TRILOGIA DELLA POLARIZZAZIONE

Fusioni stellari. Episodi I, II e III

Cosa succede quando due stelle di neutroni – o un buco nero e una stella di neutroni – si fondono? Per ricostruire il processo in dettaglio, un team internazionale fondato da Stefano Covino dell’Inaf di Brera ha studiato l’emissione di luce polarizzata dalle kilonove prodotte durante questi eventi. I risultati sono pubblicati in tre articoli, l’ultimo dei quali uscito ora su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society

     12/01/2021

Rappresentazione artistica che mostra due stelle di neutroni, piccole ma densissime, nel momento in cui stanno per fondersi ed esplodere come kilonova. Crediti: Eso/L.Calçada/M. Kornmesser

Ancora non l’hanno visto, ma già sanno come va a finire. E lo pubblicano pure. Se c’è una cosa che non sembra turbare gli astronomi è lo spoiler. E parliamo di un “film” straordinario, uno fra i più attesi nelle migliori galassie dell’universo: la fusione tra un buco nero e una stella di neutroni. È l’ultimo dei tre tipi di eventi in grado di produrre onde gravitazionali rivelabili dagli attuali interferometri – gli altri due sono la fusione tra due buchi neri, più volte registrata, e quella tra due stelle di neutroni, l’unica ad aver prodotto un evento rilevato simultaneamente dagli interferometri e dai telescopi. Ancora non hanno visto con certezza il risultato della loro unione, dicevamo, ma già sanno che se un buco nero e una stella di neutroni mai dovessero compiere l’estremo atto sotto l’occhio di un telescopio ciò che si registrerebbe sarebbe una sequenza di eventi ben precisa: una timeline che contempla la produzione di una kilonova e – scrivono in un articolo pubblicato sull’ultimo numero di Monthly Notices of the Royal Astronomical Society – la conseguente emissione di luce a polarizzazione lineare.

L’articolo è l’ultimo di una trilogia tutta dedicata a questo tipo di fusioni: la “trilogia della polarizzazione”, la chiama l’astrofisico dell’Inaf che ha fondato il gruppo di ricerca internazionale che ha firmato i tre lavori, Stefano Covino. È l’ultimo articolo in ordine cronologico ma anche logico. Il primo, pubblicato nel 2017, si concentrava sull’osservazione di un fenomeno nuovo: la fusione, appunto, delle due stelle di neutroni all’origine dell’onda gravitazionale GW 170817 (quella che inaugurò l’astronomia multimessaggera). Il secondo, pubblicato l’anno successivo, era invece incentrato sullo studio di quel fenomeno per comprendere il significato dei dati raccolti. Infine quest’ultimo, rivolto allo sviluppo di predizioni da verificare con nuove osservazioni.

«È una trilogia della ricerca che non ha nulla da invidiare a ben note altre trilogie letterarie», dice Covino a Media Inaf, lasciando così trapelare la sua passione per Tolkien. «Stiamo parlando di una serie di tre lavori che il nostro gruppo ha prodotto in pochi anni allo scopo di studiare con dettaglio le caratteristiche polarimetriche di una delle classi di sorgenti che più ha attratto l’attenzione di teorici e osservativi in questi ultimi tempi: le kilonove. Ovvero le controparti elettromagnetiche che si possono formare in seguito alla fusione di due stelle di neutroni o una stella di neutroni e un buco nero. Fenomeni che generano potenti emissioni di onde gravitazionali e che mostrano ancora una volta il valore profondo dell’astrofisica multi-messaggio».

Stefano Covino, primo ricercatore all’Inaf di Brera, sede di Merate (LC)

Al gruppo fanno riferimento anche altri astronomi dell’Istituto nazionale di astrofisica, come Vincenzo Testa, dell’Osservatorio di Roma Monte Porzio. E riveste un ruolo primario un altro ricercatore italiano, primo autore dell’articolo uscito ora su Mnras: Mattia Bulla, laurea alla Bicocca (Milano) ma da anni in Svezia, dov’è diventato uno degli scienziati leader nel settore. A tenerli insieme, l’interesse condiviso per la polarizzazione: un fenomeno che – anche se non ce ne rendiamo conto – fa parte della nostra esperienza di tutti i giorni, come quando osserviamo la luce riflessa dalla neve in montagna, per esempio, o dall’acqua d’un lago. Per accorgercene è sufficiente osservarla attraverso lenti polarizzate, come quelle montate su alcuni occhiali o davanti all’obiettivo della macchina fotografica. Lenti in grado di filtrare, appunto, la luce polarizzata: ovvero, radiazione elettromagnetica le cui onde tendono a oscillare su un piano ben preciso. La presenza o meno di polarizzazione offre dunque un’informazione importante. Può dirci, come abbiamo visto, se la luce che stiamo osservando è diretta o riflessa. Ma a saperla interrogare bene la polarizzazione può dirci molte altre cose.

«La polarizzazione della luce, in un certo senso, porta memoria del percorso del flusso luminoso dalla sorgente all’osservatore», spiega Covino, che da anni la mette sotto torchio. «Nel caso delle kilonove, lo studio della polarizzazione – e in particolare la sua evoluzione con il tempo – permette di ottenere informazioni sulla geometria della sorgente e la relazione fra le varie componenti responsabili della luce emessa da questi oggetti. Si tratta di un argomento certamente complesso, ma in grado di fornire una visione di questi fenomeni sinergica a quella ottenibile con altre tecniche osservative. I risultati delle nostre simulazioni, contrariamente alle prime aspettative, mostrano che in determinate condizioni le kilonove prodotte dalle coalescenza che studiamo possono produrre un segnale importante di polarizzazione, un potente diagnostico della loro struttura fisica».

Ora, per capire se la predizione è corretta, si tratta “solo” di riuscire a cogliere con telescopi adatti il bagliore di una fusione fra un buco nero e una stella di neutroni. Sempre che anche questo tipo di eventi produca – cosa non scontata, vista la presenza d’un “mangialuce” qual è il buco nero – qualche forma di radiazione elettromagnetica effettivamente osservabile.

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