SCOPERTO IL TERZO QUASICRISTALLO NATURALE

Ricomincio da tre

Dopo aver scoperto i primi due quasicristalli naturali mai identificati sulla Terra, entrambi di origine extraterrestre, il geologo dell’Università di Firenze Luca Bindi ha fatto di nuovo centro. E il terzo della serie è il più sorprendente di tutti. Media INAF ha intervistato lo scienziato

     14/12/2016

Il campione 126A descritto nel nuovo studio di Bindi. Fonte: Scientific Reports, 6, 2016

E tre. Luca Bindi, lo scienziato che su Media INAF abbiamo ribattezzato “l’Indiana Jones dei cristalli impossibili”, lo ha fatto di nuovo. La prima volta correva l’anno 2009 e Bindi – ai tempi geologo “da laboratorio” per sua stessa definizione – non immaginava neanche quale incredibile avventura stava per cominciare quando individuò il primo quasicristallo naturale, di origine extraterrestre, in un frammento conservato al Museo di Storia naturale di Firenze. Nel 2011 partì con un’avventurosa spedizione che, dalle rive dell’Arno, lo portò fino alla remota Kamchatka (quella del Risiko, proprio lei), sulle tracce del meteorite da cui proveniva il campione analizzato a Firenze. È così che Bindi ha scoperto un secondo quasicristallo naturale. Ora siamo a tre. E il terzo è più affascinante e misterioso che mai.

Mentre infatti i due “cristalli impossibili” scoperti in precedenza, poi riconosciuti dalla International Mineralogical Association con il nome di icosaedrite e decagonite, hanno una composizione corrispondente a quella dei quasicristalli che è possibile produrre in laboratorio, quello al centro del nuovo studio, pubblicato su Scientific Reports a firma dello stesso Bindi, presenta caratteristiche ancor più peculiari. Gli abbiamo chiesto di aiutarci a comprenderle.

Professor Bindi, abbiamo imparato che i quasicristalli sono solidi nei quali gli atomi sono disposti in maniera non periodica, cioè non ripetitiva, e seguono simmetrie ritenute impossibili in natura. Dopo quelle osservate nell’icosaedrite e nella decagonite, quale simmetria impossibile ha osservato in questo terzo quasicristallo naturale?

«La simmetria del terzo quasicristallo naturale è di nuovo icosaedrica, esattamente come il primo. Quello che cambia è la composizione chimica. Infatti quest’ultimo mostra una composizione che va ben al di fuori del campo di stabilità previsto per la fase icosaedrica del sistema Al-Cu-Fe».

Da dove proviene questo terzo cristallo, dalla stessa cava nella Russia più remota? È anche lui di origine extraterrestre?

«In realtà non esiste nessuna cava. I frammenti di meteorite (contenenti i quasicristalli ed altre leghe di rame e alluminio) sono stati trovati nelle argille costeggianti il fiume Khatyrka, nella Chukotka meridionale (nord della Kamchatka). Tutti e tre i quasicristalli sono stati trovati in questi frammenti, che hanno tutti una origine extraterrestre e, più in particolare, appartengono tutti alla stessa meteorite».

Nello studio pubblicato su Scientific Reports si parla di “collisioni nello spazio profondo”: sono quelle che hanno dato luogo alle condizioni estreme di temperatura e pressione alla base della formazione dei quasicristalli?

«Sì, a questo punto ne siamo certi. Quando nel giugno di quest’anno abbiamo riprodotto in laboratorio lo scontro tra asteroidi (vedi PNAS, vol. 113, 7077–7081), ottenendo come prodotto proprio un quasicristallo, abbiamo avvalorato in pieno la teoria che prevedeva che questi materiali esotici si siano formati da collisioni nello spazio avvenute almeno 300 milioni di anni fa».

Si aspettava questa ulteriore scoperta, o stava cercando soltanto conferme alle scoperte precedenti?

«Francamente la scoperta del terzo quasicristallo è stata del tutto inaspettata. Stavamo studiando le varie fasi mineralogiche in un frammento di meteorite trovato durante la spedizione del 2011, quando siamo incappati in questo. È stata una soddisfazione incredibile: trovare un quasicristallo con una composizione non prevista precedentemente da esperimenti di laboratorio era sempre stato il nostro primo obiettivo. Dopo quasi dieci anni lo abbiamo centrato».

Perché le caratteristiche di questo “cristallo impossibile” lo rendono ancora più interessante degli altri due?

«Proprio perché mostra una composizione chimica non prevista precedentemente da esperimenti di laboratorio».

I quasicristalli di laboratorio sono utilizzati per gli scopi più diversi grazie alle eccezionali caratteristiche di resistenza –ad esempio, nella vita di tutti i giorni, nelle lamette da barba o nelle pellicole antiaderenti delle pentole. Quali altre applicazioni immaginate possibili?

«Ultimamente sta andando per la maggiore utilizzare questi materiali come materiali fotonici. Sembra infatti che la loro quasi-periodicità possa essere usata per incanalare la luce in maniera particolare e perfetta per alcuni applicazioni tecnologiche di ultima generazione».

L’avventura, quindi, continua, professore?

«Continua. Sicuramente. Siamo solo alla punta dell’iceberg».

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