Torniamo a parlare su Media Inaf di Hot Dog (Hot Dust-Obscured Galaxies), ossia quasar iperluminosi e estremamente oscurati dalla polvere e dal materiale della galassia che li ospita. In un articolo apparso su Nature Communications, un gruppo di ricercatori ha pubblicato nuovi dettagli che chiariscono il comportamento ancora misterioso di queste sorgenti, brillanti e massicce. Le galassie Hot Dog sono la fase di transizione tra galassie e quasar: una rara popolazione di galassie iperluminose, calde e oscurate da polveri molto più calde del normale. Per questo motivo tali sorgenti sono potenti emettitori nel medio infrarosso, banda nella quale sono state scoperte e selezionate. Nello studio viene riportata per la prima volta una caratterizzazione su grandi e piccole scale della Hot Dog W0410-0913 (W0410) formatasi poco meno di due miliardi di anni dopo il Big Bang. All’articolo hanno partecipato anche ricercatori italiani provenienti dall’Istituto nazionale di astrofisica e dalle università di Milano Bicocca e Sapienza di Roma e dalla Scuola Normale Superiore di Pisa.
«Si pensa che tali sorgenti siano uno stadio breve ma fondamentale in modelli di evoluzione quasar/galassia che porti a una transizione mediata da potenti venti nucleari espulsi dal quasar centrale», spiega Michele Ginolfi, ricercatore postdoc all’Eso e primo autore dell’articolo. «Questi potrebbero contribuire in maniera efficiente a espellere il mezzo polveroso della galassia ospite portando il sistema quasar/galassia da una galassia polverosa con alti tassi di formazione stellare che nasconde un quasar centrale profondamente oscurato a un potente quasar non oscurato ma estremamente brillante in banda Uv. Modelli teorici prevedono che tali “mostri” evolvano tramite fusione tra galassie, eventi che destabilizzerebbero il mezzo interstellare delle galassie divenendo responsabili degli alti tassi di formazione stellare e di accrescimento nucleare sul buco nero centrale supermassiccio e conseguente emissione da quasar. L’investigazione di tali sorgenti sarebbe però soltanto agli inizi e i meccanismi ultimi che portano a tali sorgenti e contribuiscono alla loro evoluzione e crescita sono ancora da comprendere a fondo».
Le sorgenti Hot Dog vengono studiate ormai da diversi anni. Il maggiore elemento di novità in questo paper è però l’approccio “multi-scala” al problema, ovvero la possibilità di indagare in maniera simultanea l’ambiente che circonda la galassia e la struttura interstellare. «Questo è stato possibile grazie alla combinazione di due tra gli strumenti più performanti e competitivi al mondo, che sono Muse e Alma dell’Eso. Le osservazioni su scale diverse risultato complementari e, insieme, ci danno un suggerimento chiaro: W0410 evolve in un ambiente molto denso, circondato da uno “stormo di galassie”, che però sembrano interagire con il “mostro” luminoso in modo piuttosto gentile. Gli forniscono la materia necessaria a nutrire il buco nero centrale e a sostenere la formazione stellare, ma senza perturbare in maniera distruttiva la struttura interstellare, senza disturbarne la rotazione», dice Laura Pentericci, tra gli autori dell’articolo e ricercatrice all’Inaf di Roma.
W0410 è una fra le galassie più luminose e massive dell’universo: pensate che si presenta agli occhi dei ricercatori con una luminosità nel lontano infrarosso pari a circa 200mila miliardi di soli e con una massa di stelle e gas che supera i 100 miliardi di masse solari. «I nostri dati Muse suggeriscono che W0410 evolve in quella che sembra essere una delle regioni circumgalattiche più dense del cosmo, con una concentrazione di galassie che supera più di un fattore 10 la concentrazione standard. I dati Alma mostrano chiaramente che il gas molecolare nel mezzo interstellare di W0410 ruota a velocità pazzesche, raggiungendo i 500 chilometri al secondo: è l’oggetto conosciuto dell’universo lontano il cui gas interstellare ruota più velocemente», specifica Enrico Piconcelli, sempre dell’Inaf di Roma.
L’articolo pubblicato venerdì scorso su Nature Communications offre un primo sguardo sui processi che avvengono all’interno delle galassie Hot Dog e che ne potrebbero influenzare crescita ed evoluzione. Gli esperti hanno scoperto più di 20 galassie compagne distribuite su una regione di soli 1,3 milioni di anni luce, corrispondente a circa la metà della distanza che separa la Via Lattea da Andromeda: tali galassie compagne sono talmente vicine tra di loro e alla Hot Dog da suggerire che W0410 viva in un ambiente molto denso e dominato dalla sua attrazione gravitazionale, e ciò implicherebbe che l’evoluzione di W0410 sia profondamente influenzata dalla futura fusione con queste galassie.
«Tuttavia lo studio della morfologia e i campi di velocità delle regioni centrali del mezzo interstellare di W0410, condotto tramite l’array di radiotelescopi Alma in Cile, ci suggerisce», aggiunge Ginolfi, «che W0410 non sembra poi così disturbata dalle sue compagne. Infatti non abbiamo trovato alcun segno di fusioni recenti di galassie con la Hot Dog. Al contrario W0410 mostra un regolare disco molecolare supportato dalla sua veloce rotazione».
«Il nostro studio», conclude il ricercatore, «ci ha permesso di comprendere meglio i meccanismi di crescita delle galassie più massive e luminose dell’universo, aiutandoci a capirne l’evoluzione. Abbiamo imparato che le sorgenti Hot Dog, che rappresentano una fase evolutiva chiave nella transizione tra galassie polverose e starburst a quasar, evolvono in ambienti molto molto densi. In ambienti circum-galattici in cui la concentrazione di galassie è cosi alta ci si aspetta che la frequenza di fusioni tra galassie sia molto grande, eppure sembra che queste interazioni gravitazionali non siano distruttive: nutrono la galassia centrale, ma la lasciano praticamente intatta».
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Communications l’articolo “Detection of companion galaxies around hot dust-obscured hyper-luminous galaxy W0410-0913” di M. Ginolfi, E. Piconcelli, L. Zappacosta, G. C. Jones, L. Pentericci, R. Maiolino, A. Travascio, N. Menci, S. Carniani, F. Rizzo, F. Arrigoni Battaia, S. Cantalupo, C. De Breuck, L. Graziani, K. Knudsen, P. Laursen, V. Mainieri, R. Schneider, F. Stanley, R. Valiante, A. Verhamme
Correzione dell’8/8/2022: il primo autore dello studio, Michele Ginolfi, è ricercatore postdoc all’Eso, e non assegnista di ricerca all’Inaf come riportato nella versione iniziale dell’articolo