VERSO LA DETERMINAZIONE DELL’EPOCA DI REIONIZZAZIONE

Alle costole dell’idrogeno neutro

Grazie ai dati del radiotelescopio australiano Mwa, è stato possibile ottenere un miglioramento di un ordine di grandezza nella stima dell’epoca di reionizzazione. Il segnale rilevato ha più di 12 miliardi di anni, è molto debole e gli effetti sistematici rendono molto difficile estrarre le informazioni che gli astronomi stanno cercando. Ma grazie a questo lavoro è stato possibile porre dei vincoli ai modelli teorici, escludendo quelli più estremi

     12/09/2019

In questa immagine dell’epoca della reionizzazione, l’idrogeno neutro (in rosso) viene gradualmente ionizzato dalle prime stelle, mostrate in bianco. L’immagine è stata realizzata dal programma Dragons (Dark-ages Reionisation And Galaxy Observables from Numerical Simulations) dell’Università di Melbourne. Crediti: Paul Geil and Simon Mutch

Sembra che gli astronomi siano alle costole di un segnale che ha viaggiato nell’universo per ben 12 miliardi di anni. Un segnale che, una volta trovato, ci avvicinerà sempre di più alla comprensione della vita e della morte delle primissime stelle.

Già nel 2018, nello spettro del fondo cosmico a microonde era stata individuata l’impronta della luce delle prime stelle, ma misurare direttamente il segnale proveniente dall’idrogeno neutro sembra essere molto più difficile, a causa della debolezza del segnale stesso e degli effetti sistematici (strumentali e astrofisici) che affliggono la misura.

In un articolo apparso su arXiv, che sarà presto pubblicato sull’Astrophysical Journal, un team guidato da Nichole Barry dell’università australiana di Melbourne e dell’Arc Centre of Excellence for All Sky Astrophysics in 3 Dimensions (Astro 3D), riporta di avere ottenuto un miglioramento di un ordine di grandezza nella stima dell’epoca di reionizzazione, utilizzando i dati raccolti dal Murchison Widefield Array (Mwa), un insieme di 4096 antenne a dipolo collocate nel remoto entroterra dell’Australia occidentale.

Il radiotelescopio Mwa, che ha iniziato a funzionare nel 2013, è stato costruito appositamente per rilevare la radiazione elettromagnetica emessa dall’idrogeno neutro – un gas che si ritiene permeasse l’universo nel periodo in cui il brodo primordiale di protoni e neutroni generati in seguito al Big Bang ha iniziato a raffreddarsi. Atomi di idrogeno che, a un certo punto, iniziarono a raggrupparsi per formare le stelle – le prime stelle – dando il via a una fase importante nell’evoluzione dell’Universo, nota come epoca della reionizzazione.

«Definire l’evoluzione dell’epoca della reionizzazione è estremamente importante per la nostra comprensione dell’astrofisica e della cosmologia», spiega Barry. «Finora però nessuno è stato in grado di farlo. Questi risultati ci avvicinano molto a questo obiettivo».

Nichole Barry presso il radiotelescopio Mwa (Murchison Widefield Array). Crediti: Ruby Byrne

L’idrogeno neutro, che dominava lo spazio e il tempo prima dell’epoca della reionizzazione (e nel suo primo periodo), emetteva radiazione a una lunghezza d’onda di circa 21 centimetri. A causa dell’espansione dell’universo, quel segnale si è spostato a lunghezze d’onda più lunghe (sopra ai 2 metri) ma persiste tuttora, e rilevarlo rimane il modo migliore con cui possiamo indagare le condizioni dell’universo ai suoi albori. Tuttavia, riuscire a trovarlo è un’impresa terribilmente difficile.

«Il segnale che stiamo cercando ha più di 12 miliardi di anni», spiega Cathryn Trott, coautrice del lavoro e membro della collaborazione Astro 3D, dell’International Center for Radio Astronomy Research presso la Curtin University nell’Australia occidentale. «È eccezionalmente debole e ci sono molte altre galassie, interposte tra lui e noi, che rendono molto difficile estrarre le informazioni che stiamo cercando».

In altre parole, i segnali registrati da Mwa – e da altri cacciatori di questo segnale che proviene dall’epoca della reionizzazione, come Hydrogen Epoch of Reionisation Array in Sud Africa e il Low Frequency Array in Olanda – sono estremamente confusi.

Usando 21 ore di dati grezzi, Barry e Mike Wilensky, dell’Università di Washington negli Stati Uniti, insieme ad altri colleghi, hanno esplorato nuove tecniche per perfezionare l’analisi ed escludere fonti coerenti di contaminazione del segnale, tra cui le deboli interferenze generate dalle trasmissioni radiofoniche terrestri. Il livello di precisione raggiunto ha ridotto in modo significativo l’intervallo in cui l’epoca di reionizzazione potrebbe essere iniziata.

«Con questo lavoro non possiamo dire che ci avviciniamo alla datazione precisa dell’inizio o della fine dell’epoca di reionizzazione, ma possiamo escludere alcuni dei modelli più estremi», afferma Trott. «Ora possiamo escludere che sia accaduto molto rapidamente, così come l’eventualità che le condizioni fossero molto fredde».

I risultati non rappresentano solo un passo avanti nello studio dell’universo primordiale, ma hanno anche creato un quadro più definito per ulteriori ricerche. «Abbiamo circa 3000 ore di dati presi dal radiotelescopio Mwa», spiega Barry. «Per i nostri scopi alcuni di questi dati sono più utili di altri. Questo approccio ci consentirà di identificare quali bit sono i più promettenti e di analizzarli meglio di quanto non avremmo mai potuto fare prima».

Per saperne di più:

  • Leggi su arXiv l’articolo “Improving the EoR Power Spectrum Results from MWA Season 1 Observations” di Barry, M. Wilensky, C. M. Trott, B. Pindor, A. P. Beardsley, B. J. Hazelton, I. S. Sullivan, M. F. Morales, J. C. Pober, J. Line, B. Greig, R. Byrne, A. Lanman, W. Li, C. H. Jordan, R. C. Joseph, B. McKinley, M. Rahimi, S. Yoshiura, J. D. Bowman, B. M. Gaensler, J. N. Hewitt, D. C. Jacobs, D. A. Mitchell, N. Udaya Shankar, S. K. Sethi, R. Subrahmanyan, S. J. Tingay, R. L. Webster e J. S. B. Wyithe