È STATO NECESSARIO RICALIBRARE ALCUNI DEI RILEVATORI DELLA NIRCAM

Webb, i primi preprint sono da rivedere

Il 12 luglio 2022 è stata pubblicata la Early Release Observations di Webb. Si tratta del primo pacchetto di dati del telescopio, alla base di numerosi preprint pubblicati nei giorni successivi su arXiv. Secondo un articolo uscito su Nature a fine settembre, questi preprint potrebbero dover subire modifiche, revisioni di dati e risultati a causa di una calibrazione non ottimale di alcuni strumenti di rilevazione del telescopio. Ne abbiamo parlato con Marco Castellano, tra i primi a utilizzare i dati di Webb e a pubblicarli su arXiv

     17/11/2022

L’ammasso di galassie Smacs 0723 ripreso dallo strumento NirCam di Jwst. Crediti: Nasa, Esa, Csa, Stsci

Il 12 luglio scorso la Nasa ha rilasciato il primo set di immagini e dati ottenuti dal telescopio James Webb, il più grande e potente osservatorio spaziale che sia mai stato costruito dall’essere umano. Early Release Observations (Eros), è questo il nome del pacchetto di dati, prodotti dal telescopio durante la fase di messa in servizio allo scopo di dimostrare che è pronto per iniziare le operazioni scientifiche e produrre risultati.

La vista mozzafiato di un lontano gruppo di galassie chiamato Quintetto di Stephan, la bellissima panoramica della Nebulosa della Carena – uno fra i più grandi e luminosi vivai stellari –, lo spettro dell’atmosfera dell’esopianeta Wasp-96b, la Nebulosa Anello del Sud – un enorme guscio di gas in espansione attorno a una stella morente. E ancora, la visione a campo profondo di un pezzo di cielo traboccante di galassie luminose. Sono alcune delle spettacolari immagini dell’universo create a partire da un sottoinsieme di dati del telescopio che vanno sotto il nome di “Webb First Images and Spectra”.

Insieme a questi dati, che evidenziano le aree scientifiche chiave in cui è più probabile che il telescopio James Webb apporti contributi significativi alla scienza, la raccolta ne conteneva altri – ottenuti nell’ambito di specifici programmi osservativi – che i ricercatori hanno rapidamente analizzato, pubblicando i risultati poche settimane dopo sul server ad accesso aperto di pubblicazioni scientifiche arXiv sotto forma di preprint.

Secondo quanto riporta un articolo pubblicato a fine settembre su Nature, alcuni di questi risultati sarebbero da rivedere. Il motivo? I dati utilizzati per ottenerli provengono da strumenti che all’epoca non erano ancora stati calibrati accuratamente, cosa che, come si legge nello stesso articolo, ha creato negli astronomi un po’ di panico, costringendoli a rivedere i loro manoscritti.

Gli articoli a cui si fa riferimento sono alcuni documenti all’epoca non ancora peer reviewed – cioè non sottoposti a revisione tra pari – che riportano osservazioni di probabili galassie ad alto redshift, cioè galassie candidate ad essere le più lontane mai scoperte (più alto è il redshift, più distante è distante la galassia). Lo strumento in questione è il principale imager a infrarossi dell’osservatorio orbitante, la Near Infrared Camera (NirCam).

Marco Castellano, astrofisico all’Inaf – Osservatorio astronomico di Roma

Marco Castellano, astrofisico all’Inaf – Osservatorio astronomico di Roma, è stato tra i primi a usare i dati della early release observations del James Webb Telescope e a pubblicare. Il suo lavoro “Early results from GLASS-JWST. III: Galaxy candidates at z∼9-15“, apparso su arXiv solo cinque giorni dopo che i dati sono stati resi disponibili, è tra quelli in questione. Lo abbiamo intervistato per capire com’è andata.

Castellano, cominciamo dal principio: cosa significa calibrare uno strumento astronomico, e quelli del telescopio James Webb in particolare?

«Per poter comprendere la natura fisica delle sorgenti in cielo abbiamo bisogno di osservazioni che forniscano misure “assolute”. Nel caso specifico delle osservazioni con immagini dobbiamo ottenere una conoscenza precisa della posizione e del flusso luminoso di ciascuna sorgente. La calibrazione astrometrica ci permette di stabilire le coordinate celesti esatte osservate da ciascun pixel dell’immagine, e ciò si fa “allineando” le immagini rispetto a sorgenti di posizione nota. Delle immagini con buona calibrazione fotometrica si ottengono innanzitutto tenendo conto degli effetti strumentali sui dati e poi, cosa più importante, misurando la risposta dello strumento tramite l’osservazione di sorgenti il cui spettro è stato misurato in passato con precisione».

Nell’articolo su Nature è riportato che alcuni dei rilevatori della Near Infrared Camera non sarebbero stati calibrati accuratamente. Cosa è successo?

«È abbastanza naturale che con uno strumento così nuovo le calibrazioni all’inizio siano più incerte: si parte dalla conoscenza che si ha dello strumento tramite misure eseguite in laboratorio prima del lancio, poi si controlla la calibrazione tramite osservazioni dedicate di sorgenti “standard”. È risultato che Jwst è più efficiente di quanto si pensasse, il che è una ottima notizia, ma il problema è stato che le osservazioni effettuate nei primi mesi per calibrare in modo assoluto le prestazioni dello strumento non sono state sufficienti per misurare con elevata precisione quanto effettivamente “risponda” alle diverse lunghezze d’onda».

Sapevate di utilizzare dati ottenuti da strumenti calibrati in questo modo?

«Sapevamo che erano state effettuate delle calibrazioni nel periodo precedente alle osservazioni, ed era noto che lo strumento era risultato più efficiente del previsto. Chiaramente non sapevamo quanto fossero accurate le calibrazioni, anche se ci aspettavamo che inizialmente avessero un margine di incertezza superiore a quello di strumenti di uso consolidato. Per questo motivo effettuammo dei test sui nostri dati che mostrarono che eventuali errori nella calibrazione “ufficiale” non erano tali da cambiare in modo sostanziale i nostri cataloghi di sorgenti».

La Near Infrared Camera, lo strumento installato sul telescopio James Webb in grado di rilevare la luce delle prime galassie formatesi nell’universo. Crediti: Lockheed Martin

Mi pare di capire che pubblicare così velocemente non sia stata una scelta azzardata ma piuttosto una scelta ponderata, dovuta al risultato dei vostri test e, forse, anche alla concorrenza all’interno della comunità scientifica, sbaglio?

«La scelta di pubblicare rapidamente è stata ponderata anche considerando le possibili incertezze date dall’uso di un nuovo strumento, ma in base ai controlli fatti eravamo fiduciosi che le nostre conclusioni scientifiche fossero solide, e in effetti questo è stato confermato dall’uso di calibrazioni successive. È stata anche una scelta un po’ sofferta, dettata da due fattori “umani” che inevitabilmente fanno parte del nostro lavoro: la curiosità di vedere cosa ci dicevano questi dati così innovativi – Jwst è il primo strumento in grado di vedere galassie così distanti come quelle che abbiamo trovato – e l’ambizione di essere noi della collaborazione Glass i primi a presentare alla comunità scientifica i risultati della survey per portare a frutto tutto il lavoro speso nella progettazione e preparazione delle osservazioni».

La sua pubblicazione riguarda la ricerca di galassie lontane. Questo filone di studi pare sia tra quelli più interessati dagli effetti della calibrazione stimata. Perché?

«Sicuramente per tutti coloro che hanno usato i primi dati Jwst è stato un problema non piacevole da affrontare. Da un punto di vista tecnico non sono convinto che il nostro sia il filone di ricerca più interessato, probabilmente però è tra i più esposti, vista la risonanza che hanno questi risultati anche a livello divulgativo appena escono novità a riguardo su arXiv. In ogni caso stiamo parlando di oggetti deboli che in diversi casi persino nelle immagini Jwst sono al limite delle attuali osservazioni, e per distinguerli da oggetti meno lontani serve una misura affidabile del flusso a diverse lunghezze d’onda. Un errore di calibrazione può far sembrare che una galassia sia un “candidato” più affidabile di quanto non sia, in particolare per oggetti molto deboli questo può fare la differenza».

Il 29 luglio scorso lo Space Telescope Science Institute ha rilasciato una serie aggiornata di calibrazioni che erano sostanzialmente diverse da quelle precedenti. Alla luce di ciò, avete dovuto mettere mano al manoscritto?

«Le nuove calibrazioni sono arrivate in tempo per poterle usare nella versione rivista dell’articolo da mandare alla rivista dopo i commenti del referee, e chiaramente le abbiamo utilizzate per aggiornare il lavoro».

Da destra a sinistra, Marco Castellano, Adriano Fontana e Tommaso Treu (co-autori del pre-print, ora pubblicato su ApJL), collegati in remoto con i ricercatori coinvolti nella survey Glass

Rispetto alla prima versione del documento è cambiato qualcosa con la revisione?

«Non ci sono stati cambiamenti sostanziali, il nostro risultato più importante è l’aver trovato due sorgenti molto brillanti a un epoca di 4-500 milioni di anni dopo il Big Bang, era inaspettato trovarle in una regione di cielo così piccola e questo potrebbe implicare che in quelle epoche remote le galassie erano più efficienti a formare stelle di quanto si pensasse in precedenza. Queste due sorgenti restano ugualmente affidabili anche con le successive calibrazioni, e le conclusioni del lavoro restano inalterate. Nell’articolo discutiamo anche altre sorgenti più deboli e per cui è meno sicura l’identificazione come galassie primordiali, tra la prima versione e quella finale dell’articolo ne abbiamo tolta una dal campione, cosa non sorprendente viste le incertezze sulla loro natura».

Il suo preprint ha ora superato la peer-review ed è stato finalmente accettato per la pubblicazione su ApJL. C’è stato qualche intoppo?

«L’iter della pubblicazione è stato assolutamente normale per una Letter: nella versione finale teniamo conto dei commenti del referee, scrupoloso ma corretto, e della nostra revisione basata sulle calibrazioni aggiornate. È sicuramente una soddisfazione che il lavoro sia stato giudicato conforme agli standard di una rivista di questo livello. La revisione tra pari non è perfetta, ma funziona, magari può essere migliorata ma non credo ci siano soluzioni alternative per i lavori scientifici».

Cosa si sta facendo adesso per cercare di standardizzare tutte le misurazioni? E cosa accadrà ai dati con le calibrazioni future?

«Lo Space Telescope Science Institute ha rilasciato nuove calibrazioni dopo quelle iniziali, un set a fine luglio e un altro più recente. Siamo probabilmente già arrivati a un livello di calibrazione molto preciso, credo sia improbabile che future osservazioni di calibrazione portino a grossi cambiamenti, almeno per quel che riguarda l’imaging NirCam. Sicuramente più passa il tempo e vengono raccolti dati più impareremo a sfruttare nel modo migliore NirCam e gli altri strumenti di Jwst, da un punto di vista di pianificazione delle osservazioni e di analisi dati».


La survey Glass è una dei programmi Early Release Science, proposte osservative selezionate per essere eseguite all’inizio del primo ciclo di osservazioni di Jwst e destinate a essere rese subito pubbliche: lo scopo è di aiutare la comunità scientifica a conoscere lo strumento e le sue potenzialità rispetto agli scopi principali della missione (tra cui, appunto, l’esplorazione dell’Universo lontano). Il principal investigator del programma è Tommaso Treu (Ucla), e la collaborazione comprende decine di ricercatori in Usa, Australia ed Europa con un importante contributo dell’Inaf di Roma, Bologna, Padova e Trieste. Glass esegue osservazioni spettroscopiche con due strumenti, NirSpec e NirIss, dell’ammasso di galassie Abell 2744 che funge da lente gravitazionale permettendo lo studio di galassie lontane. In parallelo alle osservazioni spettroscopiche la camera NirCam osserva un campo adiacente al cluster acquisendo immagini a sette diverse lunghezze d’onda infrarosse. A fine giugno sono state eseguite le osservazioni NirIss con il suo campo “parallelo” NirCam, che è quello che abbiamo analizzato noi. I risultati di queste osservazioni NirIss e NirCam sono descritti in 18 lavori sottomessi e in parte già accettati da ApJL.