DA UN’ANALISI STATISTICA DI 740 SUPERNOVE

Energia oscura addio? Non proprio

In un recente articolo apparso su Scientific Reports, tre ricercatori sollevano alcuni dubbi su una delle scoperte più importanti della cosmologia. La loro analisi statistica di un ampio campione di supernove-1a suggerisce che l’accelerazione cosmica dello spazio potrebbe essere marginale e perciò consistente con un tasso di espansione costante. Ne parliamo con Massimo Della Valle (INAF)

     26/10/2016

Due metodi a confronto per misurare la velocità di espansione dell’universo. A sinistra, quello basato sulle supernove 1a, le “candele standard”. A destra, con le coppie di galassie, il “metro standard” utilizzato nella WiggleZ survey. Crediti: NASA/JPL-Caltech

In un recente articolo apparso su Scientific Reports, tre ricercatori, tra cui l’italiano Alberto Guffanti del Dipartimento di Fisica dell’Università di Torino, hanno sollevato alcuni dubbi su una delle scoperte più importanti della cosmologia: l’espansione cosmica accelerata, ovvero che la velocità con cui l’universo si espande sta accelerando.

Grazie all’utilizzo di un catalogo di 740 supernove 1a, un numero più di dieci volte superiore a quello del campione originale che portò alla fondamentale scoperta, gli autori hanno trovato che l’evidenza a favore di un’accelerazione cosmica dello spazio potrebbe essere marginale, cioè meno robusta di quanto fin qui ritenuto. I risultati del nuovo studio sarebbero invece consistenti con un tasso di espansione costante.

Cinque anni fa, il premio Nobel per la Fisica venne attribuito a Brian P. Schmidt, Adam Riess e Saul Perlmutter per la loro scoperta dell’espansione cosmica accelerata. La loro conclusione si basava sull’analisi di una particolare classe di supernove, dette di tipo 1a, osservate sostanzialmente dal telescopio spaziale Hubble assieme ad altri grandi telescopi terrestri. Essa portò all’idea, ormai comunemente accettata, che l’universo sia dominato da una misteriosa forza non direttamente rilevabile, chiamata energia oscura, che determinerebbe il ritmo accelerato dell’espansione cosmica.

«La scoperta dell’espansione cosmica accelerata ha portato alla vincita del premio Nobel, del Gruber Cosmology Prize e del Breakthrough Prize in Fisica Fondamentale», spiega Subir Sarkar del Dipartimento di Fisica all’Università di Oxford e co-autore dello studio. «Essa ha ormai portato all’idea comunemente accettata che l’universo è dominato da una forma di energia oscura che si ritiene agisca come la famosa costante cosmologica di Einstein. Questo concetto sta alla base del ‘modello standard’ della cosmologia».

Gli autori del nuovo studio, tuttavia, compiendo tutta una serie di analisi statistiche sul loro più ampio database di supernove, hanno trovato che l’evidenza a favore di un’espansione accelerata sta entro uno scarto statistico di ‘3 sigma’. «È poco per avere i classici ‘5 sigma’ richiesti per affermare invece che siamo di fronte a una vera e propria scoperta di significato fondamentale», afferma Sarkar.

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La figura illustra il contributo di quattro sorgenti di dati nel piano ΩΛ-Ωm. Si nota che le supernove non rappresentano l’unica sorgente d’informazione che indica una costante cosmologica diversa da zero. I dati associati agli ammassi, ai gamma-ray burst e alla radiazione cosmica (CMB) sono altrettanto rilevanti. Quindi, il fatto che quattro ellissi si sovrappongano non è banale e suggerisce che le quattro sorgenti di dati sono in accordo con un modello che viene chiamato “concordanza”. Il modello standard della cosmologia con i parametri in prossimità dell’ellisse più piccola al centro delle sovrapposizioni è noto come “modello di concordanza”. Crediti: Amati & Della Valle 2013

Ci sono, comunque, altri dati disponibili che sembrano supportare l’idea di un’espansione cosmica accelerata: ad esempio, l’informazione sulla radiazione cosmica di fondo ottenuta mediante una serie di esperimenti, condotti da terra e dallo spazio, come quelli – più recenti – del satellite Planck dell’ESA. «Tutti questi test sono indiretti», continua Sarkar. «Essi vengono eseguiti nell’ambito di uno specifico modello, che si basa su determinate assunzioni, e la radiazione cosmica non è direttamente influenzata dall’energia oscura. In realtà, esiste un effetto molto piccolo, il cosiddetto effetto Sachs-Wolfe integrato, che però non è stato rivelato in maniera convincente».

In altre parole, gli autori sostengono che le argomentazioni basate sulla radiazione cosmica di fondo sarebbero dipendenti dal modello assunto e che il modello potrebbe essere sbagliato, il che renderebbe invalide le argomentazioni stesse basate sulla radiazione cosmica di fondo.

«Credo che esista una possibilità di essere sviati e che l’apparente manifestazione dell’energia oscura sia una conseguenza di come vengono analizzati i dati nell’ambito di un modello teorico estremamente semplificato, che di fatto venne costruito negli anni ’30, cioè parecchio tempo prima che fossero disponibili molti più dati osservativi reali», fa notare Sarkar. «Un quadro teorico più sofisticato, che tenga conto del fatto che l’universo non sia esattamente omogeneo e che il suo contenuto di materia possa non comportarsi come un gas ideale, due assunzioni fondamentali della cosmologia standard, potrebbe tener conto di tutte le osservazioni senza richiedere la necessità di introdurre il concetto di energia oscura. Il vero problema è che l’energia del vuoto è qualcosa che ancora non comprendiamo con certezza».

Certo, sarà necessario un grande lavoro per convincere la comunità scientifica di tutto questo in quanto, secondo gli autori, il presente lavoro serve a dimostrare che un pilastro fondamentale del modello cosmologico standard risulterebbe piuttosto traballante. Ma per chiarire questi concetti e per fare il punto sui risultati ottenuti da Nielsen, Guffanti e Sarkar, Media INAF ha posto alcune domande a Massimo Della Valle, direttore dell’INAF – Osservatorio Astronomico di Capodimonte, già collaboratore di Saul Perlmutter sugli studi di supernove-1a ad alto redshift.

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La figura 2 di Nielsen et al. che mostra i contorni di confidenza nel piano ΩΛ-Ωm. Crediti: Nielsen et al. 2016

Dovremmo fare un passo indietro in relazione alla scoperta dell’espansione cosmica accelerata, cioè rivedere tutto e mettere in discussione il modello standard della cosmologia?

«Se dobbiamo fare un passo indietro non lo so, ma sicuramente non lo faremo sulla base di quanto riportato nel lavoro di Nielsen et al. che mettono in discussione non solo l’espansione accelerata dell’Universo, ma, implicitamente, anche il fatto di vivere in un universo caratterizzato da una geometria “piatta”, come misurato in passato dall’esperimento BOOMERANG e più recentemente  da Planck. L’analisi della figura 2 di Nielsen et al. rivela il punto critico delle loro conclusioni. Al termine della loro analisi statistica su un campione di oltre 700 supernove, gli autori trovano che i dati sono ‘consistenti’ entro ‘3 sigma’ con un universo in espansione costante, caratterizzato da Ωm ~0.1 e quindi ΩΛ ~0.05, che però sono valori incompatibili con Ωk = 0.000±0.005, il parametro di curvatura, corrispondente all’universo “piatto” misurato da Planck».

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La figura 3 di Nielsen et al. mostra (in alto) il confronto relativo al modulo di distanza, in funzione del redshift, misurato con il suo valore atteso di best fit nel caso di un universo in accelerazione e (ΛCDM) di un universo che si espande con velocità costante (Milne). Il pannello in basso mostra i residui relativi al modello di Milne. Crediti: Nielsen et al. 2016

Sarebbe, dunque, solo una questione di statistica, e perciò di un’analisi più dettagliata dei dati, che porterebbe gli autori a queste conclusioni?

«Si, direi che le loro conclusioni si basano su un’interpretazione puramente statistica dei dati, ma nel contempo gli autori perdono di vista il contesto cosmologico, a formare il quale hanno contribuito altre evidenze osservative (BAO e Galaxy clusters, per esempio). È quasi sicuro che le supernove-1a soffrano di effetti sistematici e che quindi non sia stato sufficiente aumentare il campione di supernove-1a per migliorare la precisione delle misure dei parametri cosmologici (la figura 3 di Nielsen et al. è emblematica, da questo punto di vista). Tuttavia, quando andiamo a considerare solo gli oggetti meglio osservati, specialmente includendo oggetti a redshift maggiori di 1, l’andamento mi sembra inequivocabile e l’espansione accelerata non sembra in discussione. Le parole del cosmologo inglese Martin Rees, a questo proposito, chiariscono in modo esemplare questo punto: “Storicamente le supernove hanno fornito la prima evidenza osservativa per un universo in espansione accelerata. Ma se l’ordine degli eventi fosse stato diverso, avremmo potuto predire l’accelerazione dell’espansione solamente sulla base del modello CDM e a questo punto le supernove avrebbero semplicemente fornito una conferma soddisfacente”».

Siamo sicuri, però, che le supernove-1a siano davvero “candele standard”?

«In realtà sono “candele” standardizzabili. Nell’universo locale il processo di “standardizzazione” delle supernove-1a funziona, e non si hanno indizi che facciano ritenere che lo stesso non accada a redshift più alti. Però, se vogliamo tornare ad una misura diretta dei parametri cosmologici, l’unico modo per circoscrivere e valutare l’azione degli errori sistematici è quello di cambiare la metodologia sperimentale fin qui adottata, basata, per l’appunto, sulle supernove-1a. In questo senso, l’utilizzo dei Gamma-Ray Bursts (GRB) per misurare Ωm, in modo indipendente dalle supernove-1a, è stato un passo importante. Sebbene la misura di Ωm ottenuta con i GRB sia ancora caratterizzata da barre d’errore molto grandi, il risultato ottenuto converge verso un valore di Ωm~ 0.3 e quindi confermerebbe il risultato trovato dalle supernove-1a nel 1998».

Secondo gli autori, dovremmo pensare a un quadro teorico più sofisticato che tenga conto di tutte le osservazioni senza richiedere la necessità di introdurre il concetto di energia oscura. Dunque, l’energia oscura sarebbe un falso problema?

«Al contrario, a me più che “falso” sembra “oscuro”, anzi uno dei problemi più enigmatici della moderna astrofisica. Nel lungo termine, come sottolineato da Nielsen et al. verso la fine del loro articolo, l’esperimento CODEX presso l’European Extremely Large Telescope (EELT) dovrebbe chiarire in modo definitivo il punto in discussione, misurando direttamente la variazione del tasso di espansione dell’universo (redshift-drift). Nel breve termine, invece, la scoperta di supernove-1a a grandi redshift (z=1.5-2) e la loro collocazione nel diagramma magnitudine-distanza potrebbe dare indicazioni molto interessanti sul tipo di espansione che caratterizza l’universo nel quale viviamo».


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