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Tick tack e la memoria degli alberi

Per cercare di saperne di più sulle tempeste di radiazioni che hanno interessato la Terra nel corso degli ultimi 10mila anni, un team dell'Università del Queensland ha eseguito un’analisi statistica all'avanguardia su dati di alberi millenari, modellando il ciclo globale del carbonio per ricostruire il processo nel periodo indicato e ottenere informazioni sulla portata e sulla natura degli eventi Miyake

     28/10/2022

Un’immagine composita che mostra anelli degli alberi e fiamme. I ricercatori dell’Università del Queensland hanno usato i dati degli anelli degli alberi per modellare il ciclo globale del carbonio, e il risultato del loro studio sfida la teoria a oggi più accreditata sugli eventi Miyake. Crediti: The University of Queensland

Tick tack, come il tempo che scorre. Scandito in questo caso dall’orologio degli alberi, le cui lancette sono gli anelli del tronco. Scorrendo il tempo all’indietro, anello per anello, è possibile risalire al verificarsi di eventi astrofisici rilevanti che hanno coinvolto il nostro pianeta.

Per cercare di saperne di più sulle tempeste di radiazioni che hanno interessato la Terra nel corso degli ultimi 10mila anni, un team guidato da Benjamin Pope della School of Mathematics and Physics dell’Università del Queensland ha eseguito un’analisi statistica all’avanguardia sui dati di alberi millenari, sviluppando un software ad hoc chiamato, appunto, tick tack.

Ma come fanno gli alberi a sapere quando è avvenuta una tempesta di radiazioni?

La risposta passa dal carbonio, un elemento chimico fondamentale per la vita e presente in tutte le sostanze organiche. Sulla Terra il carbonio è presente in tre isotopi: due stabili (12C e 13C) e uno radioattivo (14C). L’isotopo radioattivo, o radiocarbonio, si trasforma per decadimento beta in azoto (14N), con un tempo di dimezzamento medio (o emivita) di 5.730 anni. Quindi, se non venisse continuamente reintegrato, a lungo andrebbe a scomparire.

Effettivamente, negli strati alti della troposfera e nella stratosfera, viene prodotto regolarmente tramite la cattura di neutroni termici, componenti secondari dei raggi cosmici, da parte degli atomi di azoto presenti nell’atmosfera stessa. L’equilibrio dinamico che si instaura tra produzione e decadimento radioattivo mantiene costante la concentrazione di radiocarbonio nell’atmosfera, dove è principalmente presente sotto forma di anidride carbonica, che filtra poi attraverso il ciclo del carbonio attraverso l’atmosfera, la biosfera e gli ambienti marini.

Nell’atmosfera, il rapporto tra radiocarbonio e gli isotopi di carbonio stabili è approssimativamente costante nel tempo. Ma mentre gli organismi viventi reintegrano continuamente radiocarbonio dall’atmosfera, questo non è possibile nella materia organica morta dove il radiocarbonio decade con l’emivita di 5730 anni, e quindi può essere utilizzato come orologio per datare campioni archeologici e paleontologici.

Questo quadro è complicato dalle variazioni del tasso di produzione del radiocarbonio. La sorgente di variazione più rilevante nel contesto di questo lavoro proviene dal ciclo di attività del Sole. Nei periodi meno intensi di attività solare, una ridotta schermatura magnetica implica un aumento del flusso di raggi cosmici sulla Terra; ma anche gli shock prima delle espulsioni coronali di massa solare possono accelerare le particelle energetiche che producono radiocarbonio nell’atmosfera terrestre. Di conseguenza, le misurazioni del radiocarbonio non sono solo strumenti importanti per l’archeologia, ma anche per studi storici sulla meteorologia spaziale, l’attività solare e geomagnetica e la dinamica del clima terrestre.

Ed è qui che ci viene in aiuto la dendrocronologia, il sistema di datazione basato sul conteggio degli anelli di accrescimento annuale degli alberi. Il radiocarbonio negli anelli degli alberi, opportunamente regolato dal decadimento radioattivo, offre infatti una registrazione dettagliata delle concentrazioni di radiocarbonio nel tempo.

Già alla fine degli anni ‘50 è stata rivelata la scala delle fluttuazioni del radiocarbonio su scale temporali millenarie. Nell’ultimo decennio, le curve che evidenziano tale fluttuazione hanno raggiunto un’elevata precisione e risoluzione annuale. In particolare, nel 2012 è stato pubblicato uno studio a cura di Miyake et al. che ha mostrato, per la prima volta, un improvviso salto nella concentrazione di radiocarbonio negli anelli degli alberi di cedro giapponese intorno al 774 d.C. Questo picco è stato seguito poco dopo dalla scoperta di un altro picco negli anelli degli alberi nel 993 d.C., e ulteriori picchi sono stati trovati nel 660 a.C., 5259 a.C., 5410 a.C. e 7176 a.C., per un totale di sei picchi di radiocarbonio. Questi picchi sono spesso conosciuti come eventi Miyake, dal nome del primo scopritore.

«Queste enormi esplosioni di radiazioni cosmiche, note come Eventi Miyake, si sono verificate circa una volta ogni mille anni, ma non è chiaro cosa le causi», afferma Pope. Il forte aumento delle radiazioni, con un esordio globale simultaneo, indica che gli eventi di Miyake abbiano un’origine astrofisica. È noto che le supernove producono esplosioni di radiazioni estremamente intense e potrebbero essere ragionevoli sorgenti astrofisiche. Tuttavia, diversi studi non sono riusciti a trovare prove di un aumento del radiocarbonio associato a nessuna delle supernove storiche conosciute. Solo uno studio del 2020 ha riscontrato un aumento di 2σ nel radiocarbonio nel 1055 d.C. dopo la supernova del Granchio. Alternativamente, sono state considerate sorgenti astrofisiche come magnetar, raggi cosmici galattici o, addirittura, comete di passaggio.

L’ampio consenso della letteratura è che questi eventi abbiano un’origine solare. Ad esempio, gli eventi potrebbero essere indicativi di un collasso magnetico solare, un brevissimo grande minimo solare, con la ridotta schermatura eliosferica che espone la Terra a un aumento dei raggi cosmici galattici. In alternativa, e più popolari in letteratura, gli eventi di Miyake potrebbero rappresentare la coda estrema di una distribuzione di brillamenti continua, come quelli che si osservano sul Sole e su altre stelle simili al solare.

Per provare a vederci più chiaro, il matematico Qingyuan Zhang, primo autore dell’articolo pubblicato su Proceedings of the Royal Society A, ha sviluppato ticktack il primo pacchetto Python open source che collega i modelli del ciclo del carbonio con i moderni strumenti di inferenza bayesiana. Gli autori lo hanno usato per analizzare tutti i dati pubblici degli alberi e dedurre i parametri a posteriori per tutti e sei gli eventi Miyake noti.

«Poiché è possibile contare gli anelli di un albero per identificarne l’età, si possono osservare eventi cosmici storici che risalgono a migliaia di anni fa», spiega Zhang. «Quando le radiazioni colpiscono l’atmosfera, producono carbonio-14 radioattivo, che filtra attraverso l’aria, gli oceani, le piante e gli animali e produce un record annuale di radiazioni negli anelli degli alberi. Abbiamo modellato il ciclo globale del carbonio per ricostruire il processo in un periodo di 10mila anni, per ottenere informazioni sulla portata e sulla natura degli eventi Miyake».

Sebbene la teoria comune abbia sempre indicato che gli eventi Miyake fossero correlati a giganteschi brillamenti solari, i risultati ottenuti dal team non vanno in quella direzione: gli autori non hanno trovato una chiara relazione tra gli eventi e il ciclo solare, o tra l’ampiezza e la latitudine, come è stato affermato in precedenza. «Abbiamo dimostrato che non sono correlati all’attività delle macchie solari e alcuni in realtà durano uno o due anni. Piuttosto che una singola esplosione o un brillamento istantaneo, potrebbe essere stata una sorta di tempesta o esplosione astrofisica», afferma Zhang.

«Sulla base dei dati disponibili, c’è circa l’uno per cento di possibilità di vederne un altro entro il prossimo decennio. Ma non sappiamo come prevederlo o quali danni potrebbe causare. Queste probabilità sono piuttosto allarmanti e gettano le basi per ulteriori ricerche», conclude Pope.

Se un evento Miyake dovesse verificarsi oggi, l’improvviso e drammatico aumento della radiazione cosmica potrebbe essere devastante per la biosfera e la società tecnologica. Un evento come quello del 774 d.C. dovrebbe essere più di un ordine di grandezza più grande dell’evento di Carrington, la più grande tempesta geomagnetica mai osservata. È anche probabile che l’evento del 774 d.C. abbia causato un impoverimento di circa l’8,5 per cento della copertura globale di ozono, con un effetto significativo ma non catastrofico sulle condizioni meteorologiche.

L’origine e la fisica di questi picchi di radiocarbonio sono quindi importanti non solo per gli astronomi e gli archeologi, ma per la pianificazione e la mitigazione del rischio nella società in generale.

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