COME SPIEGARE L’ESISTENZA DI GALASSIE COSÌ PRECOCI?

Webb sfida i modelli per l’universo giovane

Grazie al James Webb Space Telescope sono state ottenute immagini dettagliate di Gz9p3, una delle prime galassie dell’universo: appare molto più massiccia di quanto fosse previsto dai modelli fino a ora. Allo studio, guidato da Kristan Boyett della University of Melbourne e pubblicato la settimana scorsa su Nature Astronomy, hanno preso parte anche dieci ricercatori dell’Istituto nazionale di astrofisica

     12/03/2024

Gz9p3, la fusione di galassie più luminosa conosciuta nei primi 500 milioni di anni dell’universo, osservata da Jwst. In alto: l’immagine diretta mostra un nucleo doppio nella regione centrale. In basso: i contorni del profilo di luce rivelano una struttura allungata a più frammenti prodotta dalla fusione di galassie. Crediti: Kristan Boyett et al. Nature Astronomy, 2024

Un gruppo internazionale di ricercatori – tra cui dieci astrofisici dell’Inaf – ha puntato gli occhi del telescopio spaziale James Webb (Jwst) verso Gz9p3, una galassia massiccia e brillante che si trova a circa 500 milioni di anni dopo il Big Bang, riuscendo a ottenere immagini con dettagli senza precedenti della fusione di galassie più giovane mai vista. Lo studio, guidato da Kristan Boyett della University of Melbourne (Australia) e pubblicato la settimana scorsa sulla rivista Nature Astronomy, indica che le galassie primordiali, e le stelle al loro interno, si sono sviluppate molto più velocemente e in modo più efficace di quanto prevedano i modelli a nostra disposizione.

La galassia Gz9p3 è stata identificata nel 2023 durante una delle prime campagne osservative del telescopio spaziale Webb grazie alla survey Glass, ed è stata poi confermata come una delle galassie più lontane da noi – con un redshift pari a 9.3, che corrisponde a un’età dell’universo di circa 525 milioni di anni – grazie a una serie di osservazioni spettroscopiche.

«Questa galassia si trova prospetticamente dietro l’ammasso di galassie Abell 2744, del quale sfrutta l’effetto di lente gravitazionale, che la fa apparire di un fattore 1.7 volte più luminosa», spiega Antonello Calabrò dell’Inaf di Roma, fra i coautori dell’articolo. «La prima particolarità di Gz9p3 è che si tratta di un sistema interagente. La galassia è infatti composta da una parte centrale che sta formando stelle a un ritmo di circa 10 masse solari all’anno, e di una lunga coda di gas e stelle derivante dall’interazione e che si estende per oltre 10mila anni luce dal centro».

Jwst, lanciato a dicembre del 2021, consente agli astronomi di vedere l’universo primordiale in modi prima impossibili. Gli oggetti che apparivano come singoli punti luminosi attraverso i telescopi precedenti, come il telescopio spaziale Hubble, stanno rivelando la loro complessità. Grazie all’alta risoluzione spaziale raggiunta nel vicino infrarosso con Jwst, i ricercatori hanno potuto vedere che la zona centrale di Gz9p3 è formata in realtà da due nuclei distinti e molto vicini tra loro, e dunque che stiamo assistendo a uno scontro tra titani.

«Le sorprese, però non sono finite qui», continua Calabrò. «La luminosità intrinseca della galassia (M = -21.8) è del 50 per cento più alta di quella caratteristica delle galassie alla stessa epoca, mentre la massa stellare, stimata a 2.5 miliardi di masse solari, supera di almeno un ordine di grandezza la massa di tutte le altre galassie finora scoperte a redshift 9. Tutte queste proprietà fanno di questa galassia una delle più massive e brillanti confermate finora all’epoca della reionizzazione».

Sebbene la probabilità di osservare delle galassie interagenti a queste distanze cosmiche sia piuttosto alta (intorno al 20 per cento), i modelli non sono in grado di prevedere luminosità e masse stellari così grandi, per di più in una porzione di cielo molto ridotta, di circa 10 arcominuti quadrati. Questo può significare due cose: o i ricercatori sono stati molto fortunati, e hanno individuato una galassia molto rara in quell’epoca cosmica, oppure c’è qualcosa di importante da rivedere nei modelli teorici, affinché contengano al loro interno gli ingredienti per poter formare galassie di questo tipo in tempi così brevi. Questo dilemma ci riporta all’eccesso di sorgenti brillanti e massicce osservate, sempre grazie a Jwst, a redshift superiori a 10, su cui gli astronomi stanno ancora lavorando.

Per saperne di più:

  • Leggi su Nature Astronomy l’articolo “A massive interacting galaxy 510 million years after the Big Bang” di K. Boyett, M. Trenti, N. Leethochawalit, A. Calabrò, B. Metha, G. Roberts-Borsani, N. Dalmasso, L. Yang, P. Santini, T. Treu, T. Jones, A. Henry, C. A. Mason, T. Morishita, T. Nanayakkara, N. Roy, X. Wang, A. Fontana, E. Merlin, M. Castellano, D. Paris, M. Bradač, M. Malkan, D. Marchesini, S. Mascia, K. Glazebrook, L. Pentericci, E. Vanzella e B. Vulcani

Correzione del 13/03/2024: i ricercatori dell’Istituto nazionale di astrofisica che hanno partecipato allo studio sono dieci (otto dell’Inaf di Roma, uno di Bologna e una di Padova), e non sette come inizialmente scritto.