CI ARRIVANO DA 4500 ANNI LUCE DI DISTANZA

Quei lampi che non ti aspetti dalla pulsar

Per la prima volta, un team di ricercatori guidato da Alessandro Papitto dell’Inaf ha osservato l’emissione contemporanea di impulsi di luce visibile e raggi X proveniente da una pulsar in rapidissima rotazione

     13/09/2019

Illustrazione non in scala del sistema stellare composto dalla pulsar PSR J1023+0038 (in bianco, sulla destra) e della sua compagna (in rosso) dalla quale sta accrescendo materia.
Crediti: ESA

Per la prima volta, un team di ricercatori guidato da Alessandro Papitto dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) ha osservato l’emissione contemporanea di impulsi di luce visibile e raggi X proveniente da una pulsar, distante da noi circa 4500 anni luce. Una scoperta sorprendente, poiché le attuali teorie che descrivono l’emissione di radiazione di una pulsar del tutto particolare come quella studiata dai ricercatori indicano che i segnali nei raggi X e radio o luminosi dovrebbero essere sfalsati.

La scoperta è stata realizzata nell’ambito di una estesa campagna di osservazione di due giorni promossa nel 2017 con telescopi da Terra e dallo spazio, che ha visto protagonisti il Telescopio nazionale Galileo gestito dall’Inaf, situato nelle Isole Canarie ed  equipaggiato per l’occasione con il fotometro ottico ad altissima velocità SiFAP (ideato e sviluppato da ricercatori della Sapienza – Università di Roma, dell’Inaf e del Telescopio Galileo), e il satellite Xmm-Newton dell’Agenzia spaziale europea (Esa). Le osservazioni combinate hanno permesso al team di misurare con altissima risoluzione temporale i due tipi di radiazione provenienti dalla pulsar denominata Psr J1023 + 0038. Psr J1023 + 0038 è ciò che resta di una stella di grande massa giunta alla fine del suo ciclo evolutivo, una stella di neutroni con una densità elevatissima e con un altrettanto intenso campo magnetico. In più, ruota su sé stessa a un ritmo impressionante, compiendo alcune centinaia di giri ogni secondo: è una pulsar al millisecondo, nella classificazione degli addetti ai lavori.

Ma le particolarità di questo oggetto celeste non finiscono qui: studi precedenti avevano dimostrato che la pulsar appartiene ad una categoria ancor più peculiare, quella delle cosiddette “pulsar al millisecondo transizionali” (transitional millisecond pulsar) che alternano due diverse modalità di emissione: raggi X e onde radio. Secondo il modello teorico oggi più accreditato che spiega questo comportamento insolito, l’accrescimento della materia “risucchiata” da una stella compagna provoca le emissioni di raggi X pulsate, mentre si ritiene che il segnale radio derivi dalla rotazione del campo magnetico della pulsar “cannibale”. Per passare da un tipo di emissione all’altro, la magnetosfera della pulsar dovrebbe passare da una fase di accrescimento a una di espansione, che la interromperebbe, e i due processi non possono di conseguenza manifestarsi contemporaneamente.

Il Telescopio nazionale Galileo (Tng) dell’Inaf, sull’Isola di La Palma, alle Canarie. Crediti: Renato Cerisola/Inaf

«Psr J1023 + 0038 è la primissima pulsar al millisecondo scoperta con pulsazioni anche nella banda ottica »  commenta Alessandro Papitto, dell’Inaf di Roma, primo autore dell’articolo che descrive la scoperta, pubblicato sulla rivista The Astrophyiscal Journal. «È un po’ come un faro che insieme a rapidissimi lampi di luce emette in perfetta sincronia anche impulsi di raggi X».

Se emessi all’unisono, è molto probabile che questi segnali debbano avere una origine comune: «Quando abbiamo pianificato le osservazioni, abbiamo pensato che la pulsar avrebbe oscillato tra le pulsazioni ottiche e dei raggi X» aggiunge Filippo Ambrosino, sempre dell’Inaf, coautore dell’articolo. «Ciò significherebbe che il sistema sta cambiando molto rapidamente il suo stato tra le due modalità di emissione. Ma in realtà abbiamo visto che i due tipi di pulsazioni si verificano simultaneamente per decine di minuti, quindi si spengono insieme e tornano di nuovo insieme».

Il team ha cercato di spiegare gli impulsi sincronizzati con i modelli attuali, ma senza risultati. Il segnale ottico è troppo luminoso per essere una conseguenza dell’accrescimento di materia, come nel caso degli impulsi a raggi X. Anche i modelli basati sulla rotazione del campo magnetico della pulsar, come quelli che spiegano le pulsazioni radio, non sono stati soddisfacenti.

Papitto e collaboratori hanno quindi proposto un nuovo scenario in grado di spiegare i dati. «Stiamo osservando qualcosa di completamente diverso dagli altri tipi di pulsar» sottolinea Papitto. «Abbiamo pensato che forse la pulsar emetta un forte vento elettromagnetico, che quindi interagisce con il disco di accrescimento attorno al sistema».

Alessandro Papitto, ricercatore all’Osservatorio astronomico dell’Inaf di Roma

Quando il vento della pulsar colpisce la materia nel disco di accrescimento, crea un’onda d’urto potentissima, che accelera gli elettroni nel vento a velocità estremamente elevate. Gli elettroni interagiscono quindi con il campo magnetico del vento, producendo una potente radiazione di sincrotrone che può essere osservata contemporaneamente nelle bande ottiche e dei raggi X. «Pensiamo che questa regione di shock tra il vento della pulsar e il disco di accrescimento si comporti come uno schermo in cui viene depositata energia» spiega il ricercatore. «Questa energia viene quindi rapidamente irradiata tutta in una volta, portando all’impulso osservato della radiazione ottica e dei raggi X ad ogni rotazione».

A differenza di altre pulsar, il disco di accrescimento non raggiunge la superficie della pulsar ma viene distrutto dal vento elettromagnetico a circa cento chilometri di distanza dalla crosta, quindi non contribuisce alla maggior parte dell’emissione di raggi X e alla velocità di rotazione della pulsar, come invece assumono altri modelli.

Il nuovo scenario fornisce una possibile spiegazione per gli impulsi simultanei, ma saranno necessari ulteriori dati per convalidare la teoria. Ad esempio, il modello prevede un piccolo ritardo, di solo poche centinaia di microsecondi, tra il segnale ottico e quello X, che dovrà essere confermato da nuove osservazioni, ancor più accurate e tecnicamente assai difficili, che il team di scienziati ha già in programma nell’immediato futuro, grazie allo sviluppo del fotometro SiFAP al Telescopio Nazionale Galileo.

 

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