SOTTO LA MEDIA LE PUBBLICAZIONI SU ARXIV DELLE ASTRONOME IN ITALIA

Lockdown e ricerca: è una questione di genere

Il lockdown in vigore in molti paesi del mondo nei primi mesi del 2020 ha cambiato radicalmente il modo di lavorare nella ricerca, ma sono spesso le ricercatrici a pagare il prezzo più alto, con il carico aggiuntivo di lavoro domestico e di cura che si riversa in misura maggiore sulle donne. Un’analisi apparsa su Nature Astronomy mostra come, al calo generale di articoli “preprint” pubblicati dalla comunità astronomica italiana nel primo semestre di quest'anno, corrisponda una diminuzione solo per quanto riguarda gli articoli con una ricercatrice come prima autrice. Media Inaf ha intervistato Laura Inno dell'Università Parthenope, prima autrice della lettera

     06/11/2020

Il numero medio di preprint caricati sul portale Arxiv dalla comunità astronomica italiana nei primi sei mesi degli ultimi quattro anni. In grigio il numero totale, in giallo la percentuale di articoli con un uomo come primo autore, in viola la percentuale di articoli con una donna come prima autrice. Crediti: Inno et al., 2020

Le condizioni eccezionali causate dalla pandemia di Covid-19 hanno avuto e continuano ad avere molteplici effetti sociali, che risultano più o meno evidenti a seconda delle diverse comunità interessate. Con le restrizioni alla mobilità, le mura di casa sono diventate, da un giorno all’altro, un crocevia di attività disparate, dal lavoro in modalità smart per molti adulti alla didattica a distanza per i più giovani, in aggiunta alle immancabili mansioni domestiche. Mutamenti che hanno toccato anche il mondo della ricerca, trasferendo online l’attività scientifica e accademica, e allo stesso tempo mettendola a confronto diretto con la realtà casalinga. Una realtà che però non è uguale per tutti: come mostrano diversi studi provenienti dalle scienze sociali, le donne svolgono ancora una parte molto maggiore del lavoro domestico non retribuito rispetto agli uomini, prendendosi cura di casa, figli e altri familiari. E le donne della ricerca non sono da meno.

Qual è stato dunque l’impatto del lockdown in questo contesto? Hanno cercato una risposta Laura Inno, ricercatrice postdoc presso l’Università Parthenope di Napoli e associata Inaf, Alessandra Rotundi, professore ordinario alla stessa università e associata Inaf, e Arianna Piccialli, ricercatrice presso il Royal Belgian Institute for Space Aeronomy di Bruxelles, analizzando la produzione scientifica della comunità astronomica italiana durante i primi sei mesi del 2020 alla ricerca di eventuali tracce della divisione diseguale del lavoro domestico tra i due generi, esacerbata nel periodo tra marzo e giugno dalla chiusura delle scuole e dall’assenza di servizi assistenziali compensativi.

Il risultato, pubblicato ieri in una lettera alla comunità internazionale sulla rivista Nature Astronomy, non è particolarmente incoraggiante: a fronte di un leggero calo complessivo dei paper pubblicati come preprint sulla piattaforma Arxiv (il principale repository pubblico di articoli scientifici) rispetto alla media degli ultimi tre anni, risultano significativamente meno le pubblicazioni con una prima autrice donna, mentre quelle guidate da uomini sono addirittura in leggero aumento sulla media degli anni precedenti. Ne parliamo con Inno, prima autrice dello studio, esperta di stelle variabili, docente di fisica all’Università Parthenope e membro del team scientifico della missione Comet Interceptor dell’Agenzia spaziale europea.

Come ha deciso, insieme alle altre ricercatrici, di analizzare questo fenomeno?

«Sicuramente stavamo vivendo una situazione particolare: il nostro lavoro – che si basa su collaborazioni, incontri e congressi – è completamente cambiato in questo periodo, quindi nel nostro piccolo abbiamo sofferto. In più, nel mio caso e in quello di Alessandra, c’è stata anche l’esperienza un po’ estrema della didattica a distanza. Quindi da una parte c’è una componente legata alla nostra esperienza personale, dall’altra leggevamo molti articoli di opinione sugli effetti del lockdown sulla disparità di genere in campo accademico, e ci siamo chieste quale potesse essere un modo per quantificare effettivamente la produttività per cercare di misurare l’effetto del lockdown sulla nostra vita, sul nostro lavoro e quindi poi in futuro sulle nostre carriere. L’idea è nata anche abbastanza presto, forse ancora in aprile, quindi nel pieno del lockdown, ma per iniziare a raccogliere i dati bisognava attendere: abbiamo fatto un’analisi su sei mesi, quindi da gennaio a giugno, e poi la vera e propria elaborazione dei dati è iniziata a luglio».

Laura Inno, ricercatrice all’Università Parthenope di Napoli. Crediti: L. Inno

Che metodologia avete seguito?

«Rispetto ad altri lavori, che hanno analizzato il fenomeno su scala globale, abbiamo scelto di concentrarci su una comunità specifica: quella astronomica italiana. Ovviamente quella astronomica perché è quella che conosciamo meglio, quindi abbiamo potuto identificare più facilmente come quantificare i “prodotti” della ricerca, scegliendo la piattaforma Arxiv e selezionando gli articoli in base al genere del primo autore o autrice. Non si tratta di un’idea nuova, questo metodo è stato usato già per esempio da Viglione in un lavoro pubblicato su Nature a maggio, ma un vantaggio nel caso italiano era la facilità di identificare il genere dei membri della comunità, invece di farlo in maniera automatica come in lavori precedenti, che può generare bias. Fra l’altro, l’Italia è il paese con la maggiore percentuale di donne astronome – il 30 per cento – tra i paesi leader nell’astronomia, secondo i dati Iau. Inoltre, è stato il primo paese ad implementare il lockdown completo. Quindi per vari motivi questa comunità si prestava ad essere un campione su cui potevamo avere un discreto controllo, rispetto ad altri lavori svolti, più generici sui quali però c’era meno controllo.

Abbiamo quindi utilizzato i database pubblicamente disponibili sia sul sito web del Ministero dell’università e della ricerca, sia su quello dell’Inaf, in modo da costruire un elenco accurato di tutti i ricercatori attualmente attivi, divisi per genere. La lista completa comprende circa duemila ricercatori attivi. Infine, abbiamo confrontato l’elenco con tutti gli articoli preprint postati su Arxiv nel primi sei mesi di ogni anno, su una baseline di tre anni, quindi dal 2017 al 2019, calcolando una media per stimare il numero di preprint atteso da autori italiani per quel periodo e confrontarlo con il 2020».

La produzione degli ultimi tre anni – una media di 232 articoli nei primi sei mesi – vede dunque un calo dell’otto per cento, con 218 articoli nei primi sei mesi del 2020. Ve lo aspettavate?

«Ci aspettavamo una diminuzione in totale, perché comunque stavamo vivendo un periodo angosciante. La cosa che ci ha sorpreso è che, mentre gli uomini sembrano non aver risentito del lockdown, con una produzione addirittura aumentata di circa il 10 per cento rispetto alla media, le donne hanno pubblicato meno, quindi il decremento totale che noi vediamo è esclusivamente dovuto al decremento nella produzione femminile. La nostra idea è che questo si può spiegare perché, essendo chiuse le scuole ed essendo impossibile ogni tipo di mobilità – non c’era la possibilità di avere baby-sitter o aiuto dai nonni – tutta la cura della casa e dei figli ricadeva sulle ricercatrici donne. Quindi la differenza di produttività è una specie di specchio dello sbilanciamento della distribuzione dei carichi di lavoro familiare tra i generi nel paese, e potrebbe costituire un serio ostacolo nel processo verso la parità di genere.

Ovviamente è difficile cercare una relazione di causa-effetto, anche se quello che mostriamo in questo lavoro è che a parità di condizioni, nelle stesse identiche situazioni, gli uomini hanno prodotto di più e le donne di meno. Questi sono i dati. È chiaro che è una statistica, quindi non si riferisce al caso singolo, ma sicuramente sappiamo che in generale c’è una ripartizione del lavoro domestico in questo senso, in particolare per quanto riguarda il lavoro di cura, cura dei figli e dei genitori. Ci sono una serie di studi che mostrano questo trend, in particolare il lavoro di Schiebinger e Gilmartin che citiamo nel nostro articolo, secondo cui le ricercatrici svolgono quasi il doppio del lavoro domestico rispetto alle loro controparti maschili».

Avete riscontrato qualche altro andamento interessante nei dati?

«Ci tengo a dire che i nostri dati mostrano che, negli ultimi tre anni, la produttività delle donne si attesta bene intorno al 30 per cento dei preprint totali, quindi vuol dire che è in linea con la rappresentatività delle donne nella comunità italiana, che sono circa il 30 per cento. Il problema poi è il famoso imbuto: ci sono tantissime donne ai livelli più bassi e precarie, e il numero di donne permanent è molto piccolo. Abbiamo anche controllato che non ci fosse nessun bias, perché io avevo il dubbio che le donne tendessero a postare su Arxiv dopo rispetto agli uomini, invece incredibilmente questo non c’è. La stessa percentuale di uomini e donne carica i paper su Arxiv prima che il paper venga accettato da una rivista, ma la stragrande maggioranza continua a farlo dopo che l’articolo è stato accettato».

Data questa tendenza, è verosimile che ci siano dei ritardi tra il problema sorto nella produttività durante il lockdown e l’effetto sulle pubblicazioni in Arxiv?

«Poiché il lavoro di un articolo non prende soltanto un mese, ci aspettiamo un ritardo fino a sei mesi, quindi gli effetti potrebbero essere più forti di quelli che abbiamo visto. Sicuramente continueremo a monitorare i dati e a vedere, specialmente quando finirà l’anno e con le nuove restrizioni “dinamiche”, se riusciamo in qualche modo a trovare delle correlazioni più stringenti tra le nuove misure e la produttività, sia maschile che femminile. In realtà, nei dati di giugno sembrava già esserci una ripresa, perché in realtà si sono alleviate le restrizioni e quindi sicuramente c’è stata una migliore organizzazione della gestione familiare, magari sono tornati baby-sitter e nonni».

Con questi dati alla mano, quali iniziative può adottare la comunità astronomica e scientifica in generale per superare questa condizione creata dalla pandemia ed evitare che diventi un ostacolo per future progressioni di carriera, e quindi per il processo generale verso la parità di genere?

«Questa è una domanda che in realtà noi intendiamo fare alla comunità. Quello che noi vogliamo è che la comunità prenda in considerazione questo problema. Fintanto che ci sono lavori che dicono che la vita dei ricercatori è andata avanti praticamente inalterata, è difficile che si prendano decisioni in merito, quindi la prima cosa da fare come in tutte le questioni che riguardano le disparità di genere è raccogliere dati che rappresentano la situazione così com’è. Una volta che si hanno i dati si può cominciare a capire come cercare di risolvere i problemi. Sicuramente un modo per provare a risolvere il problema della disparità di genere è avere sempre più donne in ruoli di responsabilità».

Ci sono stati lavori simili sulle comunità astronomiche di altri paesi?

«Che io sappia no, perché i lavori di cui sono a conoscenza si sono sempre concentrati sull’aspetto globale. So che le riviste volevano compilare delle loro statistiche, era stato discusso per esempio all’Eas (European Astronomical Society Annual Meeting, a luglio – ndr). Ma sarebbe estremamente interessante se qualcuno lo facesse».


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