LO STUDIO È PUBBLICATO SU NATURE ASTRONOMY

L’intelligenza artificiale ci aiuterà a trovare E.T.?

Setacciando con avanzate tecniche di deep learning 150 terabyte di vecchi dati del Green Bank Telescope, relativi a 820 stelle vicine, un team di ricercatori del Seti Institute, del Breakthrough Listen e di altri istituti di ricerca di tutto il mondo, ha scoperto otto segnali interessanti che a una prima analisi, effettuata con algoritmi classici, erano passati inosservati

     01/02/2023

Green Bank Telescope. Crediti: Jay Young

Quando ci si ferma a riflettere sulla probabilità di scoprire forme di vita extraterrestre tecnologicamente avanzate, la domanda che spesso sorge è: se sono là fuori, perché non le abbiamo ancora trovate?

Spesso la risposta che ci diamo è che abbiamo cercato solo in una porzione minuscola della nostra galassia. Inoltre, gli algoritmi sviluppati decenni fa per i primi computer potrebbero essere obsoleti e inefficienti se applicati ai moderni data set, che al giorno d’oggi raggiungono dimensioni dell’ordine dei petabyte, milioni di miliardi di byte. Ora, una ricerca pubblicata su Nature Astronomy e condotta da uno studente universitario dell’Università di Toronto, Peter Ma, insieme a ricercatori del Seti Institute, del Breakthrough Listen e appartenenti a istituti di ricerca scientifica di tutto il mondo, ha applicato una tecnica di deep learning a un set di dati già studiato in passato e ha scoperto otto segnali interessanti precedentemente non identificati.

«In totale, abbiamo setacciato 150 terabyte di dati relativi a 820 stelle vicine, appartenenti a un set che era già stato studiato nel 2017 con tecniche classiche ma etichettato come privo di segnali interessanti», riferisce Ma. «Attualmente stiamo facendo una simile ricerca su più di un milione di stelle osservate con il telescopio MeerKat. Riteniamo che un lavoro come questo contribuirà ad accelerare la velocità con cui saremo in grado di fare scoperte per rispondere alla domanda se siamo soli nell’universo».

Grafici a cascata degli otto segnali di interesse. Ogni pannello ha un’ampiezza di 2.800 Hz e gli assi x sono riferiti al centro della porzione in cui si trova il segnale. Crediti: Ma et al./Nature Astronomy

Il Seti – acronimo di Search for extraterrestrial intelligence – cerca prove di intelligenza extraterrestre andando alla ricerca delle cosiddette technosignature o tecnofirme, ossia prove dell’esistenza di una tecnologia che le civiltà aliene potrebbero aver sviluppato. La tecnica più comune è la ricerca di segnali radio, poiché le onde radio riescono a viaggiare pressoché indisturbate su distanze cosmiche, attraverso la polvere e il gas che permeano lo spazio, alla velocità della luce (circa 20mila volte più veloce dei nostri migliori razzi).

Questo studio ha riesaminato i dati acquisiti con il Green Bank Telescope nel West Virginia nell’ambito della campagna Breakthrough Listen. L’obiettivo era semplicemente quello di applicare nuove tecniche di deep learning a un algoritmo di ricerca classico per ottenere risultati più rapidi e accurati. Dopo aver eseguito il nuovo algoritmo e aver riesaminato manualmente i dati per confermare i risultati, i nuovi segnali rilevati presentavano diverse caratteristiche interessanti. Stranamente erano a banda stretta, nel senso che avevano un’ampiezza spettrale ridotta, dell’ordine di pochi Hz, quando i segnali causati da fenomeni naturali tendono a essere a banda larga. Inoltre, presentavano velocità di deriva diverse da zero, ossia avevano una pendenza che potrebbe indicare un’origine del segnale che ha avuto una certa accelerazione rispetto ai ricevitori. Infine, sono apparsi nelle osservazioni on-source (guardando la sorgente) e non nelle osservazioni off-source (osservando senza la sorgente), quindi non si è trattato di interferenze terrestri.

Da quando nel 1960 sono iniziati gli esperimenti Seti con il Progetto Ozma di Frank Drake presso l’Osservatorio di Green Bank, un sito che ora ospita il telescopio utilizzato in questo lavoro, i progressi tecnologici hanno permesso di raccogliere più dati che mai. Questo enorme volume di dati richiede nuovi strumenti computazionali per elaborarli e analizzarli rapidamente, per identificare anomalie che potrebbero essere prove di intelligenza extraterrestre. È chiaro quindi che l’approccio di apprendimento automatico, che sta prendendo piede in moltissimi campi scientifici e non solo, sta aprendo nuovi orizzonti nella ricerca per rispondere alla domanda che probabilmente tutti ci siamo posti almeno una volta nella vita: c’è qualcun altro là fuori?

Per saperne di più:

  • Leggi su Nature Asttronomy l’articolo “A deep-learning search for technosignatures from 820 nearby stars” di Peter Xiangyuan Ma, Cherry Ng, Leandro Rizk, Steve Croft, Andrew P. V. Siemion, Bryan Brzycki, Daniel Czech, Jamie Drew, Vishal Gajjar, John Hoang, Howard Isaacson, Matt Lebofsky, David H. E. MacMahon, Imke de Pater, Danny C. Price, Sofia Z. Sheikh & S. Pete Worden