TRAPPOLE SOLARI IN COPERTINA SU NATURE

Il Sole in gabbia

Alla base di tutte le eruzioni solari ci potrebbe essere un unico fenomeno fisico. E tali eruzioni potrebbero essere previste con un anticipo sufficiente a gestire in modo opportuno eventuali emergenze sulla Terra. Lo dimostra uno studio uscito oggi su Nature

     07/02/2018

Secondo i ricercatori del Cnrs francese, dell’École Polytechnique, del Cea e dell’Inria, un solo fenomeno potrebbe essere alla base di tutte le eruzioni solari. Lo studio, presentato in un articolo pubblicato oggi sulla rivista Nature, è così importante da essersi guadagnato la copertina. Gli scienziati coinvolti nella ricerca hanno identificato la presenza di una gabbia di confinamento all’interno della quale si forma una specie di corda, o treccia magnetica, responsabile delle eruzioni solari (flare, brillamenti solari). La resistenza di questa gabbia all’attacco della corda magnetica determina la potenza e il tipo di flare che si viene a verificare. Con questo lavoro i ricercatori hanno sviluppato un modello in grado di prevedere l’energia massima che può essere rilasciata durante un brillamento solare, che potrebbe potenzialmente avere conseguenze devastanti per la Terra.

Proprio come avviene sulla Terra, anche l’atmosfera del Sole è spazzata da tempeste e uragani. Sul Sole questi fenomeni sono causati da un improvviso e violento cambiamento del campo magnetico, e sono caratterizzati da un intenso rilascio di energia sotto forma di luce, emissione di particelle e, a volte, dall’espulsione di bolle di plasma. Studiare questi fenomeni, che si svolgono nella corona solare (la regione più esterna), consente agli scienziati di mettere a punto modelli in grado di prevederli, proprio come avviene per il meteo sulla Terra. Acquisire la capacità di prevedere eruzioni solari importanti dovrebbe limitare la nostra conseguente vulnerabilità tecnologica, che potrebbe avere un impatto su vari settori come, ad esempio, la distribuzione dell’elettricità, i Gps e sistemi di comunicazione in generale.

Nel 2014 i ricercatori avevano dimostrato che, nei giorni precedenti a un brillamento solare, appariva gradualmente una struttura caratteristica: un intreccio di linee di forza magnetiche attorcigliate insieme come i fili di una corda di canapa. Tuttavia, fino a poco tempo fa, queste strutture si erano osservate esclusivamente in eruzioni che portavano all’espulsione di una bolla di plasma. In questo nuovo studio, i ricercatori hanno studiato altri tipi di flare, i cui modelli sono ancora in discussione, facendo un’analisi più approfondita della corona solare, una regione dell’atmosfera del Sole talmente sottile e calda da rendere difficile una misura del campo magnetico. Gli autori sono stati in grado di misurare il campo magnetico più forte sulla superficie del Sole e, usando questi dati, hanno ricostruito quello che stava accadendo nella corona solare. Hanno poi applicato questo metodo a un grande flare che si è sviluppato in poche ore il 24 ottobre 2014, dimostrando che, nelle ore precedenti l’eruzione, la corda in evoluzione era confinata all’interno di una gabbia magnetica a più strati. Applicando i modelli evolutivi studiati a simulazioni effettuate su un super-computer, hanno dimostrato che la corda, in quel caso, non aveva un’energia sufficiente per sfondare tutti gli strati della gabbia, rendendo impossibile l’espulsione di una bolla magnetica. Nonostante questo, l’elevata torsione della corda ha innescato un’instabilità e la parziale distruzione della gabbia stessa, causando una potente emissione di radiazioni che ha portato ai disservizi riscontrati sulla Terra.

Gabbia e corda magnetica nella formazione di un’eruzione solare. Crediti: Nature

Grazie al loro metodo, che consente di individuare e monitorare i processi che si svolgono nelle ultime ore precedenti al flare, i ricercatori hanno sviluppato un modello in grado di prevedere la massima energia che può essere rilasciata dalla regione interessata. Il modello ha mostrato che nell’eruzione del 2014, se la gabbia non fosse stata così resistente, si sarebbe verificata un’enorme espulsione di plasma. Lo studio pubblicato oggi dimostra il ruolo cruciale svolto dal binomio magnetico “gabbia-corda” nel controllo delle eruzioni solari e, oltre a costituire un grande passo avanti verso la previsione di tali eruzioni, potrebbe avere un impatto sociale potenzialmente significativo. Per capire meglio quest’ultimo aspetto, che ci riguarda da vicino, abbiamo chiesto alcune delucidazioni a Salvo Guglielmino, fisico solare all’Università di Catania e associato Inaf.

Quanti flare potenzialmente pericolosi per la Terra si sviluppano sulla superficie del Sole in un giorno?

«I flare potenzialmente pericolosi per la Terra sono quelli di classe M e X, secondo la classificazione attualmente in uso che è basata sull’emissione nei raggi X. Si può dire in generale che quelli più pericolosi siano quelli di classe X. In realtà, a determinare la pericolosità non è solo la classe, ma anche la configurazione magnetica della nube di plasma eiettata nello spazio interplanetario, detta Coronal Mass Ejection (Cme), di solito associata a questi flare più energetici: può accadere quindi che un flare M (più debole) emetta un Cme con effetti sulla Terra (tempeste magnetiche) più importanti rispetto a un flare X (più forte). Quanti di questi eventi si possono verificare in un giorno? Non c’è in effetti un limite teorico: essi si sviluppano sulle regioni attive, a seguito di conversione di energia magnetica in energia cinetica (accelerazione di particelle) e termica, tramite riconnessione magnetica. In ciascuna regione attiva, quindi, occorre nella maggior parte dei casi un po’ di tempo (da ore a giorni) per “ricaricare” energia magnetica sufficiente per generare un altro flare. I flare X avvengono quindi dopo un certo periodo in cui l’energia magnetica si è accumulata, e sono spesso seguiti da flare più deboli (classi C e M), piuttosto che da un altro flare X. O viceversa, dopo una serie di eventi minori c’è un grande flare X. Diciamo che c’è una qualche analogia con i terremoti sulla Terra. D’altra parte, il numero di regioni attive può essere elevato nei periodi di massimo di attività solare, per cui in ciascuna di esse possono avere luogo flare X, in maniera indipendente dalle altre regioni attive, in base alla configurazione magnetica più o meno complessa di ciascuna».

Quanti eventi pericolosi si sono verificati in passato?

Flare del 31 agosto 2012. La coronal mass ejection ha viaggiato a oltre 1500 km al secondo, causando le aurore boreali del 3 settembre. Crediti: Nasa/Gsfc/Sdo

«Negli ultimi 20 anni sono stati registrati solo una decina di eventi di classe X10 (cioè circa 10 volte più potenti di un flare X), di cui solo uno nel ciclo attuale, il 24, nello scorso settembre 2017 (erano più di 10 anni che non accadeva). Questi flare sono quelli reputati più pericolosi, perché ovviamente più energetici. Di flare X “normali”, diciamo che è molto raro dal punto di vista statistico che ne avvengano più di 10-15 al giorno (su tutto il disco) nel periodo di massimo».

Conoscere con qualche ora di anticipo quando si verificherà un flare, e con che potenza, come ci aiuta?

«Se sappiamo con qualche ora di anticipo quando avverrà un flare, e quindi il possibile arrivo di una tempesta geomagnetica determinata dal Cme associato, ci sono dei vantaggi per la sicurezza. Per esempio, si sa che le particelle accelerate dai flare possono provocare radiazioni ionizzanti nell’alta atmosfera in prossimità delle regioni polari della Terra, dove il campo magnetico terrestre esercita una minore azione schermante. Pertanto, i passeggeri e l’equipaggio degli aeromobili che si trovassero in volo nelle regioni polari, tipicamente previste per le rotte intercontinentali a lungo raggio, riceverebbero una dose di radiazioni ionizzanti pari a decine, se non centinaia, di radiografie durante un unico volo. Il sapere con anticipo che un flare potenzialmente “pericoloso” sta per avere luogo può portare a una riprogrammazione accurata delle rotte dei voli. Similmente, il sistema di localizzazione Gps viene disturbato dalle particelle in arrivo, determinando errori di posizione fino a qualche centinaio di metri. Nelle rotte navali e aeree, questi errori possono essere tempestivamente corretti tramite navigazione assistita con radiofaro e altri accorgimenti, e conoscere in anticipo la possibilità che questi problemi possano verificarsi aiuta una gestione migliore delle emergenze. Ecco, questi sono solo alcuni degli esempi possibili, ma probabilmente quelli che hanno un maggior impatto sulla popolazione».

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