ANTICA BIOSFERA NEL SOTTOSUOLO MARZIANO

Life on Mars?

Un nuovo studio ha dimostrato che Marte, in passato, potrebbe aver avuto un apporto di energia chimica tale da rendere possibile la proliferazione della vita microbica nel sottosuolo. La scoperta non significa che in passato sia esistita la vita su Marte, ma suggerisce che se la vita fosse davvero iniziata, il sottosuolo marziano aveva le carte in regola per sostenerla per centinaia di milioni di anni

     28/09/2018

Una nuova ricerca mostra che Marte, in passato, probabilmente possedeva abbastanza energia chimica per supportare i tipi di colonie microbiche sotterranee esistenti sulla Terra. Crediti: Nasa/Jpl

Fin dalla scoperta degli antichi canali fluviali sulla superficie di Marte, gli scienziati sono stati allettati dalla possibilità che il Pianeta rosso possa aver ospitato la vita, almeno in tempi remoti. Ma mentre le prove della trascorsa attività idrica sono inconfondibili, non è chiara la quantità di acqua effettivamente fluita. Attuali modelli climatici del pianeta primordiale prevedono temperature che raramente arrivano a essere superiori a quelle di congelamento dell’acqua, il che suggerisce che i primi periodi umidi sul pianeta potrebbero essere in realtà stati eventi fugaci. Ovviamente questo non è lo scenario migliore per sostenere la vita in superficie per un lungo periodo di tempo, e alcuni scienziati pensano che potrebbe essere stato il sottosuolo marziano a fornire le migliori condizioni per il proliferarsi della vita.

Con questi presupposti, un gruppo di ricercatori si è fatto una serie di domande, alle quali è riuscito a rispondere servendosi dei dati della sonda spaziale Mars Odyssey della Nasa. «Qual è la natura di questa ipotetica vita sotterranea e dove avrebbe preso l’energia per vivere?» si è chiesto Jack Mustard, professore al Brown’s Department of Earth, Environmental and Planetary Sciences e coautore dello studio. «Sappiamo che, sulla Terra, la radiolisi aiuta a fornire energia ai microbi sotterranei, quindi quello che Jesse Turner (ndr, primo autore dello studio) ha fatto è stato applicare le nostre conoscenze della radiolisi al pianeta Marte».

La Terra ospita i cosiddetti ecosistemi microbici litotrofici sotterranei, conosciuti anche come Slimes (subsurface lithotrophic microbial ecosystems): mancando energia dalla luce solare, questi microbi sotterranei spesso ottengono la loro energia sottraendo gli elettroni dalle molecole presenti nel loro ambiente. L’idrogeno molecolare disciolto è un grande donatore di elettroni ed è noto per alimentare gli Slime.

Questo nuovo studio mostra che la radiolisi, il processo attraverso il quale la radiazione rompe le molecole d’acqua nelle loro parti costitutive di idrogeno e ossigeno, avrebbe potuto creare abbastanza idrogeno nell’antico sottosuolo marziano. I ricercatori hanno stimato che le concentrazioni di idrogeno nella crosta marziana, circa 4 miliardi di anni fa, sarebbero rientrate in un intervallo tale da supportare la vita microbica.

Sono riusciti ad effettuare questa stima esaminando i dati dello spettrometro gamma che si trova a bordo del satellite Mars Odyssey, mappando l’abbondanza dei due elementi radioattivi torio e potassio nella crosta marziana. Basandosi su queste abbondanze, sono riusciti a dedurre l’abbondanza di un terzo elemento radioattivo: l’uranio. Il decadimento di questi tre elementi fornisce la radiazione in grado di portare alla decomposizione radiolitica dell’acqua. E poiché gli elementi decadono a velocità costante, i ricercatori hanno usato le attuali abbondanze per calcolare le abbondanze presenti 4 miliardi di anni fa. In questo modo si sono fatti un’idea del flusso di radiazioni che potrebbe essere stato presente all’epoca, per guidare la radiolisi.

Il passo successivo è stato quello di stabilire quanta acqua era disponibile per la radiolisi. Le prove geologiche suggeriscono che nelle rocce porose dell’antica crosta marziana sarebbero potute essere presenti molte bolle d’acqua sotterranee. I ricercatori hanno utilizzato misurazioni della densità della crosta marziana per stimare lo spazio disponibile che si sarebbe potuto riempire di acqua. Infine, hanno utilizzato modelli geotermici e climatici per definire il luogo ideale per lo sviluppo di una potenziale vita: non troppo freddo da congelare tutta l’acqua, ma neanche eccessivamente riscaldato dal nucleo del pianeta.

Combinando queste analisi, hanno concluso che Marte probabilmente aveva una zona abitabile, al di sotto della sua superficie, di parecchi chilometri di spessore. In quella zona, la produzione di idrogeno attraverso la radiolisi avrebbe generato energia chimica più che sufficiente per supportare la vita microbica. E quella zona sarebbe rimasta presumibilmente abitabile per centinaia di milioni di anni.

I ricercatori hanno inoltre riscontrato che la quantità di idrogeno, al di sotto della superficie, risulta essere superiore quando in superficie fa più freddo, perché uno strato di ghiaccio più spesso sopra la zona abitabile funge da coperchio ed è in grado di mantenere l’idrogeno nel sottosuolo. «Comunemente si potrebbe pensare che un clima primordiale freddo, su Marte, si sia rivelato dannoso per la vita, ma quello che abbiamo dimostrato è che in realtà un clima freddo permette di avere più energia chimica a disposizione per la vita sottoterra», ha concluso Tarnas.

La scoperta non significa che in passato sia esistita la vita su Marte, ma suggerisce che se la vita fosse davvero iniziata, il sottosuolo marziano aveva le carte in regola per sostenerla per centinaia di milioni di anni. Il lavoro presentato ha notevoli implicazioni per la futura esplorazione di Marte, suggerendo che le aree in cui il sottosuolo più antico si trova più esposto, potrebbero essere buoni posti per cercare evidenze della vita passata.

Tarnas e Mustard sostengono che i loro risultati potrebbero essere molto utili nello stabilire dove inviare i veicoli spaziali alla ricerca dei primi segni di vita marziana, del passato. «Una delle opzioni più interessanti per l’esplorazione marziana è soffermarsi su depositi di megabreccia, ossia blocchi di roccia emersi dal sottosuolo in seguito ad impatti di meteoriti», ha detto Tarnas. «Molti di questi blocchi potrebbero provenire dalle profondità caratteristiche di questa zona abitabile, e si trovano ora, spesso relativamente inalterati, sulla superficie».

Mustard, che ha partecipato attivamente alla selezione di un sito di atterraggio per il rover Mars 2020 della Nasa, afferma che questi tipi di depositi sono presenti in almeno due dei siti che l’agenzia spaziale degli Stati Uniti sta prendendo in considerazione: il Northeast Syrtis Major e Midway. «La missione del rover 2020 è quella di cercare i segni della vita passata», ha detto Mustard. «Le aree nelle quali potrebbe essere possibile trovare resti di questa zona abitabile sotterranea – che potrebbe essere stata la più grande zona abitabile del pianeta – sembrano un buon posto da prendere di mira».