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Ecco le due super-terre gemelle ma diverse

La profonda diversità nella composizione interna dei due esopianeti è probabilmente dovuta a un impatto gigante avvenuto nelle prime fasi della loro formazione. Lo studio, pubblicato su Nature Astronomy, è stato guidato da ricercatori dell’Inaf

     04/02/2019

Rappresentazione artistica dell’impatto gigante sull’esopianeta Kepler-107c. L’immagine è stata riadattata partendo da quella realizzata da Nasa/Jpl-Caltech

Hanno più o meno la stessa dimensione, circa una volta e mezza il raggio della Terra, ma una eccezionale diversità nella densità media e dunque nella composizione chimica. Sono gli esopianeti Kepler-107b e Kepler-107c, due super-terre calde che hanno masse rispettivamente di circa tre e nove masse terresti e orbitano attorno alla loro stella a distanze molto ravvicinate da essa: 6,7 e 9 milioni di chilometri rispettivamente, cioè il 4,5 per cento e il 6 per cento della distanza Terra-Sole. A caratterizzarle è stato un team internazionale di ricercatori guidati da Aldo Bonomo dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) a Torino, grazie ai dati raccolti dallo spettrografo Harps-N installato al Telescopio nazionale Galileo, sulle Isole Canarie.

Lo studio ha mostrato che la super-terra più massiva e densa, Kepler-107c, contiene nel suo nucleo una frazione in massa di ferro che è almeno il doppio della sua “gemella” Kepler-107b. Tale diversità in composizione può essere spiegata ipotizzando che la super-terra Kepler-107c, poco dopo la sua formazione, abbia subìto un impatto frontale ad elevata velocità con un protopianeta della stessa massa, o più collisioni con protopianeti di massa inferiore. Questi impatti avrebbero squarciato il suo mantello roccioso di silicati (composti del silicio, ossigeno e magnesio o altri metalli) riducendone l’abbondanza rispetto al ferro, e rendendo così la super-terra Kepler-107c più densa.

Collisioni giganti fra protopianeti si sono verificate nel Sistema solare, e hanno verosimilmente dato origine – dopo l’impatto del nostro pianeta con un protopianeta delle dimensioni di Marte – al sistema Terra-Luna, all’elevata obliquità dell’orbita di Urano e alla composizione ricca di ferro di Mercurio. «È però la prima volta che, con ogni probabilità, ne vediamo gli effetti in un sistema planetario extrasolare», dice Bonomo, primo autore dell’articolo della scoperta pubblicato oggi su Nature Astronomy. «Solo con lo scenario di un impatto fra protopianeti riusciamo a spiegare il fatto che le due super-terre Kepler-107b e c abbiano essenzialmente la stessa dimensione ma composizioni così diverse. Ne siamo rimasti sorpresi».

Super-terre in collisione. La figura mostra un’immagine nel mezzo di una simulazione idrodinamica di collisione frontale ad elevata velocità fra due pianeti di 10 masse terrestri. La scala di temperatura è rappresentata da quattro colori: grigio, arancione, giallo e rosso, dove grigio e rosso corrispondono rispettivamente alla temperatura più bassa e più alta. Tali collisioni portano all’espulsione di una grande quantità di materia di silicati nel mantello e alla formazione di un pianeta “superstite” dall’elevato contenuto di ferro e dunque dall’elevata densità, simile alla super-terra Kepler-107c. Crediti: Zoë M. Leinhardt and Thomas Denman, University of Bristol

Le due super-terre fanno parte del sistema planetario Kepler-107, che contiene altri due pianeti di piccola taglia: Kepler-107d e Kepler-107e. Si tratta di un sistema planetario estremamente compatto: le orbite dei suoi quattro pianeti sono vicine fra loro e tutte più ravvicinate di quella di Mercurio attorno al Sole. I periodi orbitali dei pianeti b, c, d ed e – e cioè le durate del loro “anno” – sono rispettivamente pari a 3.2, 4.9, 8.0 e 14.7 giorni. Secondo modelli di dinamica planetaria, la configurazione orbitale dei pianeti implica che questi si siano formati molto più lontano dalla loro stella rispetto alle orbite attuali, e siano successivamente migrati verso di essa.

I quattro pianeti del sistema Kepler-107 erano già stati scoperti dal telescopio della Nasa Kepler grazie all’osservazione dei loro transiti, ovvero delle diminuzioni di luce stellare durante il passaggio dei pianeti davanti alla stella, il che dà anche un’informazione sulla dimensione dei pianeti stessi. Per determinare le loro masse e dunque le loro densità, il team di ricercatori ha osservato la stella per quasi tre anni con lo spettrografo Harps-N al Telescopio nazionale Galileo, alle isole Canarie, ottenendo oltre un centinaio di misure spettroscopiche di velocità radiale. «È stato un grosso sforzo osservativo che ci ha condotto a un’importante scoperta», commenta Mario Damasso, che ha contribuito all’analisi dei dati, e anch’egli dell’Inaf di Torino. «Nel determinare i parametri planetari, ci ha anche aiutato il fatto che la stella è poco attiva dal punto di vista magnetico».

«Con questa scoperta abbiamo aggiunto un altro tassello nella comprensione dell’origine della straordinaria diversità in composizione degli esopianeti di piccola dimensione», conclude Alessandro Sozzetti, anch’egli ricercatore Inaf e coautore dell’articolo. «Avevamo già evidenze che il forte irraggiamento della stella contribuisse a tale diversità portando all’erosione parziale o totale delle atmosfere dei pianeti più caldi. Tuttavia, anche collisioni stocastiche fra protopianeti giocano certamente un ruolo, producendo variazioni anche drastiche della composizione interna di un esopianeta, come pensiamo sia avvenuto per Kepler-107c».

Per saperne di più:

  • Lo studio è stato pubblicato oggi sulla rivista Nature Astronomy nell’articolo “A giant impact as the likely origin of different twins in the Kepler-107 exoplanet system”, di Aldo S. Bonomo et al. Tra gli autori, oltre a Mario Damasso e ad Alessandro Sozzetti, ci sono anche i ricercatori Inaf Luca Malavolta, Enrico Corsaro, Laura Affer, Giusi Micela, Emilio Molinari, Valerio Nascimbeni, Giampaolo Piotto ed Ennio Poretti, oltre a Rosario Cosentino e Aldo F. M. Fiorenzano del Tng. Fra gli istituti stranieri maggiormente coinvolti si segnalano the Harvard Origins of Life Initiative del Dipartimento di Scienze planetarie e della Terra di Harvard (Li Zeng), l’Università di Bristol (Zoë M. Leinhardt e Thomas Denman), l’Università di Aarhus (Anders B. Justesen, Mikkel N. Lund e Victor Silva Aguirre) e il Nasa Goddard Space Flight Center (E. Lopez)