È LA PRIMA SUITE PER L’ANALISI IN SITU DI CAMPIONI LIQUIDI DI MONDI OCEANICI

Con Owls in cerca di vita negli oceani alieni

Un team di scienziati del Jpl ha sviluppato una nuova suite di strumenti che potrebbe essere installata su future missioni interplanetarie per analizzare campioni liquidi di mondi oceanici alla ricerca di segni di vita aliena. Il suo nome è Owls, Oceans Worlds Life Surveyor. Tra gli strumenti scientifici a bordo – otto in tutto – c'è anche un microscopio olografico digitale, il primo in grado di acquisire immagini e video di cellule direttamente nello spazio

     07/10/2022

Image di Encelado e dei suoi pennacchi ottenuta dalla sonda Cassini il 30 novembre 2010. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech/Space Science Institute

C’è vita nell’universo, al di fuori della Terra? Da decenni gli scienziati hanno cercato di rispondere a questa domanda attraverso molteplici studi e missioni, tuttavia senza trovare una risposta, se non indicazioni che ciò possa essere possibile.

Una risposta potrebbe arrivare dallo studio degli oceani sotterranei, ritenuti potenzialmente abitabili, di due lune del Sistema solare: Europa ed Encelado, rispettivamente satelliti di Giove e Saturno. I “mondi oceanici” sono infatti un obiettivo prioritario per la ricerca della vita basata sull’acqua, poiché da essa dipende la vita come la conosciamo.

Cercare eventuali forme di vita in questi oceani gelidi pone però sfide enormi. Prime fra tutte, la limitazione fisica alla restituzione di dati scientifici da veicoli spaziali remoti, che crea un collo di bottiglia nel progresso delle scienze planetarie. A causa della loro distanza dalla Terra, trasmettere dati da questi luoghi remoti non è affatto semplice. Inoltre, gli strumenti scientifici utilizzati devono poter resistere alle intense radiazioni presenti nello spazio e alle temperature estreme, e devono essere in grado di effettuare misurazioni diverse, indipendenti e complementari che possano produrre “prove straordinarie”, necessarie per rispondere a una “affermazione straordinaria”.

Proprio per affrontare le difficoltà che le future missioni di rilevamento della vita incontreranno e vincere così la sfida che questo tipo di ricerca impone, un team di scienziati del Jet Propulsion Laboratory della Nasa ha sviluppato una nuova e performante suite di strumenti scientifici: il primo laboratorio spaziale ad hoc per ricercare segni di vita in  campioni d’acqua esplorando un’ampia gamma di scale dimensionali, dalle singole molecole agli organismi microscopici. Il suo nome è Oceans Worlds Life Surveyor (Owls), è dotato di otto strumenti tutti automatizzati ed è stato progettato per raccogliere e analizzare campioni liquidi nello spazio, la cui analisi sulla Terra richiederebbe il lavoro di diverse decine di persone.

Schema delle analisi che condurrà l’Oceans Worlds Life Surveyor (cliccare per ingrandire). L’analisi chimica identifica i mattoni organici della vita, mentre la microscopia, aiutata da coloranti fluorescenti, osserva le proprietà e il movimento delle cellule. Crediti: Nasa/JPL-Caltech

Uno degli obiettivi di questo futuro laboratorio spaziale è analizzare il ghiaccio e il vapore d’acqua emessi sotto forma di pennacchi (plumes) dalle imponenti fratture che segnano la superficie della luna di Saturno Encelado. Una volta raccolto un campione d’acqua da questi geyser, l’Oceans Worlds Life Surveyor cercherà le prove della vita a livello molecolare e cellulare combinando l’analisi chimica con la microscopia ad alta risoluzione.

«Come si fa a prendere una spruzzata di ghiaccio a un miliardo di chilometri dalla Terra e determinare – nell’unica possibilità che hai, mentre tutti stanno aspettando con il fiato sospeso – se ci sono evidenze di vita? Per questo scopo», dice Peter Willis, scienziato del Jpl e responsabile scientifico del progetto, «abbiamo creato il sistema di strumenti più potente che si potesse progettare, per cercare segni di vita sia chimici che biologici».

Finanziato dal Jpl Next, un programma di accelerazione tecnologica gestito dall’Office of Space Technology del Jpl, lo scorso giugno, dopo mezzo decennio di lavoro, il laboratorio è stato testato. Le sue apparecchiature – attualmente delle dimensioni di un armadietto – sono state messe alla prova nelle acque salate del lago di Mono, in California (il paesaggio raffigurato nella copertina interna dell’album dei Pink Floyd Wish You Were Here), trovando prove chimiche e cellulari della vita senza alcun intervento umano, grazie all’utilizzo di un software integrato.

«Abbiamo dimostrato il funzionamento della prima generazione della suite Owls», sottolinea Willis. «Il prossimo passo è miniaturizzarla e renderla idonea per gli scenari della specifica missione».

Una delle difficoltà principali che il team del progetto Oceans Worlds Life Surveyor ha dovuto affrontare ha riguardato le tecniche di prelevamento e processamento dei campioni liquidi nello spazio. Sulla Terra gli scienziati possono contare sulla gravità, su una temperatura e una pressione dell’aria ottimali, ma queste condizioni non esistono su un veicolo spaziale che sfreccia attraverso il Sistema solare o sulla superficie di una luna ghiacciata. I ricercatori del Jpl hanno quindi progettato due strumenti in grado di estrarre campioni liquidi e analizzarli in queste condizione estreme. E dal momento che non sappiamo quale forma potrebbe assumere la vita su questi mondi oceanici, hanno incluso strumenti in grado di misurare una vasta gamma di dimensioni, da quelle di singole molecole sino a quelle tipiche dei più piccoli microrganismi. È per questa ragione che il laboratorio spaziale possiede due sottosistemi di strumenti: uno impiega tecniche di analisi chimica delle molecole, l’altro sofisticati microscopi per cercare prove visive della presenza di vita.

Alcuni strumenti dell’Oceans Worlds Life Surveyor dutante i test in California. La suite verrà miniaturizzata per l’uso in missioni future. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech

L’unità di analisi chimica si chiama Organic Capillary Electrophoresis Analysis System (Oceans) e utilizza la scienza della separazione delle molecole unita a molteplici modalità di rilevamento, inclusa la spettrometria di massa – una tecnica che misura le masse delle molecole all’interno di un campione, in questo caso una piccola quantità di acqua – e l’elettroforesi capillare, che separa un’ampia gamma di molecole in base alla loro carica, dimensione e mobilità in presenza di un campo elettrico. L’unità include sia un estrattore per la digestione cellulare, con la capacità di gestire un’ampia varietà di campioni solidi o liquidi, sia un array di sensori elettrochimici per la misurazione di proprietà dei campioni come il pH e il potenziale di ossidazione/riduzione. Tutte queste misurazioni servono a costruire “impronte digitali” grazie alle quali gli scienziati possono determinare le molecole presenti. Con queste tecniche si cercheranno amminoacidi, peptidi, acidi nucleici – insomma tutte quelle macromolecole biologiche alla base della vita come la conosciamo.

Oltre a cercare le firme chimiche della vita, come anticipato l’Oceans Worlds Life Surveyor cercherà di ottenere anche immagini e video di microrganismi eventualmente presenti nei campioni. Lo farà attraverso un microscopio olografico digitale – la tecnica è quella della microscopia olografica – e due imager a fluorescenza che utilizzano coloranti per osservare il contenuto chimico e le strutture cellulari, fornendoci una rappresentazione in 3D del volume del campione – con una risoluzione inferiore a un micron – anziché in 2D come quella di un classico microscopio utilizzato in un tipico laboratorio di biologia. Extant Life Volumetric Imaging System (Elvis), è questo il nome del sottoinsieme di strumenti, il primo in grado di acquisire immagini e video di cellule nello spazio.

La suite di microscopi dell’unità Elvis per identificare le strutture cellulari e la motilità in un grande volume di campione. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech

Queste unità scientifiche produrranno enormi quantità di dati da inviare alla Terra. E sebbene gli strumenti scientifici per le missioni planetarie stiano diventando sempre più avanzati e in grado di raccogliere volumi sempre maggiori di dati scientifici, la larghezza di banda limitata del downlink, in particolare per le missioni sui pianeti esterni del Sistema solare, comporta che di tutta la mole di dati prodotta venga fatta un’accurata selezione, al fine di massimizzare la produttività della missione e la resa scientifica. Anche per questa sfida il team del Jpl ha pensato a una soluzione che si basa sulla onboard science autonomy: si chiama Joint Examination for Water-based Extant Life (Jewel) ed è un sistema di algoritmi che analizzerà tutti dati raccolti dagli strumenti per produrre pacchetti più piccoli – chiamati autonomous science data products (Asdp) – contenenti solo le informazioni più interessanti. Una volta ottenuti questi pacchetti di dati, l’algoritmo assegna una priorità per determinare l’ordine di downlink, per massimizzare l’utilità scientifica stimata e la diversità dei pacchetti scaricati, evitare la ridondanza e consentire la scoperta di informazioni scientifiche rare.

«I mondi oceanici sono abitabili? Esiste una prova scientifica difendibile dell’esistenza della vita, piuttosto che un accenno alla sua possibile presenza? Stiamo iniziando a porci domande che richiedono strumenti più sofisticati», conclude Lukas Mandrake, ingegnere del sistema di autonomia strumentale. «Ciò richiede strumenti che raccolgano molti dati, ed è ciò che l’Oceans Worlds Life Surveyor e la sua autonomia scientifica si sono prefissati di realizzare».

Quanto alle missioni sulle quali la suite potrebbe essere utilizzata, per i prossimi decenni è previsto l’invio di una varietà di sonde planetarie su Europa, Encelado e Cerere, individuate come priorità principali nella Planetary Science and Astrobiology Decadal Survey 2023-2032. La suite di strumenti, spiega la Nasa, è progettata in modo che alcuni o tutti i componenti possano essere adottati per le diverse missioni proposte a seconda degli obiettivi scientifici specifici e delle risorse della missione.