GLI HOT SPOT SUL SATELLITE INTERNO DI GIOVE

Ecco la mappa più accurata dei vulcani di Io

Identificati 242 “hot spot“, di cui 23 non osservati precedentemente, sul satellite più interno di Giove. I dati indicano una maggiore concentrazione di punti vulcanici caldi nelle regioni polari rispetto alle latitudini intermedie. Si tratta della mappatura migliore mai ottenuta da remoto. I risultati dello studio, guidato da Francesca Zambon dell’Istituto nazionale di astrofisica, sono stati pubblicati su Geophysical Research Letters

     24/01/2023

Insieme di figure chiamate “super immagini”, ottenute calcolando la media di più osservazioni Jiram acquisite in un lasso di tempo di pochi minuti. Questo approccio riduce la possibilità di falsi positivi. Le immagini ritraggono gli hot spot di Io nel corso degli anni. Crediti: F. Zambon et al. / Geophysical Research Letters

L’infernale luna Io (la più interna fra quelle regolari del sistema gioviano) è il corpo vulcanicamente più attivo dell’intero Sistema solare. Un recente articolo pubblicato sulla rivista Geophysical Research Letters fa nuova luce sulle proprietà vulcaniche di questo satellite, in particolare grazie a nuovi dati raccolti da Jiram (Jovian InfraRed Auroral Mapper), uno degli otto strumenti a bordo della sonda Nasa Juno. Finanziato dall’Agenzia spaziale italiana (Asi) e realizzato da Leonardo, lo strumento vede la responsabilità scientifica dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf). L’articolo delinea la mappa più recente della distribuzione degli hot spot (punti vulcanici caldi) di Io prodotta con dati Jiram da remoto alla migliore scala spaziale attualmente disponibile. I ricercatori, guidati dall’Inaf, sono riusciti a ottenere, inoltre, una migliore copertura delle regioni di Io prossime ai poli rispetto al passato.

«La mappa degli hot spot presentata nel nostro lavoro», spiega Francesca Zambon, membro del gruppo Jiram, ricercatrice all’Inaf di Roma e prima autrice dell’articolo, «è la più aggiornata tra quelle basate su dati di telerilevamento spaziale. Analizzando le immagini infrarosse acquisite da Jiram, abbiamo individuato 242 punti vulcanici caldi, di cui 23 non presenti in altri cataloghi e localizzati nella maggior parte dei casi nelle regioni polari, grazie alla peculiare orbita della sonda Juno».

«Il confronto tra il nostro studio e il catalogo più recente», sottolinea la ricercatrice, «rivela che Jiram ha osservato l’82 per cento degli hot spot più potenti precedentemente individuati, e la metà degli hot spot di potenza intermedia, dimostrando quindi che questi sono ancora attivi. Tuttavia, Jiram ha rilevato solo circa la metà degli hot spot più deboli precedentemente segnalati. Le spiegazioni sono due: o la risoluzione di Jiram non è sufficiente per rilevare questi deboli punti caldi, oppure l’attività di questi centri effusivi potrebbe essersi sbiadita o interrotta».

Quando la sonda spaziale Nasa Voyager 1 avvicinò Io, il più interno dei satelliti galileiani di Giove, nel marzo 1979, le immagini inviate alla Terra rivelarono che la sua superficie appariva punteggiata da una moltitudine di centri vulcanici caldi, con imponenti colate laviche e pennacchi alti fino a qualche centinaio chilometri. In seguito, l’esplorazione condotta soprattutto dalla missione Nasa Galileo chiarì che questi punti caldi sono moltissimi: alcune centinaia, molti dei quali con attività pressoché costante.

La luna Io mostra molti centri vulcanici, innescati principalmente dalle potenti forze mareali esercitate da Giove. Lo studio dell’attività vulcanica di questo satellite gioviano è la chiave per comprendere la natura dei suoi processi geologici e la sua evoluzione interna. La distribuzione degli hot spot e la loro variabilità spaziale e temporale sono importanti per definire le caratteristiche del riscaldamento delle maree e i meccanismi attraverso i quali il calore fuoriesce dall’interno.

«Uno dei maggiori punti aperti nella comprensione della struttura interna di Io», prosegue Alessandro Mura, leader del gruppo Jiram e ricercatore all’Inaf di Roma, «è se l’attività vulcanica osservabile in superficie sia dovuta a un oceano di magma globale presente nel mantello, oppure a camere magmatiche che si insinuano nella crosta a minori profondità. Le osservazioni di Jiram sono tuttora in corso, e le future immagini a maggiore definizione saranno fondamentali per meglio evidenziare i punti caldi deboli e per chiarire la struttura interna di Io».

«La superficie della luna gioviana Io è molto dinamica», aggiunge Giuseppe Sindoni, responsabile del progetto Jiram per l’Asi, «con vulcani ed emissioni laviche in continua evoluzione, come dimostrato da questo importante risultato ottenuto dal nostro strumento Jiram e dall’ottimo lavoro svolto dal team. L’estensione della missione Juno fino al 2025 ci permetterà di monitorare questa evoluzione e di comprendere meglio i processi fisici che guidano un corpo così complesso e dalle fattezze simili alla nostra Terra primordiale, anche in previsione di future missioni dedicate».

La sonda Juno è stata lanciata ad agosto 2011 dalla base di Cape Canaveral ed è in orbita attorno a Giove dal luglio del 2016. Da allora ha percorso 235 milioni di chilometri. Juno è tuttora la sonda in orbita planetaria più distante della Nasa, e continuerà le sue indagini sul pianeta più grande del Sistema solare fino a settembre 2025.

Alla fine dell’anno, il 30 dicembre 2023, durante la 57ma orbita attorno a Giove, la sonda Juno effettuerà il suo passaggio più ravvicinato in assoluto a Io, a una distanza minima di circa 4800 chilometri. Le missioni Europa Clipper della Nasa e Juice dell’Esa, che opereranno nel sistema di Giove negli anni 2030, non potranno mai avvicinarsi a simili distanze. Sarà quindi cruciale che Juno possa condurre osservazioni anche con Jiram durante tutte le prossime opportunità previste nel 2023.

Per saperne di più:

  • Leggi su Geophysical Research Letters l’articolo “Io hot spot distribution detected by Juno/JIRAM”, di F. Zambon, A. Mura, R. M. C. Lopes, J. Rathbun, F. Tosi, R. Sordini, R. Noschese, M. Ciarniello, A. Cicchetti, A. Adriani, L. Agostini, G. Filacchione, D. Grassi, G. Piccioni, C. Plainaki, G. Sindoni, D. Turrini, S. Brooks, C. Hansen-Koharcheck e S. Bolton