CALCOLATA LA MASSA LIMITE PRIMA DEL COLLASSO

A un neutrone dal buco nero

Quanto può essere massiccia una stella di neutroni? Lo ha stabilito Luciano Rezzolla, dell’Istituto di studi avanzati di Francoforte, combinando le osservazioni delle onde gravitazioni prodotte dalla fusione di un sistema binario di stelle di neutroni con le relazioni quasi-universali presentate dallo stesso autore nel 2016. Media Inaf lo ha intervistato

     19/01/2018

Emissione di onde gravitazionali da una stella che sta collassando. Crediti: Luciano Rezzolla

Con un raggio di circa dodici chilometri e una massa che può essere fino a due volte più grande di quella del Sole, le stelle di neutroni sono tra gli oggetti più densi, affascinanti ed estremi dell’universo, producendo campi gravitazionali paragonabili a quelli dei buchi neri. Mentre la maggior parte delle stelle di neutroni ha una massa che è circa una volta e mezza quella del Sole, sono noti casi di stelle di neutroni più massicce, come la pulsar PSR J0348 + 0432, la cui massa è il doppio di quella del Sole.

La densità di queste stelle è enorme, come se l’intera catena dell’Himalaya fosse compressa in un boccale di birra, o la massa di tutte le persone presenti sul pianeta Terra si trovasse nello spazio occupato da una zolletta di zucchero! Queste stelle hanno una densità migliaia di miliardi di volte superiore a quella dell’elemento più denso presente sulla Terra.

Dalla loro scoperta, negli anni ’60, gli scienziati si sono sempre chiesti quanto possa diventare massiccia una stella di neutroni perché, al contrario dei buchi neri, queste stelle non possono aumentare la loro massa arbitrariamente: oltre un certo limite, non c’è forza fisica in natura in grado di contrastare l’enorme forza gravitazionale che si viene a creare nella stella.

Per la prima volta, gli astrofisici della Goethe University di Francoforte sono riusciti a calcolare in modo rigoroso un limite superiore al valore massimo della massa delle stelle di neutroni. Raggiunta questa massa, un solo neutrone in più la farebbe collassare in un buco nero!

Luciano Rezzolla, fisico e ricercatore presso l’Istituto di studi avanzati di Francoforte (Fias), nonché professore di astrofisica teorica alla Goethe University di Francoforte, insieme ai suoi studenti Elias Most e Lukas Weih, ha risolto il problema rimasto senza risposta per 40 anni, riuscendo a stabilire, con una precisione di pochi percento, che la massa massima delle stelle di neutroni non rotanti non può superare 2,16 masse solari.

Questo risultato tanto atteso si basa su un approccio sviluppato a Francoforte pochi anni fa dallo stesso Rezzolla e dalla Cosima Breu, riportato in un articolo pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, e basato sulle cosiddette “relazioni universali”, da loro postulate. I ricercatori hanno combinato queste relazioni universali teoriche con i dati sperimentali ottenuti lo scorso anno dall’osservazione delle onde gravitazionali generate dalla fusione di due stelle di neutroni, e con la successiva radiazione elettromagnetica (kilonova) emessa. Questo confronto ha permesso di semplificare enormemente i calcoli, rendendoli indipendenti dall’equazione di stato (un modello teorico per descrivere la materia densa all’interno di una stella, che fornisce informazioni sulla sua composizione a varie profondità nella stella).

Il risultato ottenuto è un ottimo esempio di come la sinergia tra ricerca teorica e ricerca sperimentale porti alla concreta risoluzione di problemi astrofisici complessi. «Il bello della ricerca teorica è che può fare previsioni. La teoria, tuttavia, ha un disperato bisogno di esperimenti per restringere alcune delle sue incertezze», dice Rezzolla. «È quindi davvero notevole che l’osservazione di una singola fusione di stelle di neutroni in un sistema binario, avvenuta a milioni di anni luce di distanza, combinata con le relazioni universali scoperte attraverso il nostro lavoro teorico, ci abbia permesso di risolvere un enigma che ha visto tante speculazioni in passato».

I risultati della ricerca sono stati pubblicati in un articolo su The Astrophysical Journal Letters, e pochi giorni dopo la pubblicazione gli stessi risultati sono stati confermati da gruppi di ricerca statunitensi e giapponesi, sebbene gli approcci seguiti da questi gruppi siano diversi e indipendenti.

Luciano Rezzolla, fisico e ricercatore presso l’Istituto di studi avanzati di Francoforte (Fias) e professore di astrofisica teorica alla Goethe University di Francoforte

Per capire meglio il lavoro e le sue implicazioni, nonché alcune caratteristiche di questi oggetti estremi che popolano la nostra e le altre galassie, abbiamo fatto qualche domanda a Luciano Rezzolla.

Può spiegarci, in parole il più semplici possibile, cosa sono queste “relazioni universali”?

«Il punto è che non si sa bene come siano fatte le stelle di neutroni e quindi non ne conosciamo l’equazione di stato. Questo vuol dire che, a seconda dell’equazione di stato, uno potrebbe avere una stella di neutroni con una massa di 1.4 masse solari ma un raggio di 10 km, oppure la stessa massa in un raggio di 12 o 15 km. Queste differenze possono apparire piccole per oggetti che sono comunque a distanze astronomiche ma una differenza di un paio di chilometri ha delle implicazioni enormi su come la materia si comporti a queste densità e quindi sulla nostra comprensione della fisica nucleare. Dal momento che ci sono moltissime equazioni di stato tutte ugualmente plausibili e che le osservazioni non sono molto ferme, non è possibile stabilire con certezza chi abbia ragione. Quello che è stato scoperto è che ci sono delle relazioni universali, delle correlazioni, tra delle quantità che legano le proprietà delle stelle di neutroni. Una di queste proprietà è la compattezza, che è il rapporto tra la massa e il raggio della stella ed è un numero puro in unità geometriche. Si è visto, per esempio, che se si rappresenta la compattezza in funzione del momento di inerzia, si vede che ci sono una marea di linee, una per ogni equazione di stato; tuttavia, se si utilizzano delle quantità adimensionali, ossia normalizzate, tutte queste linee convergono in un unico comportamento funzionale. È come se la varianza legata all’equazione di stato scomparisse quando le quantità sono normalizzate. Quindi, il trucco per trovare le relazioni universali sta nel rappresentare le quantità in gioco come numeri puri, adimensionali. Per fare un esempio, è come se in una popolazione di individui, nella quale ognuno ha un certo peso, una certa altezza e un certo numero di cellule, ci si accorge che se invece di guardare la distribuzione di massa e altezza, si andasse a guardare la distribuzione nel rapporto tra massa e altezza verso il numero di cellule in un braccio o in una gamba – facendo quindi correlazioni tra numeri puri – si vedrebbe che, indipendentemente dalla popolazione in questione (tedeschi, italiani o cinesi), le distribuzioni si comportano nella stessa maniera. Per questo motivo vengono chiamate relazioni universali ed è in questo senso che le stelle di neutroni, riferendosi alle relazioni universali, è come se si assomigliassero tutte. Sfruttando questo risultato e l’osservazione di Gw 170817 siamo quindi riusciti a mettere una soglia superiore a quanto massicce possano essere le stelle di neutroni, un problema che è rimasto aperto per decenni».

Quando si parla di stelle di neutroni non rotanti cosa si intende? Le stelle, per essere stabili, non dovrebbero necessariamente ruotare?

«In realtà no. Tutte le stelle che conosciamo ruotano ma questa rotazione rallenta con l’invecchiamento, perché le stelle perdono parte dell’energia rotazionale, ad esempio emettendo onde elettromagnetiche. Quindi ci si aspetta che la stella, alla fine, non ruoti più. In genere, quando si definisce la massa massima si pensa a stelle non rotanti perché la rotazione consente di avere sempre un po’ più di massa oltre il limite. Questo è possibile perché la forza centrifuga prodotta dalla rotazione della stella compensa l’aumento nella forza di gravità dovuto alla maggiore massa. È come se ognuno di noi potesse aggiungere qualche chilo oltre il nostro peso forma solo perché stiamo ruotando. Immaginando di avere un oggetto la cui massa massima è 1, se lo stesso oggetto ruotasse alla massima velocità di rotazione, la sua massa massima sarebbe 1.20 (il 20 per cento in più). Questa è la relazione universale che abbiamo trovato un paio di anni fa (Breu & LR 2016) e che è stata fondamentale in questa scoperta».

Per aumentare la sua massa, una stella di neutroni deve necessariamente essere in un sistema binario?

«La stella di neutroni deve essere in un sistema binario, non necessariamente di due stelle di neutroni. Abbiamo bisogno di un sistema binario perché il sistema binario ci istruisce sui parametri orbitali e, dai parametri orbitali, capiamo qual è la massa in gioco. Purtroppo, di una pulsar isolata non siamo in grado di dire niente, né sulla massa né sul raggio. Per rispondere alla domanda però è bene chiarire che solo in un sistema binario una stella di neutroni può sperare di aumentare la propria massa sottraendola alla compagna. Nella gran parte dei casi la massa acquisita è solo qualche percento di massa solare durante l’intera vita del sistema binario ma ci sono delle eccezioni in cui la massa acquisita può essere molto maggiore ed è in questi casi che vediamo i “pesi massimi” in termini di stelle di neutroni».

Esiste un censimento delle stelle di neutroni presenti nella nostra galassia?

«Tutte le stelle di neutroni che vediamo sono nella nostra galassia in quanto sono così piccole e deboli nella loro emissione che è difficile rivelarle in galassie esterne. Attualmente ce ne sono circa duemila censite. In realtà noi pensiamo che nella nostra galassia ce ne siano milioni o decine di milioni, quindi ne riusciamo a vedere solo una piccola frazione. Per vederle servono radiotelescopi. Il progetto Ska ha, tra le varie cose, l’obiettivo quello di censire le stelle di neutroni».

Avete un’idea di quante stelle di neutroni sono vicine al limite di massa da voi trovato e potrebbero presto diventare buchi neri?

Psr J0348+0432 è una stella di neutroni facente parte di un sistema binario con una nana bianca. Si trova nella costellazione del Toro, alla distanza di circa 2100 pc. La sua massa è pari a 2,01 ± 0,04 masse solari, la massa più alta trovata fino ad oggi per questo tipo di oggetti

«Le duemila stelle di neutroni censite sono tutte con masse abbastanza piccole. In genere il peso forma delle stelle di neutroni è di circa 1.4 masse solari. Ci sono situazioni particolari in un cui le stelle di neutroni appartengono a sistemi binari dove la pulsar riesce a distruggere il compagno e accrescerlo completamente: le chiamano black widows (vedove nere). In quel caso, le stelle di neutroni possono aumentare la loro massa molto velocemente ed arrivare alla massa limite. Quanto sia frequente questo fenomeno di cannibalismo in un sistema binario non è noto. Sistemi di questo tipo sono osservati molto raramente ed è per questo che è difficile capire quale sia la massa massima. La massa massima trovata in una stella di neutroni è pari a 2.01 (Antoniadis et al.  2013): questa stella di neutroni si pensa sia nata con una massa normale ma poi abbia avuto un overdose di accrescimento di questo tipo, mangiandosi velocemente la sua compagna bianca. Se vedessimo tanti di questi casi allora sarebbe facile fare una statistica e capire qual è il limite di massa ma siccome ne abbiamo trovate solo due o tre, e tutte sono di circa 2 masse solari, non possiamo dire molto. Quando avremo una statistica molto più elevata, potremo andare a studiare la coda della distribuzione, dove ci sono le stelle più massicce, per risolvere questo problema e rispondere alla domanda in maniera più precisa. Allo stesso tempo, osservare la fusione di altri sistemi binari aiuterebbe anche a vincolare meglio questo limite e la strategia che abbiamo suggerito nel nostro lavoro può essere facilmente estesa con altre osservazioni».

Cosa succede nelle vicinanze della stella di neutroni quando diventa un buco nero? Qual è la “distanza di sicurezza” alla quale potremmo osservare il fenomeno a bordo di un’ipotetica navicella spaziale?

«Se la stella è isolata, nel vuoto, senza campo magnetico, l’unica cosa che può emettere nel collasso sono onde gravitazionali e la quantità di energia delle onde gravitazionali che viene emessa non sarà molto elevata: stiamo parlando di un milionesimo della massa. Quello che si avrebbe, sarebbe soltanto un fronte d’onda gravitazionale molto intenso. Tuttavia, siccome le onde gravitazionali si accoppiano debolmente con la materia, questo fronte d’onda non produrrebbe delle grosse deformazioni alla nostra navicella, anche a distanze molto ravvicinate quanto la scala del sistema solare (ossia un’unità astronomica). Le cose cambierebbero radicalmente se ci fosse un campo magnetico. Il campo magnetico all’interno della stella verrebbe infatti assorbito dal buco nero, mentre quello esterno, non avendo più una superficie su cui ancorarsi, sarebbe costretto a propagarsi. Si potrebbe pensare alle linee di forza del campo magnetico come a degli elastici, che vengono spezzati a causa del collasso: una parte dell’elastico finisce dentro al buco nero, mentre la parte esterna viene proiettata all’infinito. Quello che succede quando una stella di neutroni con un campo magnetico collassa, è che – in aggiunta alle onde gravitazionali – essa emette una forte onda d’urto elettromagnetica. In questo caso sarebbe bene stare alla larga, a distanze dell’ordine del kpc, perché l’energia trasportata dall’onda sarebbe molto elevata e potrebbe danneggiare la navicella. È possibile collegare questo tipo di fenomenologia, ossia il collasso di una stella di neutroni magnetizzata in un buco nero, a quello che succede nei Fast Radio Burst (Frb). I Frb sono dei lampi radio, a distanze cosmologiche, che durano circa un millisecondo, di cui nessuno conosce ancora bene l’origine. La gran parte di questi lampi (tutti tranne uno) si è visto solo una volta. Una spiegazione del fenomeno è appunto una stella di neutroni che collassa in un buco nero. Il modello che viene utilizzato in questo caso per spiegare il fenomeno si chiama blitzar (da blitz che significa lampo, in tedesco). Quindi quello che ho descritto è proprio quello che succederebbe se avvenisse un blitzar e si pensa che questi blitzar possano essere visti a distanze cosmologiche».

Può darci qualche indiscrezione sulla foto al buco nero con l’Event Horizon Telescope, nella quale è coinvolto?

«L’indiscrezione che posso dare è che finalmente abbiamo ottenuto i dati dal Polo Sud, che sono arrivati tre settimane fa nei vari centri di elaborazione dei dati. Questi dati saranno essenziali per capire se possiamo veramente vedere un’immagine del buco nero. In questo momento è troppo presto per dire che la qualità dell’immagine è sufficiente. Senza il contributo del South Pole Telescope (Spt) non potevamo fare affermazioni positive. Scopriremo cosa ci aspetta guardando questi dati».

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