INTERVISTA A ROBERTO LALLI

Relatività e onde gravitazionali, una storia lunga

In un articolo di taglio storico apparso su Nature Astronomy, la recente rivelazione di onde gravitazionali emerge come la conferma non tanto di una presunta previsione fatta da Einstein, bensì di un esteso lavoro, consolidato tra il 1955 e la prima metà degli anni ’60, che ha permesso di raggiungere una maturità scientifica e una consapevolezza tale da effettuare tale previsione con sicurezza

     30/10/2018

Roberto Lalli, ricercatore in storia delle scienze fisiche moderne presso il Max Planck Institute for the History of Science di Berlino

A fine giugno è apparso su Nature Astronomy un articolo dedicato alla relatività generale e alle onde gravitazionali che aiuta a comprendere i passaggi storici principali nella ricerca sulla teoria della relatività generale. Media Inaf ne ha parlato direttamente con uno dei tre autori, Roberto Lalli, ricercatore in Storia delle scienze fisiche moderne al Max Planck Institute for the History of Science. Ne è scaturita una lunga intervista che ci aiuta a ripercorrere la storia della relatività generale, la sua svolta astrofisica e la storia delle onde gravitazionali.

Nell’articolo parlate di due periodi fondamentali nella storia della relatività generale: un periodo definito di “bassa marea”, seguito da un periodo definito di rinascita o “età dell’oro” della relatività generale. In cosa si differenziano i due periodi? 

«Le espressioni di “rinascita” e “età dell’oro” della relatività generale, sono categorie interpretative formulate da fisici per definire un periodo di trasformazione della teoria, occorso tra la metà degli anni ’50 e la fine degli anni ’60, in cui la teoria di Einstein è passata dall’essere un oggetto di ricerca marginale nella fisica teorica al diventare uno degli argomenti più interessanti della ricerca teorica mainstream in fisica. Il concetto di “bassa marea” della teoria è stato, invece, introdotto dallo storico della fisica Jean Eisenstaedt per descrivere il periodo antecedente a quello della “rinascita”. L’immagine della bassa marea è una metafora del periodo di stagnazione della ricerca sulla teoria di Einstein avvenuto tra la metà degli anni ‘20 e la metà degli anni ’50. Mentre c’è un diffuso consenso tra fisici e storici della fisica moderna che queste espressioni catturino in maniera adeguata il processo di trasformazione della teoria tra gli anni ’20 e gli anni ‘60, capire i reali meccanismi di questo sviluppo storico richiede molti approfondimenti e analisi, ed è quello che io e miei colleghi stiamo facendo in una serie di ricerche, inclusa quella apparsa su Nature Astronomy sulle onde gravitazionali. Questo progetto non è rilevante solo per definire in maniera più dettagliata i passaggi storici principali nella ricerca sulla teoria della relatività generale, ma a nostro avviso ha delle conseguenze molto profonde sulla nostra comprensione delle evoluzioni della conoscenze teoriche, specialmente nei casi in cui una teoria contenga un bagaglio di nozioni e previsioni empiriche radicalmente diverso dalla teoria precedente, come è il caso della teoria della relatività generale rispetto alla teoria della gravitazione di Newton».

Le onde gravitazionali sono state discusse per la prima volta da Max Abraham nel 1912. Successivamente Einstein, quando presentò la teoria della relatività generale nel 1915, non ne fece parola. Fu il suo collega de Sitter a suggerirgli il cambio di coordinate che gli avrebbe permesso di riuscire a trattare le onde gravitazionali nell’ambito della sua teoria. Pubblicò il suo primo articolo sulle onde gravitazionali il 22 giugno 1916. Nel 1936 pubblicò uno studio, insieme a Nathan Rosen, la cui conclusione era che le onde gravitazionali non potevano essere soluzioni delle sue equazioni. Ma Howard Robertson, il referee dell’articolo, trovò un errore nei loro calcoli che portò alla confutazione degli argomenti presentati nell’articolo e a una nuova conclusione: la dimostrazione dell’esistenza di onde gravitazionali che avrebbero potuto soddisfare le equazioni della relatività generale. In seguito, Einstein non pubblicò più nulla sulle onde gravitazionali. Secondo lei, come uscì Einstein da questa vicenda? Aveva scritto un articolo convinto di una cosa e, dopo l’intervento del referee, la conclusione cambiò completamente… si convinse dell’esistenza di tali onde? Continuò a lavorare su questi temi fino alla sua morte? 

«È sempre pericoloso per uno storico della fisica dichiarare chi sia stato il primo a introdurre nuovi elementi teorici, visto che la nostra conoscenza è sempre limitata. La domanda è piuttosto come nuovi concetti siano stati introdotti e in quale contesto teorico. L’evoluzione teorica della teoria di Maxwell e l’introduzione del principio di relatività nel discorso teorico, avvenuto prima che Einstein formulasse quella che fu in seguito chiamata relatività ristretta nel 1905, implicavano necessariamente una modifica della legge della gravitazione in modo da renderla compatibile con il principio della relatività dei sistemi elettrodinamici. Infatti, Poincaré parla già di onde gravitazionali nel 1905 all’interno della teoria elettrodinamica relativista da lui formulata. La discussione delle onde gravitazionali di Max Abraham nel 1912 era, invece, all’interno della teoria relativistica della gravitazione che Abraham stava sviluppando in dichiarata opposizione alle contemporanee ricerche di Einstein. L’importanza della discussione di Abraham era la sua dimostrazione, essenzialmente valida, dell’inesistenza del momento di dipolo nelle onde gravitazionali. Quando Einstein iniziò a ragionare sulla radiazione gravitazionale all’interno della teoria della relatività generale da lui formulata nel 1915 si convinse che tali onde non fossero predette dalla teoria, mentre una lettera di de Sitter fu fondamentale nell’indirizzarlo verso una scelta delle coordinate per affrontare il problema e derivare le onde gravitazionali all’interno della relatività generale. Quando Einstein affrontò ancora il tema delle onde gravitazionali, circa venti anni dopo, dobbiamo tenere a mente che il suo programma di ricerca era completamente diverso. Il suo intento primario era formulare una teoria unificata della gravitazione e dell’elettromagnetismo. Il lavoro scritto con Rosen nel 1935 va letto in quest’ottica. La dimostrazione che onde gravitazionali piane non erano possibili come soluzioni esatte della relatività generale era un risultato importante perché dava un indirizzo specifico sulla direzione da seguire per la derivazione di tale legge unificata. Quando Einstein mandò l’articolo a The Physical Review non aveva alcuna idea che il suo scritto sarebbe stato mostrato a esperti per una valutazione. Il sistema di peer-review che noi oggi diamo per scontato non esisteva ancora al tempo. Le pratiche di referaggio seguite dai giornali dipendevano da tradizioni nazionali e dalle scelte dei singoli editori. In Germania molti editori dei giornali di fisica erano usi pubblicare gli articoli loro inviati senza richiedere un giudizio da esperti terzi. Prima del 1935 nessun articolo di Einstein era mai stato posto a una valutazione precedente alla pubblicazione, e la sua reazione a questa novità fu molto negativa. Si rifiutò di leggere il report del referee e smise di inviare articoli originali a The Physical Review fino alla sua morte. Robertson, comunque, faceva parte della stretta cerchia di fisici e matematici che lavoravano alla teoria della relatività generale negli Stati Uniti, per cui grazie a varie discussioni tra Einstein, Robertson, e i collaboratori di Einstein, il problema identificato da Robertson fu riconosciuto anche da Einstein prima della pubblicazione dell’articolo. L’articolo fu pubblicato poi nel 1936, in un periodico diverso e con una conclusione totalmente diversa: onde gravitazionali cilindriche erano soluzioni esatte della sua teoria. A parte il deterioramento della sua relazione con l’editore di The Physical Review, non penso che Einstein abbia vissuto in maniera particolare l’intera vicenda se non come una mancanza di progresso nel suo programma di ricerca verso una teoria unificata, ed è questa la ragione per cui non pubblicò più nulla sulle onde gravitazionali. In quel periodo Einstein non era particolarmente interessato a quelle predizioni empiriche della sua teoria che non erano considerate verificabili, almeno non nell’immediato futuro. Questo è comprensibile dato che considerava la teoria come provvisoria e parziale».

La rinascita della relatività generale inizia nello stesso anno in cui Einstein muore? Ha contribuito anche lui alla rinascita della sua teoria?

«La ‘rinascita’ della relatività generale è un processo complesso, e indicare un preciso anno d’inizio rischia di essere un’operazione artificiale che rischia di sminuire gli elementi di continuità con il passato. Nel caso della storia della relatività generale, però, noi individuiamo un evento preciso che ha avuto un’importanza profonda nel processo socio-concettuale della rinascita della relatività generale. Tale evento è la prima conferenza internazionale dedicata esclusivamente alle ricerche attinenti la teoria di Einstein tenutasi a Berna del 1955. Nella nostra analisi, la conferenza di Berna ha dato inizio a un processo molto complesso costituito da una fase di riconoscimento della rilevanza e dei progressi della ricerca teorica parallelamente a una fase di costruzione di una comunità di “relativisti”. La conferenza di Berna si tenne quando Einstein era già morto, per cui Einstein non ha avuto alcun ruolo diretto nel processo noto come rinascita della relatività generale, e ci sono elementi per credere che non lo avrebbe avuto in ogni caso. Alcuni ritengono addirittura che la sua ostinazione nel proseguire un programma di ricerca considerato da molti come poco promettente come quello della teoria unificata abbia bloccato gli sviluppi degli studi teorici sulla relatività generale, data l’influenza intellettuale di cui Einstein godeva. Penso che questa interpretazione sia, però, poco generosa. Einstein ha, infatti, contribuito al processo di rinascita, anche se non direttamente. Molti dei fisici attivi in relatività generale negli anni ‘50 erano stati o suoi allievi, o studenti dei suoi allievi. Anche se pochi e dispersi, sia geograficamente che in termini d’interessi di ricerca, i piccoli gruppi di ricerca che lavoravano a progetti correlati alla relatività generale durante il periodo della bassa marea costituivano un grosso potenziale che fu riattivato intorno alla metà degli anni cinquanta dai cambiamenti profondi delle condizioni sociali e economiche, cosi come dalla miglioramento della circolazione scientifica in ambito internazionale. Io direi, quindi, che Einstein ha contribuito in maniera importante alla costruzione delle condizioni che hanno poi permesso la rinascita della relatività generale, anche se lui non ha contribuito direttamente».

Quali sono i principali fattori che hanno portato al cambiamento avvenuto tra la metà degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60, e quali sono le condizioni che hanno portato a emergere una comunità di scienziati interessata alla relatività generale e alle questioni fondamentali legate alle onde gravitazionali?

«Non c’è dubbio che a livello quantitativo ci sia stato un aumento generale nel numero dei fisici teorici nel secondo dopoguerra. Questo per alcuni è una spiegazione sufficiente per spiegare il fenomeno di rinascita della teoria. In maniera simile, altri vedono nella crescita dei fondi per la fisica e un certo interesse di privati per la possibilità di sviluppare tecnologie anti-gravitazionali il motore principale di tale processo, specialmente negli Stati Uniti. Altri si focalizzano sugli sviluppi tecnologi alla base di nuovi strumenti ed esperimenti in grado di testare la teoria con livelli di accuratezza prima inimmaginabili. In ultimo, molti considerano la scoperta accidentale dei quasar l’elemento centrale nell’aver completamente trasformato lo status della teoria da una curiosità matematica a una teoria rilevante per spiegare fenomeni fisici altrimenti non interpretabili. Noi ovviamente consideriamo valide tutte queste interpretazioni, ma crediamo anche che non siano convincenti nel caratterizzare completamente la rinascita della teoria né da sole né se prese insieme. Noi argomentiamo che i cambiamenti generali a livello sociale abbiano comportato una precisa trasformazione della ricerca teorica che si può dividere in due fasi. La prima fase è stata un riconoscimento collettivo che per portare avanti con successo i diversi programmi di ricerca che dominavano la fase della bassa marea (teoria unificata dei campi gravitazionale e elettromagnetico, quantizzazione della equazioni di Einstein, modelli cosmologici) fosse necessario tornare a lavorare sulla teoria originaria della gravitazione di Einstein per comprenderne tutte le implicazioni fisiche. Questo accadde proprio all’inizio del processo di avvicinamento tra i vari scienziati interessati alla teoria, ossia durante la conferenza di Berna del 1955. Un esempio importante è proprio la ricerca sulle onde gravitazionali. Essa divenne immediatamente un problema centrale in vari gruppi di ricerca nel periodo immediatamente successivo alla conferenza di Berna. Bondi decise a Berna di dedicare il gruppo di ricerca da lui diretto al King’s College di Londra a risolvere il problema teorico delle onde gravitazionali, il quale gruppo produrrà risultati fondamentali nel giro di pochissimi anni. Il secondo passaggio, più complesso a livello concettuale, constò di una reinterpretazione della teoria in termini nuovi. Questa reinterpretazione portò a sviluppare concetti e intuizioni puramente relativiste in cui non era più necessario ricorrere in maniera ossessiva ad altre teorie “classiche” come la teoria elettromagnetica di Maxwell per cercare di comprendere il significato delle predizioni empiriche della teoria di Einstein. Questo passaggio avvenne per diversi concetti essenziali nella teoria come le onde gravitazionali e le singolarità spaziotemporali. Se non si tiene conto di questi cambiamenti concettuali non è possibile comprendere appieno cosa sia realmente stata la rinascita della teoria».

In che periodo la comunità scientifica ha acquisito un grado di maturità tale da poter prevedere l’esistenza delle onde gravitazionali?  

«È molto interessante che un consenso sulla validità degli argomenti in favore dell’esistenza delle onde gravitazionali sia stato raggiunto molto velocemente non appena la comunità di scienziati interessati alla relatività generale iniziò a riunirsi nelle varie conferenze. Un tale argomento a dimostrazione che le onde gravitazionali trasportino energia e siano in linea di principio osservabili fu formulato alla seconda conferenza internazionale sulla gravitazione tenutasi a Chapel Hill nel 1957. Accettato in larga maggioranza dai presenti, l’argomento fu criticato in seguito solo da una minoranza di scettici. Si può, perciò, affermare che già alla fine degli anni ’50 la maggioranza dei fisici considerava questo problema risolto. Ne rimanevano molti altri, ma si era formata una visione diffusa e condivisa di quali fossero i problemi da risolvere e, in alcuni casi, anche sulle strategie migliori per farlo».

Felix Pirani. Crediti: Josh Goldberg

Nell’articolo riportate l’esempio del fisico teorico britannico Felix Pirani, una figura cruciale nel periodo di rinascita della relatività e delle onde gravitazionali, in particolare. Perché è stato così importante?

«Nel nostro approccio storico, consideriamo ingiusto dedicare molto spazio a un singolo individuo. Il processo della rinascita della relatività generale è stato un processo collettivo, ed è stata proprio questa caratteristica di collettività a costituire l’elemento fondamentale nel passaggio tra il periodo della bassa marea e la rinascita della teoria, interpretato come un rapido processo di re-interpretazione della teoria e della sua relazione col mondo fisico. Pirani, a ogni modo, rappresenta un esempio molto interessante di questo processo collettivo. Pirani è stato, infatti, il primo fisico teorico interessato alla relatività generale a lavorare con gruppi e all’interno di programmi di ricerca alquanto diversi tra loro già agli inizi degli anni Cinquanta. Nel 1948 si laurea a Toronto con Leopold Infeld, a sua volta ex-collaboratore di Einstein. In seguito, completa un dottorato sulla quantizzazione delle equazioni di Einstein con Alfred Schild, negli Stati Uniti, nel 1951. Si trasferisce a Londra per perseguire un secondo dottorato con Hermann Bondi sul principio di Mach all’interno della teoria cosmologica dello stato stazionario, elaborata da Bondi, Thomas Gold e Fred Hoyle pochi anni prima. Nel 1954 va Dublino per lavorare con John L. Synge, uno dei maggiori esperti della teoria di Einstein durante il periodo della bassa marea. A Dublino Pirani discute con Synge i problemi matematico-teorici della relatività generale e compie un minuzioso lavoro di revisione del libro sulla relatività ristretta del matematico irlandese. È a Berna nel 1955 e segue Bondi al King’s College quando questi decide di dedicare il suo gruppo di ricerca a risolvere il problema delle onde gravitazionali. Grazie al suo ruolo centrale nel network socio-concettuale della relatività generale, Pirani è in grado di attingere al suo grande e variegato bagaglio di conoscenze per fornire una formulazione nuova della propagazione delle onde gravitazionali che è immediatamente interpretata come la risposta alla domanda se le onde gravitazionali trasportino energia o meno. Grazie alla sua relazione alla conferenza di Chapel Hill nel 1957 si giunse a un rapido consenso tra i partecipanti che le onde gravitazionali trasportino energie e siano quindi in linea di principio osservabili. Questo si trasformò rapidamente in un nuovo programma di ricerca sperimentale concepito e attuato immediatamente da Joseph Weber, anche lui presente a Chapel Hill».

Descrivete anche altri approcci allo studio delle onde gravitazionali, oltre a quello di Pirani. Hanno qualcosa in comune?

«Noi descriviamo brevemente gli importanti lavori del fisico polacco Andrzej Trautman, così come di Richard Arnowitt, Stanley Deser and Charles W. Misner sul formalismo ADM. Ovviamente è una selezione molto parziale, ma questi lavori sono interessanti perché mostrano che nel periodo tra il 1957 e il 1960 c’era una grande varietà di approcci allo stesso problema derivanti da punti di partenza diversi, ma al contempo questi approcci hanno in comune il tentativo di definire in maniera non ambigua le onde gravitazionali come un fenomeno puramente relativista».

Nell’articolo avete usato molti grafi per illustrare le connessioni sociali avvenute in quel periodo: vi sono stati utili per arrivare alle vostre conclusioni?

«Io sto lavorando personalmente allo sviluppo di metodologie per utilizzare la teoria dei network nella storia della fisica, con l’obiettivo di identificare e analizzare le connessioni tra i cambiamenti nelle relazioni sociali e gli sviluppi concettuali. Il potenziale di questo programma deve ancora essere sviluppato appieno, ma abbiamo potuto utilizzare una parte della metodologia (la dinamica dei network socio-istituzionali e l’analisi delle citazioni) per analizzare il fenomeno della rinascita della relatività generale. Questo tipo di analisi non ha, forse, riservato molte sorprese, ma ci ha dato la possibilità di porci nuove domande per capire meglio il ruolo delle connessioni sociali nella formazione di nuovi concetti, per esempio nel caso di Pirani, così come nell’identificare la diversificazione dei programmi di ricerca tra gli anni ’40 e gli anni ‘70. Rispetto alla tesi principale del nostro articolo, lo studio dei grafi ha avuto soprattutto un ruolo di conferma empirica».

Crediti: Nsf Ligo Sonoma State University/A. Simonnet

A un certo punto, la relatività generale ha preso quella che avete chiamato “la svolta astrofisica”. Cosa intendete?

«Questo concetto è stato brevemente introdotto nell’articolo per la prima volta. Il nostro obiettivo nel futuro è compiere ulteriori studi per chiarirne il significato. Ad ogni modo, in nostro è un tentativo di identificare in maniera più precisa i periodi diversi all’interno della rinascita della relatività generale. Il 1963 è l’anno della scoperta dei quasar, che portò una porzione delle comunità degli astrofisici e dei teorici relativisti a comprendere che, per capire le proprietà di questo nuovo oggetto, era necessario ricorrere alla relatività generale. Questo ha portato alla rapida fondazione di un nuovo campo di ricerca chiamato astrofisica avvenuta durante la prima Texas Conference on Relativistic Astrophysics nel dicembre 1963. Da quel momento, la ricerca sulla teoria della relatività generale entrò in nuova fase in cui le connessioni con gli astrofisici e le osservazioni astronomiche diventarono molto intense e produttive. Questo processo si consolidò ulteriormente con la scoperta della radiazione cosmica di fondo nel 1964, il successivo emergere della cosmologia osservativa come campo di ricerca, e la scoperta delle pulsar nel 1967, per la quale l’astrofisica Jocelyn Bell Burnell ha recentemente ricevuto – con notevole ritardo – il riconoscimento dovuto. Vista la difficoltà di caratterizzare la rinascita della relatività generale, molti hanno considerato l’emergere dell’astrofisica relativistica e della cosmologia osservativa gli elementi essenziali di questa rinascita. Kip Thorne, per esempio, identifica l’età dell’oro della ricerca nella relatività generale il periodo che va tra il 1963 e il 1974. Per noi si tratta, invece, di una fase successiva rispetto a una prima fase che va dagli anni ’50 ai primi anni ’60. Questa prima fase è quella che noi identifichiamo come il processo di rinascita per via degli sviluppi teorici e delle trasformazioni sociali, ed è proprio questa fase che è fondamentale analizzare per capire la storia della teoria delle onde gravitazionali».

Quindi voi sostenete che la recente scoperta delle onde gravitazionali sia stata la conferma non tanto di una presunta previsione fatta da Einstein, bensì di un esteso lavoro consolidato tra il 1955 e la prima metà degli anni ’60, che ha permesso di raggiungere una maturità scientifica e una consapevolezza tale da effettuare tale previsione con sicurezza?

«In essenza si. Bisognerebbe, però, inserire tale affermazione in un contesto di epistemologia storica e di comunicazione della scienza. È una convinzione diffusa che le teorie non abbiano una loro storia, che ci siano grandi cambiamenti concettuali dovuti a pochi geni isolati e che il resto del lavoro teorico consista di sviluppi minori legati all’uso di approssimazioni e a creare maggiori connessioni con il mondo empirico. Per noi questa visione è distorta e non aiuta a comprendere il vero sviluppo compiuto in ambito teorico. La teoria formulata da Einstein nel 1915 è ancora la teoria accettata della gravitazione, ma quello che significava la teoria per Einstein e larga parte degli scienziati che vi lavorarono fino agli anni Cinquanta era qualcosa di profondamente diverso da quello che la teoria significava per i fisici che ci lavorarono negli anni ’60. La storia delle onde gravitazionali ci sembra un ottimo esempio di rivoluzione scientifica che si manifesta come lenta trasformazione concettuale da interpretarsi come processo collettivo».

Per saperne di più: