NON UNA SINGOLARITÀ MA UN ADDENSAMENTO DI MATERIA OSCURA

Buco nero al centro della Via Lattea? C’è chi dice no

Una nuova teoria offre una spiegazione alternativa alla natura di Sgr A*, l'oggetto compatto supermassiccio al centro della nostra galassia: mentre l’ipotesi comunemente accettata è che si tratti di un buco nero, uno studio guidato da ricercatori dell’IcraNet e pubblicato a maggio su Mnras Letters mostra che potrebbe trattarsi di “darkinos” – particelle di materia oscura – ad alta concentrazione. Media Inaf ha intervistato uno degli autori dell’articolo, l’astrofisico Jorge Armando Rueda Hernández

     15/06/2021

Jorge Armando Rueda Hernández, astrofisico all’IcraNet, coautore dello studio pubblicato il 20 maggio su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society: Letters

E se al centro della Via Lattea non ci fosse alcuna singolarità? Se il cuore di tenebra della nostra galassia celasse, in realtà, non un buco nero supermassiccio – come ritiene la maggior parte degli astrofisici – bensì un denso agglomerato di materia oscura? L’ipotesi, illustrata in uno studio pubblicato a fine maggio su Mnras Letters, può sembrare fuori tempo massimo: non è forse stato assegnato appena l’anno scorso il Nobel a Reinhard Genzel e Andrea Ghez proprio per la scoperta di Sagittarius A*, sede del buco nero da quattro milioni di masse solari che alberga proprio al centro della nostra galassia? A ben guardare, però, le motivazioni del Nobel a Genzel e Ghez non parlano di buco nero, ma più genericamente di oggetto compatto supermassiccio (supermassive compact object). Di quale altro oggetto – più o meno compatto – si potrebbe dunque mai trattare?

Secondo gli autori dell’articolo pubblicato su Mnras Letters, potrebbe essere un condensato di darkinos – particelle di materia oscura, appunto. Ed è uno scenario che non riguarderebbe solo la Via Lattea, ma numerosissime altre galassie. Fra gli autori dello studio, guidato da E. A. Becerra-Vergara dell’IcraNet, c’è un astrofisico colombiano – è originario di Bucaramanga – in Italia da ormai quindici anni: è arrivato nel 2006 per un dottorato in astrofisica relativistica alla Sapienza, per poi diventare professore anch’egli all’IcraNet, prima a Roma e ora all’Università di Ferrara. Si chiama Jorge Armando Rueda Hernández, l’abbiamo intervistato.

Com’è che non vi piacciono i buchi neri supermassicci? Cosa vi ha spinto a cercare un’alternativa?

«Questo è un punto che vorrei chiarire. C’è a volte questo fraintendimento del nostro lavoro. In realtà noi non diciamo che non esistono i buchi neri supermassicci, o che non ci siano buchi neri al centro delle galassie. Ciò che sosteniamo è che non siano presenti in alcuni tipi di galassie. Il nostro lavoro – e anche altri nostri lavori precedenti – mostra che, se la nostra ipotesi è corretta, la concentrazione di materia oscura al centro delle galassie, aumentando man mano nel tempo, può arrivare a un punto in cui diventa instabile, collassa e forma un buco nero supermassiccio».

Qual è questo punto, questa soglia oltre la quale ci sarebbe il collasso a buco nero supermassiccio?

«La nostra teoria prevede che sia nell’ordine dei 100 milioni di masse solari. Al centro della nostra galassia, invece, questa concentrazione arriva solo a qualche milione di masse solari, dunque al di sotto della soglia. Ecco perché la nostra teoria prevede che al centro della Via Lattea, la nostra galassia, ci sia un accumulo di materia oscura, piuttosto che un buco nero».

Mentre le galassie con nuclei al di sopra dei 100 milioni di masse solari hanno al centro buchi neri supermassicci?

«Sì, esatto: sono quelli che noi vediamo nei nuclei attivi di galassie, per esempio al centro di M87. Ed è assolutamente in regola con quello che prevediamo noi».

Siete dunque d’accordo che sia un buco nero anche quello al centro di M87, quello fotografato da Eht?

«Certo, anche per noi quello è un buco nero – d’altronde in quel caso parliamo di miliardi di masse solari».

Chiarito questo aspetto, veniamo al caso più interessante: quello delle galassie come la nostra, con un nucleo al di sotto della soglia dei 100 milioni di masse solari. In questo caso la vostra ipotesi prevede che non ci sia un buco nero, ma solo un addensamento di materia oscura. Perché?

«Il punto è che le osservazioni e i dati che abbiamo oggi a disposizione non sono sufficienti per dichiarare al cento per cento che lì ci sia un buco nero. La smoking gun della presenza di un buco nero supermassiccio al centro della Via Lattea sarebbe il cosiddetto gruppo di stelle S, quelle per le quali abbiamo le misure più accurate delle orbite attorno al centro della galassia. Ma c’è un problema: queste stelle, in realtà, benché si dica che sono “vicine”, in realtà sono molto lontane dal centro galattico. Detto altrimenti, un eventuale buco nero supermassiccio sarebbe estremamente piccolo rispetto alla distanza a cui orbita la stella più vicina di questo gruppo. Dunque, a rigore, qualsiasi configurazione con quella massa – purché rimanga all’interno dell’orbita di queste stelle – potrebbe produrre gli stessi effetti gravitazionali».

Quindi il problema sta nel raggio dell’orbita delle stelle S: troppo grande per poter distinguere fra la presenza di una massa ultra-concentrata come quella di un buco nero o, invece, di un addensamento molto più esteso…

«Proprio così. È sufficiente che sia abbastanza concentrato da rimanere all’interno delle loro orbite. Ecco, questo è il succo di tutta la discussione».

Ma se in base ai dati disponibili non è possibile discriminare fra i due scenari, allora cos’è che – nel vostro lavoro – ha fatto pendere l’ago della bilancia non verso il buco nero ma verso un’altra ipotesi?

«Per rispondere devo fare un passo indietro, ricordando che l’ipotesi della materia oscura ha inizialmente avuto origine dalle osservazioni del moto delle stelle nelle regioni periferiche della galassia. Noi abbiamo iniziato a studiare questo problema da un punto di vista teorico, anzitutto ipotizzando un tipo di particella di materia oscura, poi risolvendo le equazioni per vedere come questo tipo di particelle si dovrebbero distribuire nella galassia. I risultati ci dicono che si distribuiscono in modo tale, nella parte periferica, da spiegare effettivamente ciò che osserviamo nelle curve di rotazione – e fin qui nessuna sorpresa. Non c’è però solo la periferia. Andando man mano verso il centro, la nostra teoria mostra che – in questa configurazione – la materia diventa sempre più densa, fino a dar luogo a un accumulo nella regione centrale».

Insomma, siete partiti con l’intento di risolvere il problema della periferia, e vi siete ritrovati con una predizione interessante su quel che si sarebbe potuto trovare al centro…

Ricostruzione delle traiettorie delle 17 stelle S meglio risolte in orbita attorno a Sagittarius A*. Le linee nere tratteggiate corrispondono al modello con buco nero al centro, quelle colorate al modello di Ruffini-Argüelles-Rueda con al centro, invece, un addensamento diffuso di darkinos. Crediti: E. A. Becerra-Vergara et al., Mnras, 2021

«Già. E a quel punto ci siamo chiesti: non sarà che questo accumulo è quello che c’è veramente al centro della galassia? Così ci siamo messi a studiare anche il moto delle stelle vicine al centro, non solo quelle in periferia, per verificare se l’accumulo di materia oscura da noi previsto non potesse spiegare anche il moto di queste stelle – il gruppo di stelle S, appunto».

Guardando le curve del vostro grafico – quello che mette a confronto le orbite previste dalle due ipotesi, buco nero o addensamento di materia oscura – mi sembrano però perfettamente sovrapposte. Come fate a dire che c’è qualche differenza?

«Be’, in un grafico così non si vedono le differenze a occhio. Se però andiamo a vedere le tabelle dal quale è derivato, dal punto di vista statistico le differenze ci sono».

Veramente minime…

«Sì, siamo attorno all’uno per cento. Certo, se trovassimo stelle S in orbite più vicine al centro, e potessimo calcolarne le orbite con dati precisi quanto questi delle stelle attualmente osservate, le differenze fra le due ipotesi dovrebbero emergere in modo più netto. Con le stelle oggi a disposizione, però, l’unica cosa che possiamo dire è – come abbiamo scritto – che c’è una leggera preferenza verso il nostro modello. Vale a dire che statisticamente è un po’ più favorito. Però abbiamo anche indicato quale tipo di osservazione sarebbe necessaria per discriminare fra i due».

Quale?

«Anzitutto, come abbiamo menzionato nel nostro articolo, stiamo aspettando la pubblicazione dei dati nuovi sulla precessione dell’orbita della stella S2, poiché potrebbero essere una chiave per discriminare la natura di Sgr A*. Si potrebbe inoltre tentare un’analisi come quella condotta con M87».

Intende la cosiddetta prima fotografia di un buco nero?

«Sì, siamo in attesa dei dati sul centro della nostra galassia in arrivo dalla collaborazione Eht – l’Event Horizon Telescope. Dati che sarà molto difficile estrarre: occorre un sacco di tempo, perché il centro della nostra galassia è molto rumoroso. Io però non sono tanto fiducioso che si riescano a ottenere, perlomeno non con l’Event Horizon Telescope così com’è ora, forse in futuro. Ma ci sono anche oggetti nuovi e interessanti: due o tre stelle più vicine al centro galattico e per le quali i dati sulle orbite – acquisiti dai grandi telescopi ottici, principalmente Hubble e Vlt – stanno migliorando, si fanno sempre più accurati».

E se invece arrivasse, mettiamo entro fine anno, la foto di Sagittarius A* – l’oggetto da quattro milioni di masse solari al centro della nostra galassia? Permetterebbe di capire se si tratta di un buco nero o invece di un addensamento diffuso come quello da voi ipotizzato…

«Be’, se è valida la nostra ipotesi è ovvio che le differenze dovrebbero essere eclatanti, visto che la materia oscura, a differenza di un buco nero, può essere attraversata dalla luce – anche se va detto che il campo gravitazionale dell’addensamento sarebbe comunque sufficiente per deviarne la traiettoria. Un nostro studio del 2016, simulando gli effetti gravitazionali di questi nuclei di materia oscura condensata, mostra che avrebbero effetti di lente gravitazionale molto simili a quelli di un buco nero, come per esempio gli anelli di Einstein. La grande differenza è che un addensamento di materia oscura non darebbe origine alla shadow – all’ombra del buco nero. Questo assolutamente no. Ciò che sarà davvero interessante vedere è dunque la presenza o meno dell’ombra nella foto centro della Via Lattea. Ma ripeto, io non sarei tanto fiducioso nella possibilità di avere un’immagine del centro della nostra galassia paragonabile a quella di M87».

La “foto” dell’ombra del buco nero supermassiccio al centro di Messier 87. Crediti: The Event Horizon Telescope

Insomma, se Eht riesce a fotografare il centro della Via Lattea e a mostrare la presenza dell’ombra, allora possiamo scartare la vostra ipotesi ed essere certi che lì ci sia un buco nero. Se invece quest’immagine non arriva, o arriva senza l’ombra…

«…ecco che in questo secondo caso la nostra ipotesi comincerebbe a farsi molto interessante, sì».

Immagino dunque che il risultato di Eht lo stiate attendendo con una certa ansia…

«Non direi, io sono molto tranquillo. Va sottolineata una cosa: se anche arrivasse un’immagine con un’ombra, non vorrebbe affatto dire che la particella di materia oscura da noi ipotizzata – il darkino – non esiste».

Ecco, a proposito di questo darkino: ma è possibile che con tutte le candidate particelle di dark matter che già ci sono – le wimps, gli assioni… – abbiate sentito il bisogno di aggiungerne una nuova?

«Be’, per partire con la nostra ipotesi abbiamo dovuto scegliere un tipo di particella. Supponiamo che la materia oscura sia formata da fermioni, ci siamo detti. Dunque da particelle come gli elettroni, o come i neutrini. Inoltre non deve avere carica elettrica: dev’essere neutra, perché altrimenti la vedremmo interagire con le altre particelle, e non sarebbe più materia oscura. Abbiamo dunque assunto che avesse come unica interazione quella gravitazionale. Aver scelto che si tratta di fermioni implica inoltre che sia una particella quantistica – così da consentire l’accumulo, supportato dalla cosiddetta pressione quantistica, in base al principio di Pauli. E questo è tutto ciò che ipotizziamo della particella, non diciamo null’altro».

Scrivete anche che la massa del darkino sarebbe circa un nono di quella dell’elettrone…

«Questo lo deduciamo dal moto delle stelle. E in particolare dal fatto che più la massa della particella è grande e più la configurazione da noi ipotizzata diventa compatta al centro. Detto questo, non ipotizziamo alcuna nuova particella: i darkino potrebbe benissimo rientrare, per esempio, fra quelli che vengono chiamati neutrini sterili – dunque particelle candidate già proposte».

E perché un’eventuale immagine che dimostrasse la presenza di un buco nero al centro della Via Lattea non intaccherebbe l’ipotesi dell’esistenza del darkino?

«Perché il nostro modello continuerebbe a spiegare bene i moti alla periferia della nostra galassia, e più in generale di tutte le galassie che conosciamo. Insomma, il darkino continuerebbe a essere un buon candidato per la materia oscura. In un nostro articolo del 2018 abbiamo dimostrato che, per spiegare il moto periferico, la massa del darkino dev’essere compresa fra 10 e 350 KeV. E questo senza prendere in considerazione il centro della galassia. Se invece vogliamo dar conto anche del moto delle stelle vicine al centro, il vincolo si restringe e la soglia minima sale da 10 a 56 KeV».

Un’ultima cosa. I buchi neri supermassicci non si limitano a influenzare l’orbita delle stelle vicine, o a produrre un’ombra nelle immagini dell’Event Horizon Telescope. Fanno anche un sacco di altre cose: hanno anelli d’accrescimento, sparano raggi X, emettono venti relativistici… Sono moltissimi i fenomeni a essi associati, no?

«Già. Tutti fenomeni che però non vediamo nella nostra galassia. E questa è proprio una delle cose che all’inizio ci ha fatto riflettere: il centro della Via Lattea non si comporta come il centro di altre galassie».


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