DERIVATO DA UNA TECNOLOGIA MILITARE

Marte, in arrivo lo “sniffer” che fiuta la vita

Si chiama Bili, è una sorta di radar a luce ultravioletta messo a punto al Goddard Space Flight Center della Nasa e riconosce le molecole organiche anche a centinaia di metri di distanza. L’obiettivo è sempre lo stesso: cercare tracce di vita sul Pianeta rosso

     02/11/2016
Rappresentazione artistica di quella che potrebbe essere la modalità d'operare del laser a fluorescenza di Bili sul suolo marziano. Crediti: NASA

Rappresentazione artistica di quella che potrebbe essere la modalità d’operare del laser a fluorescenza di Bili sul suolo marziano. Crediti: NASA

Da una sponda all’altra dell’Atlantico, la caccia alla vita su Marte si fa sempre più serrata. C’è grande attesa per il referto ufficiale dall’autopsia del lander Schiaparelli, così da sapere cosa esattamente ne ha provocato lo schianto: dovrebbe arrivare a giorni, ma già si prospettano alcuni scenari, dall’ipotesi di un errore del software, contemplata da Andrea Accomazzo su Nature, al possibile problema ai sensori dell’IMU (l’Inertial Measurement Unit), ricostruito da Paolo Attivissimo, sul suo blog Il Disinformatico, da informazioni confidenziali. Attesa trepidante anche per l’esito della prossima ministeriale ESA (in calendario a Lucerna, in Svizzera, l’1 e il 2 dicembre), che deciderà le sorti di ExoMars 2020. Nel mentre, la NASA non sta a guardare, anzi. Già sta affilando le armi per mantenere il vantaggio di cui gode sul terreno. Come? Lavorando al prossimo rover, Mars 2020, lui pure ancora in pista per un lancio nell’estate, appunto, del 2020. E mettendo a punto nuove tecnologie per la ricerca di tracce di vita. L’ultima in ordine di tempo, nata in ambito militare, si chiama Bili: un nome (quasi) da libreria Ikea per una tecnologia mai utilizzata prima nell’esplorazione planetaria a livello del suolo.

Il principio alla base di Bili – acronimo per Bio-Indicator Lidar Instrument – è quello del radar. Ma invece delle onde radio o delle microonde, per spazzare l’ambiente attorno a sé emette un fascio di luce – luce laser pulsata in banda ultravioletta, per essere precisi. Da qui il nome lidar, con il prefisso ‘li’ di light al posto del ‘ra’ radio. E l’informazione che gli torna indietro non è rimbalzata da velivoli nemici, bensì da molecole organiche.

È comunque una tecnica che deriva da ricerche condotte in ambito militare, spiega il comunicato stampa del Goddard Space Flight Center (Gsfc) della Nasa che descrive il progetto. Solo che, mentre le forze armate Usa l’hanno sviluppata per individuare tossine e altri patogeni dispersi nell’aria nell’eventualità di un attacco biochimico, la Nasa ha intenzione di sfruttare le capacità di Bili per “fiutare” la presenza di vita nell’atmosfera marziana. Con prestazioni che lasciano a bocca aperta: tracce di molecole organiche possono venir captate anche a centinaia di metri di distanza, assicurano i ricercatori coinvolti nel progetto.

Il funzionamento è abbastanza semplice. Montato sul braccio di un rover, Bili comincia il suo lavoro scandagliando il terreno in cerca di sbuffi di polvere. Quando ne trova, li bersaglia con la luce ultravioletta prodotta dai suoi due laser a emissione pulsante. Un’emissione che induce nelle particelle colpite un effetto di fluorescenza. Ed è proprio analizzando questa fluorescenza che gli scienziati riescono a risalire sia alla presenza di molecole organiche sia alla loro dimensione.

«Se ci sono biofirme, possono essere rilevale nella polvere», garantisce il reicercatore alla guida del progetto, Branimir Blagojevic, del Gsfc della Nasa.

Oltre alla possibilità di identificare le firme della vita a distanza, abilità che consentirebbe a Bili di essere utilizzato anche bordo di satelliti in orbita attorno al pianeta, gli altri grandi vantaggi del lider sono, rispetto per esempio a uno spettrometro di massa a bordo di un lander, il rischio di contaminazione pressoché nullo, l’assenza di componenti soggetti a deterioramento e la velocità con la quale può perlustrare un’area anche ampia. Il dispositivo ideale, dunque, per essere impiegato, a bordo dei futuri rover, in modo complementare a strumenti di analisi più mirati e invasivi come, appunto, gli spettrometri di massa.