FERRO ARRIVATO SUL PIANETA CON DEGLI IMPATTORI

Anomalie magnetiche sui crateri di Mercurio

Un gruppo di ricercatori guidati dall’Inaf ha analizzato il campo magnetico crostale di Mercurio per studiare alcune anomalie che si collocano in corrispondenza di due crateri recenti, asimmetriche rispetto al loro centro. L’analisi geologica dei due crateri suggerisce che il ferro che ha registrato l’anomalia sia stato portato da un impattore. Ulteriori dettagli su Geophysical Research Letters

     24/02/2021

Isolinee del campo magnetico crostale di Mercurio sovrapposte alla carta geologica del cratere Stieglitz. L’anomalia magnetica è decentrata rispetto al cratere ma in corrispondenza del fuso da impatto (poligoni bianchi con contorno magenta) e della catena più profonda generata dall’impatto (poligono rosso). Crediti: V. Galluzzi et al./Geophysical Research Letters

Trovare un punto di unione tra la geofisica e la geologia planetaria è possibile e lo ha fatto un gruppo di esperti guidati da Valentina Galluzzi, giovane ricercatrice dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), analizzando il campo magnetico crostale del pianeta Mercurio, concentrandosi su due anomalie individuate in corrispondenza di due crateri di recente formazione. La loro peculiarità è che, pur corrispondendo ai crateri, queste anomalie non sono perfettamente centrate su di essi, bensì sono asimmetriche. I risultati di questo studio sono stati pubblicati sulla rivista Geophysical Research Letters.

La crosta dei pianeti rocciosi (come la Terra, per esempio) può contenere elementi magnetici come il ferro in grado di registrare il campo magnetico locale. È altrettanto noto, però, che la crosta del primo pianeta del Sistema solare è povera di ferro. «Dal punto di vista geologico», spiega Galluzzi, prima autrice dello studio e ricercatrice all’Inaf di Roma, «volevamo verificare la possibilità che queste anomalie fossero state generate da elementi ferromagnetici portati da impattori. È stato possibile attraverso un’analisi della dinamica d’impatto che ci aiuta a capire quale possa essere stata la direzione, il verso e l’angolo del meteorite. Questo tipo di analisi si può effettuare qualitativamente su dei crateri recenti, le cui caratteristiche geologiche siano ben conservate e permettano di stabilire la zona di downrange, cioè la zona del cratere collocata nella direzione d’impatto, che tipicamente mostra variazioni topografiche e tessiturali apprezzabili».

Cratere Stieglitz (sopra) e cratere Rustaveli (sotto) di cui si riportano il campo magnetico crostale di Mercurio sovrapposto alle carte geologiche (sinistra) e i dipoli magnetici che dovrebbero indicare la posizione del materiale magnetizzato (destra). In entrambi i casi, l’asimmetria delle anomalie corrisponde con la direzione di downrange dei crateri e con la posizione del fuso da impatto (poligoni bianchi con contorno magenta). Crediti: V. Galluzzi et al./Geophysical Research Letters

I crateri protagonisti dell’articolo si chiamano Stieglitz (struttura di 90 chilometri di diametro con picco centrale localizzata nella regione Borealis Planitia) e Rustaveli (un “bacino” di 210 chilometri con picco ad anello centrale localizzato nell’emisfero nord del pianeta). Chiaramente esistono altri crateri recenti sulla superficie di Mercurio, ma questi sono gli unici due che hanno permesso questo tipo di analisi e confronto. L’analisi di Stieglitz e Rustaveli ha permesso ai ricercatori di individuare una serie di ristagni di materiale fuso nella direzione di downrange.

«Questo materiale fuso crea l’unica asimmetria morfologica palesemente evidente nei due crateri e le anomalie magnetiche asimmetriche si trovano decentrate esattamente nella stessa direzione. Un’ulteriore analisi di carattere geofisico, ci ha permesso di andare ad individuare la posizione esatta (avvalendoci di un errore sulla superficie di 30 km, dato dal gap di risoluzione tra le mappe delle anomalie e le basemap usate per la cartografia) del materiale magnetizzato. I dipoli magnetici così ottenuti, vanno a collocarsi nei pressi del materiale fuso, sempre nella regione di downrange», aggiunge Galluzzi.

Che alcuni elementi magnetici potessero essere portati su una superficie planetaria dagli impattori era già stato osservato sulla Luna, ma i risultati dell’articolo offrono, per la prima volta, prove osservative che gli elementi magnetici sono stati portati dagli impattori su Mercurio.

Valentina Galluzzi (Inaf) e, a dx, una coautrice dell’articolo, Joana S. Oliveira (Esa/Estec)

«Su Mercurio, come osservato anche sulla Luna, gli impatti sono una delle cause della presenza di queste anomalie localizzate. La fusione dell’impattore composto di elementi magnetici e il suo conseguente processo di raffreddamento», conclude Galluzzi, «permettono di registrare il campo magnetico e di registrare l’anomalia permanentemente nella roccia. Questo ci permette anche di affermare che la dinamo magnetica di Mercurio era attiva anche all’epoca di questi impatti (meno di 1,7 miliardi di anni fa)».

Altri dati utili a questo tipo di studi (come, per esempio, nuovi dettagli sulla topografia delle aree di fuso da impatto) arriveranno in futuro dalla missione BepiColombo, per la quale lavorano gli autori dello studio.

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