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Ultraleggeri con l’anello, ecco i mondi “super-puff”

Simulandone il transito sul disco stellare, due scienziati hanno ipotizzato che la densità eccezionalmente bassa dei cosiddetti pianeti “super-puff” – mondi con densità inferiori a 0.3 grammi per centimetro cubo – possa essere dovuta non a un’atmosfera insolitamente grande, bensì alla presenza di anelli planetari che falsano la stima del loro volume

     04/03/2020

Illustrazione artistica di un esopianeta con anelli in transito davanti alla sua stella. Crediti: Robin Dienel/Carnegie Institution for Science

Con l’incremento del numero di pianeti scoperti al di fuori del Sistema solare, è aumentato anche il numero di quelli per i quali gli astronomi hanno trovato delle vere e proprie stranezze. Ne sono un esempio gli esopianeti che gli scienziati chiamano super-puff o cotton candy: mondi alieni intriganti e molto rari, con masse simili a quella della Terra, ma con un raggio più grande di quello di Nettuno, e di conseguenza con densità molto ridotte. Densità talmente basse da essere paragonabili a quella dello zucchero filato che dà loro il nome – cotton candy planets, appunto: inferiori a 0.3 grammi per centimetro cubo, il che conferirebbe loro un aspetto incredibilmente “arioso”.

Pianeti completamente diversi da qualsiasi altro oggetto in orbita attorno al Sole, insomma. A oggi, di mondi con queste caratteristiche se ne conoscono poco più d’una dozzina. Ma come si possano formare pianeti così poco densi? Una possibile spiegazione è che questi mondi siano costituiti da un piccolo nucleo e un’atmosfera estremamente estesa di idrogeno ed elio, che dà loro l’aspetto rigonfio – da cui il nome di pianeti super-puff.

Shreyas Vissapragada e Anthony Piro, astronomi rispettivamente al Caltech e alla Carnegie Institution for Science, ipotizzano però una spiegazione alternativa: la presenza attorno a questi pianeti di di anelli planetari molto spessi. «Abbiamo iniziato a chiederci: e se questi pianeti non fossero affatto ariosi come lo zucchero filato?», dice Piro «E se sembrassero così grandi solo perché in realtà sono circondati da anelli?».

Anelli planetari che – oscurando durante il transito un’ampia porzione della stella – potrebbero far sballare le stime del diametro del pianeta, portando così a sottostimarne la densità. Anelli simili per aspetto, dunque, ma come vedremo diversi per materiale e dimensioni da quelli maestosi di Saturno, o da quelli di Urano, o ancora da quelli scoperti dalla sonda Voyager 1 in questo giorno di 41 anni fa attorno a Giove.

Per mettere alla prova la loro ipotesi, Piro e Vissapragada hanno simulato il transito di un pianeta anellato di fronte alla sua stella e studiato i tipi di materiale dell’anello che potrebbero spiegare le osservazioni di questi pianeti. Il risultato del loro lavoro, pubblicato su The Astronomical Journal, ha dimostrato che gli anelli potrebbero in effetti spiegare alcuni ma non tutti i pianeti super-puff che la missione Kepler della Nasa ha scoperto finora.

«Questi pianeti tendono a orbitare in prossimità delle loro stelle ospiti», spiega infatti Piro, «e ciò implica che gli anelli dovrebbero essere fatti di roccia, piuttosto che di ghiaccio. Ma il raggio di un anello roccioso non può essere più grande di tanto, a meno che non si tratti di roccia molto porosa, quindi non tutti i super-puff rientrerebbero in questi vincoli».

In particolare, fra quelli oggi ritenuti super-puff, solo tre sono candidati promettenti per essere anellati: Kepler-87c, Kepler-177c e Hip 41378f – l’ultimo della famiglia a essere stato annunciato. Per confermare che questi pianeti siano davvero dotati di anelli, gli astronomi dovranno ora compiere osservazioni molto precise dei loro transiti. Sfortunatamente, però, i telescopi terrestri e spaziali oggi disponibili non hanno la precisione richiesta per confermare la presenza di anelli attorno a questi mondi lontani. Queste osservazioni di follow-up saranno però possibili con il lancio – in programma per il prossimo anno, salvo ulteriori rinvii – del James Webb Space Telescope della Nasa. La conferma della loro presenza non sarebbe solo una straordinaria nuova scoperta, ma fornirebbe anche informazioni su come questi sistemi planetari si sono formati e si sono evoluti attorno alle loro stelle ospiti.

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