GRAZIE ALL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE E AI DATI DELLE VAN ALLEN PROBES

Due giorni di preavviso per le tempeste di Van Allen

Un nuovo modello di previsione basato su algoritmi di machine learning consentirà di sapere dell’arrivo di tempeste di radiazioni dalle fasce di Van Allen con un anticipo di ben 48 ore. Lo studio, pubblicato sulla rivista “Space Weather”, aiuterà a proteggere meglio i satelliti artificiali che orbitano ad altezze medio-alte

     04/03/2020

Rappresentazione artistica delle fasce di Van Allen, caratterizzate dalla presenza di elettroni relativistici di provenienza solare. Crediti: Nasa

Le notizie sono due e, come sempre, una è buona e una è cattiva. Come da copione, partiamo da quest’ultima: ricordate le Van Allen Probes, le due sonde gemelle inviate nel 2012 dalla Nasa per studiare da vicino l’enigma rappresentato dalle fasce di Van Allen? Ebbene, hanno finito l’idrazina, la loro benzina. In realtà, la Nasa aveva già previsto che la missione sarebbe terminata all’inizio del 2020, e le due sonde hanno già cominciato un percorso di rientro che le riporterà nella nostra atmosfera, per essere completamente distrutte dall’attrito, pensate, nel 2034. Bye bye Probes, dunque.

La buona notizia è che con i dati finora raccolti dai satelliti americani della  Noaa (National Oceanic and Atmospheric Administration) e da quelli del Lanl (Los Alamos National Laboratory) – presso cui lavora Yue Chen, primo autore dello studio appena pubblicato nella rivista Space Weather – è stato possibile mettere a punto un nuovo sistema di previsione delle tempeste di radiazione tipiche delle fasce di Van Allen. Un sistema – questo è il punto centrale dello studio – che, almeno per le previsioni di tempeste di radiazione, non richiede ulteriori dati provenienti direttamente dalle fasce di Van Allen (due “cinture” che si estendono tra i mille e i sessantamila km dalla superficie terrestre): sarebbero sufficienti quelli già disponibili, integrati da quelli facilmente ottenibili da altri satelliti in orbita, e un pizzico d’intelligenza – nello specifico, intelligenza artificiale.

Il motivo di tanta attenzione per la previsione delle tempeste geomagnetiche – e più in generale dello space weather, il  “meteo dello spazio” – è presto detto. Le linee del campo magnetico terrestre creano una mega ciambella invisibile, a forma di toroide, che imprigiona i velocissimi elettroni solari. Questi, scontrandosi reciprocamente, trasformano la loro energia cinetica in radiazione elettromagnetica nell’ordine dei mega-elettronVolt (MeV) – potenze più che sufficienti a danneggiare un satellite in modo serio. E sono, appunto, le stesse energie su cui si focalizza il modello PreMevE 2.0.

Panoramica delle osservazioni del flusso di elettroni (in alto, grafico A) e delle previsioni (i restanti grafici) elaborate da PreMevE 2.0. Tutti i grafici si riferiscono allo stesso intervallo di 1289 giorni a partire dal 20 febbraio 2013. Crediti: Los Alamos National Laboratory

«Le tempeste di radiazioni dalle cinture di Van Allen», spiega Chen, «possono danneggiare o addirittura distruggere del tutto i satelliti che si trovano attorno alla Terra su orbite medie e alte, ma prevedere queste tempeste è sempre stato piuttosto difficile». Ora, non avendo più a disposizione i dati delle due sonde Nasa, è stato messo a punto un nuovo modello di previsione. «Il nostro modello», prosegue Chen, «usa basi di dati già esistenti per “imparare” a elaborare modelli e a prevedere tempeste future, in modo da consentire agli operatori satellitari di prendere precauzioni».

Il nuovo strumento si chiama “PreMevE 2.0” (Predictive Model for Megaelectron-Volt Electrons), e grazie alla possibilità di inserire senza troppe difficoltà nuovi parametri e a nuovi algoritmi di machine learning consentirà di migliorare le performance, già peraltro piuttosto buone, della sua prima versione: da 24 ore di preavviso rispetto al verificarsi dei picchi di radiazione si passa a 48 ore. Un raddoppio reso possibile anche grazie all’aggiunta di un elemento prima non considerato, ovvero la velocità del vento solare a monte del fronte d’urto (upstream). Può sembrare poco, ma due interi giorni a disposizione dei tecnici e degli ingegneri per decidere se spegnere o meno un satellite, o parti di esso, per evitare danni irreparabili possono fare la differenza.

Infine, come sottolineato da Youzuo Lin, lo sviluppatore degli algoritmi di intelligenza artificiale del progetto, non è affatto secondario il fatto che il sistema PreMevE 2.0 potrà essere applicabile in futuro anche a scienze apparentemente (ma solo apparentemente) molto più “vicine” al nostro quotidiano,  quali la meteorologia terrestre o il monitoraggio e la previsione – finora risultata aleatoria e fallimentare – dei terremoti.

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