INTERVISTA A MANUELA CONIGLIO, L’INDIANA JONES DELLA TORRE DI SANTA NINFA

Palermo, scoperto un affresco sulla Torre Pisana

Grazie al provvidenziale crollo di alcuni calcinacci e all’intuito e alla tenacia di Manuela Coniglio, titolare di un assegno di ricerca sulla valorizzazione del patrimonio storico dell’Osservatorio astronomico dell’Inaf di Palermo, è stato localizzato un grande affresco dell’Ottocento – del quale si era del tutto persa memoria – realizzato per celebrare la scoperta del pianeta nano Cerere

     18/07/2023

Manuela Coniglio, ricercatrice all’Inaf di Palermo, autrice del ritrovamento dell’affresco dimenticato. Crediti: Francesca Martines/Inaf Palermo

Questa è la storia del ritrovamento di un affresco dimenticato. Un affresco da anni sotto gli occhi di tutti, senza che nessuno sia mai riuscito a vederlo. Un grande affresco dell’Ottocento dipinto sulla Torre Pisana del Palazzo dei Normanni – in pieno centro di Palermo, nota anche come torre di Santa Ninfa – per celebrare quello che è probabilmente il più importante contributo scientifico dato dalla Specola di Palermo all’umanità: la scoperta del pianeta nano Cerere, avvenuta il primo gennaio 1801 grazie a padre Giuseppe Piazzi, fondatore dell’Osservatorio.

Sede oggi dell’Inaf di Palermo e del Museo della Specola, la Torre ospitava l’antico Osservatorio astronomico, nato nel 1790 per volere del re Ferdinando III di Borbone. Gli altri esempi che abbiamo a Palermo di committenza borbonica nel periodo neoclassico hanno dato luogo a meraviglie dell’architettura locale, sia da un punto di vista architettonico che da un punto di vista artistico. Eppure chi visitasse oggi l’Osservatorio non troverebbe alcun elemento decorativo. Né se ha memoria.

Incuriosita da questa assenza, per cercare eventuali testimonianze di lavori artistici presenti all’interno della Specola fra Settecento e Ottocento, Manuela Coniglio, titolare di un assegno di ricerca sulla valorizzazione del patrimonio storico dell’Osservatorio, ha avuto un’idea geniale: follow the money, come direbbero gli inglesi. E ha trascorso mesi nell’archivio storico a scavare nella corrispondenza, in cerca di pagamenti e lettere che parlassero di affidamento di lavori artistici e di restauro.

Se ci sono state delle commesse, si è detta, qualche traccia potrebbe essere rimasta…

«Esatto. Così ho iniziato a spulciare la corrispondenza dell’Osservatorio, in entrata e in uscita. Fino a che – siamo sul finire dell’estate scorsa – un giorno mi sono imbattuta in una minuta, una nota manoscritta di una lettera inviata nel 1835, scritta da Niccolò Cacciatore, il secondo direttore dell’Osservatorio, in cui veniva richiesto il restauro degli affreschi della Specola. È stata la scintilla: avevo finalmente la conferma che qualche affresco doveva esserci stato».

A quel punto che ha fatto?

«Mi sono precipitata a leggere la risposta, a questa richiesta di restauro: risposta nella quale l’Amministrazione generale della Real Casa autorizzava il finanziamento per il restauro degli affreschi che adornavano la terrazza. E questo dettaglio sul luogo era già un elemento in più, che mancava nella lettera di Cacciatore. Proseguendo poi nelle ricerche, sono andata avanti di qualche decennio fino a che, un giorno di fine novembre, non ho trovato, nella corrispondenza del 1858, una seconda richiesta di restauro, ancor più dettagliata».

Palazzo dei Normanni oggi, con una delle cupole della Specola ben visibile in cima alla torre di Santa Ninfa. Nei due riquadri a sinistra, l’ubicazione (in alto) e l’ingrandimento (in basso) dell’affresco nella stereoscopia conservata al Civico archivio di Milano. Crediti per la fotografia: Lasterketak/Wikimedia Commons

Cosa diceva?

«Era una lettera di Domenico Ragona, direttore dell’Osservatorio dal 1849 al 1860, nella quale si chiedeva il restauro di un affresco. Un grande affresco, si legge nella lettera, che ricorda con figure simboliche la scoperta di Cerere Ferdinandea – l’asteroide scoperto da Giuseppe Piazzi il primo gennaio 1801. E nella lettera viene specificato anche dove si trovava, questo affresco: nella parete a nord della torre di Santa Ninfa, vicino al balcone della sala Meridiana».

Dunque proprio a pochi metri da dove si trovava, accanto all’archivio…

«Esatto! Infatti sono subito corsa a piano terra, la curiosità era alle stelle, per provare a dare un’occhiata. Ma niente: da lì sotto non ho visto altro che una parete liscia».

Però non si è arresa…

«No, al contrario. A quel punto è diventato lo scopo principale delle mie giornate, quell’affresco. Mi sono rimessa sulle carte. Con un elemento in più: ora conoscevo la collocazione esatta. Così ho deciso di tentare una ricerca – molto impegnativa, devo dire – sugli elementi iconografici della torre di Santa Ninfa. La lettera che parla dell’affresco è di un’epoca agli albori della fotografia, dunque le speranze erano pochissime, ero quasi certa che non avrei mai trovato nulla».

E invece?

«E invece, a fine dicembre, ho scoperto che al Civico archivio fotografico del Comune di Milano conservano una stereoscopia della metà dell’Ottocento che inquadra esattamente il fianco laterale del Palazzo Reale – quindi della torre di Santa Ninfa – in cui, sapendo esattamente dove andare a osservare, in effetti si intravede qualcosa. Ho chiesto al Civico archivio una copia della fotografia in alta risoluzione, e appena l’ho ricevuta ho provato a ingrandire. Ed è finalmente uscita l’immagine che avevo inseguito per mesi».

Il fregio carta intestata dell’Osservatorio astronomico di Palermo, raffigurante Cerere Ferdinandea. Crediti: Inaf Palermo

Cosa mostra, questa immagine?

«Mostra esattamente la rappresentazione tipica di Cerere che mi aspettavo di trovare. Cerere era la dea protettrice della Sicilia, protettrice delle messi, e aveva una sua tipologia iconografica ben precisa, derivante dalla mitologia greca e latina. Quindi mi ero immaginata, leggendo le lettere, un affresco raffigurante questa figura femminile con il capo coronato di spighe, su un carro trainato da figure mitologiche, che potevano essere draghi o serpenti, e con il braccio teso a reggere una fiaccola ardente. Ingrandendo la fotografia conservata a Milano, l’immagine che emerge è esattamente questa: il contorno, il perimetro dell’immagine è perfettamente sovrapponibile a una rappresentazione di Cerere Ferdinandea che è stata utilizzata proprio all’interno dell’Osservatorio astronomico come fregio di una carta intestata della seconda metà dell’Ottocento. Accostando le due immagini, risultano perfettamente sovrapponibili: è probabile che l’affresco sia stato il modello dal quale è poi stato tratto il fregio della carta intestata – il periodo coincide».

Riassumendo: a quel punto – siamo agli inizi di quest’anno – aveva le lettere, la posizione, la descrizione e perfino la foto. Mancava solo l’affresco vero e proprio…

«Già. E qui è intervenuto il direttore dell’Osservatorio, Fabrizio Bocchino. Mentre mi confrontavo con lui e con la Dottoressa Chinnici sugli indizi raccolti, ha avuto un’intuizione: si è ricordato che nel 2019 c’era stata una caduta accidentale di calcinacci proprio da quella parete della torre, tale da rendere necessario un intervento di messa in sicurezza, per evitare che ne cadessero altri. “Prova ad andare a guardare, con attenzione”, mi ha detto, “magari questa caduta di calcinacci ha fatto venire fuori qualcosa”. Ora, raggiungere quella parete, dal piano dell’Osservatorio, è molto difficile, perché il balcone della sala Meridiana – quella che, stando alla descrizione, si affaccia proprio sull’affresco – è un balconcino pericolante, è chiuso da un catenaccio e non è accessibile. Muovendo un po’ la persiana, che non può essere aperta per questioni di sicurezza, e contorcendomi tutta sono comunque riuscita a vedere il punto che è stato messo in sicurezza a seguito della caduta di questi calcinacci. Ed è lì che ho intravisto le tracce di una pittura sottostante, di un bel colore rosso pompeiano, portate alla luce proprio dalla caduta dei calcinacci. Non solo: si vede anche un tratto di quella che doveva essere la cornice superiore dell’affresco di Cerere».

Manuela Coniglio sul piano delle Cupole e, più in basso, la porzione di affresco (ingrandimento nel dettaglio) portata alla luce dalla caduta dei calcinacci. Crediti: Francesca Martines/Inaf Palermo

Una fortuna incredibile… Una curiosità: i calcinacci erano caduti da più parti o solo da quella parete?

«Sola da quella parete! La storia voleva proprio venire fuori».

A questo punto il direttore le ha dato il permesso d’aprire la persiana o ha dovuto continuare con i contorcimenti?

«Non è stato necessario. Ci siamo resi conto che salendo oltre, e affacciandosi dal piano delle Cupole, è possibile vedere bene la porzione di parete con lo squarcio».

Insomma, l’affresco è lì, sotto l’intonaco della parete nord della torre di Santa Ninfa, nota anche come torre Pisana. Ora come avete intenzione di procedere? Più di così il fato direi che non poteva fare, toccherà dargli una mano, no?

«Il grandissimo problema è che questa parete è difficilmente raggiungibile, per cui un potenziale lavoro di restauro sarebbe molto impegnativo, da un punto di vista economico. Però vogliamo tentare il possibile. Anche perché questo non è un affresco qualsiasi: è un affresco che si offre a tutta la città. Stiamo parlando della parete esterna del Palazzo Reale di Palermo, il palazzo più importante della città, da tutti i punti di vista – politico, economico e artistico. Una parete visibile da chiunque si trovi a passare da corso Vittorio Emanuele, che è uno degli assi principali della città, da piazza del Parlamento, dalla Cattedrale. Insomma, è sotto gli occhi di tutti. E non è un caso se l’affresco – che celebra, ricordiamo, un’eccezionale scoperta scientifica avvenuta all’Osservatorio di Palermo – si trovi proprio lì: aveva una funzione divulgativa, di memoria collettiva. Quindi riportarlo alla luce significa riportare alla luce i valori – oltre all’aspetto artistico – che l’affresco portava con sé».

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