LO STUDIO DI STANFORD, PENN STATE (USA), SAINT MARY (CANADA) E SRON (PAESI BASSI)

Sprazzi di luce dal lato nascosto del buco nero

Osservando il buco nero supermassiccio che alberga nel cuore di I Zwicky 1 – una galassia dal nucleo attivo a 876 milioni di anni luce da noi – un team di astronomi guidato da Dan Wilkins della Stanford University ha notato riverberi di fotoni X provenienti da tutte le regioni del disco di accrescimento, comprese quelle “alle spalle” del buco nero. Ne parliamo con Elisa Costantini, astrofisica all’istituto di ricerca spaziale olandese Sron e coautrice dell’articolo pubblicato oggi su Nature

     28/07/2021

Elisa Costantini, astronoma a Sron, l’istituto di ricerca spaziale dei Paesi Bassi, coautrice dello studio pubblicato oggi su Nature

Guardare l’altro lato della medaglia? Ora vale anche per i buchi neri, almeno se si vogliono spiegare alcuni comportamenti della luce nel loro disco di accrescimento. L’analisi dell’emissione di raggi X proveniente dal buco nero supermassiccio nella galassia I Zwicky 1 ha evidenziato il riverbero dei fotoni – visibili come flash di luce – dal lato a noi “nascosto” del buco nero. La variazione di energia di questi fotoni fa sì che sia evidente la loro origine in relazione allo spazio. I fotoni riflessi dal lato opposto del disco di accrescimento sono “piegati” attorno al buco nero e ingranditi dall’intenso campo gravitazionale. Lo studio, pubblicato oggi su Nature, è stato condotto da un team di scienziati provenienti dalle università di Stanford e Penn State negli Usa, dalla Saint Mary in Canada e da Sron, l’istituto di ricerca spaziale dei Paesi Bassi. Ce ne parla Elisa Costantini, riminese di nascita, laureata a Bologna e con un PhD per la fisica extraterrestre conseguito nel 2004 al Max Planck Institute, in Germania. Dopo un post doc all’università di Utrecht, nei Paesi Bassi, dal 2008 è astronoma associata allo Sron.

Anzitutto ci faccia da guida nella geografia di un buco nero: orizzonte degli eventi, disco di accrescimento, corona.

«Un buco nero è un oggetto circa cento milioni di volte la massa del Sole, compresso in uno spazio relativamente piccolo. Basti pensare che un buco nero che ha la stessa massa del Sole avrebbe un diametro di sei chilometri. L’orizzonte degli eventi è quello che definisce la superficie virtuale del buco nero (non avendo il buco nero una superficie solida) ed è di fatto l’orizzonte oltre al quale nemmeno la luce può sfuggire alla sua forza di gravità – da qui infatti il nome di buco nero. Se il buco nero è attivo, allora assorbe costantemente gas dall’ambiente circostante. Questo gas spiraleggia attorno al buco nero formando un disco. Questa fase di accrescimento dura tantissimo, circa dieci milioni di anni. In tutto questo tempo la materia continua ad accrescere, si compatta, si scalda enormemente, specialmente nei pressi del buco nero. Si raggiungono temperature tali – parliamo di milioni di gradi kelvin – che fanno ionizzare il gas, quindi fanno separare gli elettroni dall’atomo. Questi elettroni liberi vanno a formare una struttura, che chiamiamo corona, sopra il disco. Possiamo riassumere dicendo che c’è un disco di accrescimento intorno al buco nero e una corona di elettroni che aleggia sopra».

Ora che sappiamo come muoverci, ci può spiegare cosa ha rilevato il suo studio e qual è l’importanza dei risultati raggiunti?

«In questo studio abbiamo interpretato la variazione della luminosità, in funzione del tempo, di un nucleo galattico attivo, quindi una galassia che ospita un buco nero supermassiccio. Il fatto che un disco di accrescimento vari in luminosità non è un fatto inusuale, anzi, e nella maggior parte dei casi non è possibile dare una spiegazione certa a questi fenomeni. Diciamo quindi che sono casuali, imprevedibili. Ma questa volta abbiamo visto dei flash di luce in banda X seguiti da altri, più deboli, rilevati a diverse energie. E questa cosa si è ripetuta due volte: abbiamo avuto un flash e subito dopo un altro con le stesse sottostrutture, e non può essere casuale. Quindi, usando un modello teorico che ci spiega come si comportano i fotoni in presenza di un buco nero, siamo arrivati alla conclusione che i flash secondari altro non erano che fotoni riflessi da dietro il buco nero. Le curve di luce, quindi le variazioni di luminosità in funzione del tempo, e questi aumenti subitanei della luminosità X potrebbero aprire la strada a un nuovo modo di studiare i buchi neri».

I raggi X sono emessi da una corona di particelle energetiche attorno al buco nero. Alcuni di questi raggi raggiungono direttamente l’osservatore, ma altri (linee rosse) illuminano le regioni interne del disco di accrescimento (in arancione) e ne viene osservato il riflesso dal disco (linee blu). La forte flessione della luce nel campo gravitazionale attorno al buco nero focalizza i raggi verso il buco nero e sulle regioni interne del disco. I raggi riflessi dalla parte posteriore del disco possono essere piegati attorno al buco nero (in rotazione), consentendo il riemergere dei raggi X da regioni del disco che sarebbero altrimenti nascoste dietro il buco nero. Crediti: D. R. Wilkins et al., Nature, 2021

Come fate a distinguere i fotoni che arrivano da un lato e dall’altro del disco?

«Ce lo dice il modello. I fotoni provengono da una riga di emissione – la cosiddetta riga del ferro – che viene prodotta a una certa energia ed è tracciante del disco. Applicando la meccanica classica, l’effetto Doppler e la relatività generale al modello, si vede che in funzione del tempo la riga di emissione può avere un certo profilo che si può ritrovare nella curva di luce».

E l’osservazione di questi fotoni leggermente “piegati” intorno al buco nero risulta in accordo con la relatività generale?

«Sì, perché noi siamo partiti proprio dalle prescrizioni date dalla relatività generale. Quindi abbiamo dato per assunto che l’ambiente attorno al buco nero si comportasse in questo modo. I dati non sono discordanti con la teoria. Questo tuttavia è solo un primo passo. Come detto, questa nuova metodologia potrà essere applicata a molti casi, estendendone e confermandone i risultati».

Dove si trova la galassia che avete studiato, I Zwicky 1? E per quale motivo avete scelto di studiare proprio il suo buco nero de?

«È nella costellazione dei Pesci, e si trova a 876 milioni di anni luce da noi. Questa galassia è interessante da vari punti di vista. Negli ultimi quindici anni io e i miei collaboratori l’abbiamo osservata tre volte con puntamenti dedicati del telescopio X dell’Esa, Xmm-Newton, e abbiamo scoperto che il suo disco di accrescimento emette un vento di gas che viaggia a più di 1000 km/s e si comporta in funzione del tempo in maniera peculiare, diversamente rispetto ad altri oggetti che conosciamo. È una galassia che stavamo esplorando ancora prima che partisse lo studio».

Il fenomeno che avete osservato vi ha sorpreso o era il vostro scopo fin dall’inizio?

«Il primo autore, Dan Wilkins della Stanford University, era partito con un approccio di tipo classico nello studiare le caratteristiche temporali di questo buco nero. Come menzionato prima, il fatto di poter interpretare un fenomeno che in generale riteniamo casuale o comunque una sovrapposizione di così tanti fenomeni da non poter essere compreso appieno, è stata una vera sorpresa».


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