STUDIO FIRMATO DA RICERCATORI DELL’AUSTRIA, DELLA RUSSIA E DEL BELGIO

Un secolo e mezzo di macchie solari

Un nuovo catalogo delle macchie solari ricostruisce la storia dell’attività della nostra stella dal 1874 al 2020 e aiuta a formulare previsioni sul meteo spaziale. Pubblicato su Astronomy & Astrophysics., conferma come l’attività solare si comprenda meglio se considerata come un’interazione tra le attività negli emisferi nord e sud considerati separatamente

     26/07/2021


La fotosfera solare il 30 ottobre 2003. I principali gruppi di macchie solari osservati negli emisferi nord e sud hanno prodotto una serie di brillamenti seguiti da espulsioni coronali di massa. Crediti: Kanzelhöhe Observatory, Austria

La fotosfera, cioè la superficie del Sole, non è uniforme: zone luminose convivono con regioni più scure, le cosiddette macchie solari. Le macchie solari, altamente magnetizzate e caratterizzate da una temperatura inferiore rispetto al resto della fotosfera, si formano per l’emersione di flussi magnetici, che si generano per effetto dinamo all’interno del Sole e risalgono verso gli strati più superficiali. Sono regioni più fredde – e per questo appaiono più scure – perché l’intenso campo magnetico inibisce il trasporto di energia, con conseguente raffreddamento del gas. Un team di scienziati dell’Università di Graz, in collaborazione con l’Osservatorio di Kanzelhöhe, l’Istituto Skoltech e il World Data Center Silso dell’Osservatorio Reale del Belgio, ha fornito un catalogo del numero delle macchie solari emisferiche (Catalogue of Hemispheric Sunspot Numbers, Hsn), utile per prevedere l’evoluzione del ciclo solare e delle condizioni meteo spaziali. Lo studio è stato pubblicato su Astronomy & Astrophysics. Il catalogo, continuamente aggiornato e reso disponibile dal Sislo, ha lo scopo di mettere in sequenza il numero delle macchie solari dal 1874 al 2020 e integrare i dati dei due emisferi solari, finora studiati indipendentemente.

La comparsa delle macchie è il più importante indice dell’attività solare, che segue cicli lunghi in media undici anni, durante i quali le macchie aumentano progressivamente fino a raggiungere un picco in quello che viene chiamato periodo di massimo.

L’attività delle macchie solari è strettamente legata a quella dei brillamenti e delle espulsioni coronali di massa. All’inizio del ciclo solare, le macchie tendono a emergere nelle medio-alte latitudini, per poi convergere verso l’equatore. Poiché il Sole non è un solido, ma un corpo gassoso, l’equatore ruota più velocemente rispetto ai poli (fenomeno della rotazione differenziale), e questo causa una deformazione delle linee del campo magnetico, che si aggrovigliano in fasci. Attraverso questi, il plasma (gas ionizzato) viene espulso all’esterno della fotosfera, provocando eruzioni solari – i cosiddetti brillamenti – e anelli di massa coronale, enormi nuvole magnetiche rilasciate dal Sole a grandi velocità. Il plasma espulso può danneggiare i satelliti in orbita e causare tempeste magnetiche che possono interrompere le telecomunicazioni e causare blackout sulla Terra. Ecco perché il monitoraggio delle macchie solari, che sono in genere visibili alla base delle eruzioni solari, è fondamentale per prevedere eventi meteorologici spaziali avversi.

Evoluzione del campo magnetico del Sole nel corso del ciclo solare 24. In blu e in giallo sono rappresentati rispettivamente regioni di campo magnetico negativo e positivo. Nel 2008, durante il minimo solare, il campo è debole e calmo. Poi diventa sempre più attivo e forte, raggiungendo un picco durante il massimo solare del 2014, per poi calare nuovamente fino al minimo successivo. Crediti: Solar Cycle Science/Lisa Upton

Studiate a partire dal 18esimo secolo, le macchie solari furono descritte per la prima volta nel 1610 da Galileo, per il quale erano nubi piatte sulle superficie solare. Oggi sono studiate da 80 scienziati in tutto il mondo e il Sislo è il centro di riferimento globale per la raccolta dei dati.

Gli autori dello studio hanno anche messo in relazione l’attività delle macchie solari dell’emisfero nord con quella dell’emisfero sud, dimostrando come le previsioni del ciclo solare siano più affidabili quando l’evoluzione del numero delle macchie viene considerata separatamente per i due emisferi.

«Il Sole è una stella affascinante, la sua fisica è semplice e complessa allo stesso tempo. Dal nostro studio abbiamo appreso che possiamo ottenere una migliore previsione a lungo termine dell’attività solare complessiva se consideriamo i due emisferi prima indipendentemente e in seguito combinandoli», spiega la prima autrice dello studio, Astrid Veronig dell’Università di Graz, direttrice dell’Osservatorio Kanzelhöhe per la ricerca solare e ambientale.

«C’è un crescente bisogno di previsioni a lungo e medio termine dell’attività del Sole nel prossimo futuro», aggiunge il direttore del World Data Center Silso Frédéric Clette, altro autore dello studio, «perché la conoscenza del meteo spaziale può essere utile in vista di future missioni lunari o marziane di lunga durata».

Non conosciamo in ogni dettaglio i meccanismi della dinamo solare, ma sappiamo che il Sole ci appare diverso ogni volta che lo osserviamo a causa delle modificazioni del campo magnetico. Le immagini del disco solare sono quindi fondamentali per conoscere i cicli passati della nostra stella. Nel febbraio 2020 è stata lanciata una missione spaziale rivoluzionaria: la sonda Solar Orbiter, sviluppata dall’Agenzia spaziale europea, consentirà l’osservazione a distanza ravvicinata dei poli solari, che gli osservatori terrestri e i satelliti in orbita intorno alla Terra non riescono a scrutare.

«Il satellite riuscirà a intravedere i poli solari per la prima volta nella storia. Nel marzo 2025 raggiungerà un’inclinazione di 17 gradi sopra il piano dell’eclittica e arriverà a 33 gradi nel luglio 2029», dice Tatiana Podladchikova dello Stoltech Space Center.

In attesa di notizie sulle prossime previsioni spaziali, ci auguriamo una bella giornata di sole sulla Terra.

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