghi cinesi, permisero di porre un primo vincolo: sicuramente era un sistema binario, dunque c’era senza dubbio qualcosa che causava la forte variazione periodica nella velocità radiale osservata. Ma a differenza del buco nero Bh3, che dista meno di duemila anni luce da noi, Lb-1 era molto lontano. Non solo: non era facile stabilire esattamente quanto. Dobbiamo infatti ricordare che, nel 2019, erano disponibili solo i dati della seconda release di Gaia, la Dr2».

Rappresentazione artistica del sistema composto dal buco nero Lb-1 e dalla sua stella compagna. Crediti: Jingchuan Yu

E questo è rilevante per il calcolo della massa?

«Sì, certo. Per derivare la massa di un oggetto dall’osservazione della variazione delle velocità radiali occorre conoscere alcuni parametri del sistema. L’inclinazione dell’orbita rispetto a noi che la osserviamo, per esempio: minore è l’inclinazione e maggiore è la massa “vera” rispetto alla massa minima che noi stimiamo. Purtroppo il periodo orbitale di Lb-1 era attorno agli ottanta giorni: un’orbita quindi relativamente troppo breve e stretta per consentire a una survey come quella di Gaia un’agevole ricostruzione astrometrica dell’inclinazione dell’orbita della stella del sistema Lb-1 attorno al buco nero. Un altro parametro è appunto la distanza. È solo con la Dr3 – la terza release dei dati di Gaia – che abbiamo potuto stimare la distanza di Lb-1 da noi in modo affidabile: 2,78 kiloparsec (circa novemila anni luce), dunque molto meno degli oltre quattro kiloparsec delle stime iniziali suggerite dai dati spettroscopici. E questo ha un ovvio impatto sulla stima della separazione lineare tra la stella Be dal buco nero, visto che l’effetto astrometrico va con l’inverso della distanza».

Riepilogando: il buco nero in Lb-1 c’è, ma la sua massa non è di 70 masse solari come avevate riportato nell’articolo su Nature del 2019…

«Il ragionamento che facemmo quando arrivarono i dati della terza release fu questo: se la massa fosse stata quella che avevamo riportato, nonostante si fosse quasi dimezzata la distanza dell’oggetto avremmo comunque dovuto vedere un segnale astrometrico orbitale almeno doppio di quello che in realtà si vede. Ecco allora che occorre diminuire la massa: grosso modo da 70 a 35 masse solari. In realtà il calcolo non è così lineare, comunque parliamo di un valore che guarda caso si avvicina alle 33 masse solari di Bh3, il buco nero del nuovo studio».

Ecco, veniamo al “nuovo” buco nero, Bh3, il protagonista dello studio pubblicato oggi. Il metodo con il quale è stato scoperto è esattamente lo stesso di Lb-1?

«Sì, il metodo è identico, anche se, contrariamente a Lb-1, in questo caso la scoperta è tutta di Gaia visto che l’oggetto non era noto come binaria spettroscopica. Quando il gruppo di Gaia che si occupa di binarie s’imbatte in uno di questi sistemi, se si vede un solo membro della coppia subito inizia a sospettare la possibile presenza di un “compagno oscuro”, diciamo».

Se il metodo è lo stesso, perché in questo caso il risultato dovrebbe essere più affidabile?

«Perché questa volta siamo stati fortunati, molto più fortunati. Primo, Bh3 è molto più vicino a noi di Lb-1: si trova a meno di duemila anni luce, dunque attorno a mezzo kiloparsec. Seconda differenza fondamentale, il periodo orbitale è enormemente più lungo: 11 anni, rispetto agli 80 giorni di Lb-1. Parliamo di un periodo orbitale paragonabile a quello di Giove attorno al Sole. Due aspetti questi – distanza ravvicinata e orbita ampia – favorevolissimi per misure di tipo astrometrico come quelle di Gaia. Con i dati preliminari della Dr4, in particolare, abbiamo una copertura di oltre cinque anni: praticamente mezza orbita. Il che ha consentito una ricostruzione dell’orbita estremamente accurata».

Insomma, questa volta siete ragionevolmente certi che si tratti davvero del buco nero di massa stellare più grande a oggi scoperto nella nostra galassia?

«Sì, è sicuro: essendo riusciti a determinare l’inclinazione dell’orbita con grande precisione, l’errore sulla stima della massa del buco nero questa volta è veramente piccolo. Siamo attorno alle 35 masse solari: una scoperta straordinaria. Un numero destinato a diventare una pietra miliare per l’astrofisica stellare».

Perché?

«Perché a questo punto non si scappa: buchi neri stellari di grande massa esistono, dunque è necessario che i teorici rimettano mano alle teorie sui meccanismi della loro formazione. E proprio a questo proposito va sottolineata un’altra differenza fra i due sistemi: mentre Lb-1 era un candidato formidabile, ideale per studiare la formazione di questi oggetti, proprio perché era un oggetto con una compagna massiccia di tipo B che in qualche modo stava alimentando il buco nero, nel caso di Bh3 siamo di fronte a un buco nero probabilmente vecchio attorno al quale orbita una stella relativamente giovane e dall’orbita larga. L’ipotesi è dunque che non si siano formati insieme, ma che la stella, passandogli accanto, sia stata “catturata” dal buco nero».

E di Lb-1 sentiremo ancora parlare? Non è che torna a scippare il record a Bh3?

«Se ne parlerà ancora, certo, ma le nostre ultime stime dicono che siamo addirittura sotto alle 15 masse solari. In ogni caso al di sotto delle 20 masse solari. Dunque no, il record di Bh3 per il momento è al sicuro».


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