LEGAME FRA “BUBBLES” E SOVRADENSITÀ DI GALASSIE

L’unione fa la forza… galattica

Cos'ha reionizzato l’Universo? Prova a rispondere uno studio pubblicato su ApJ Letters da un team di scienziati guidato da Marco Castellano, dell’Osservatorio astronomico dell’INAF di Roma. Studio che individua il contributo al processo di ionizzazione da parte d’una struttura di galassie lontane

     24/02/2016
Un'impressione di artista del evoluzione del nostro universo, dal Big Bang (sulla sinistra) ai giorni nostri (sulla destra). L'evidenza suggerisce che il processo di ionizzazione sia stato innestato a partire da "bolle" irregolari prima di diventare trasparente alla luce, come lo è oggi. Crediti: NASA / CXC / M.Weiss

Un’impressione di artista dell’evoluzione del nostro universo, dal Big Bang (sulla sinistra) ai giorni nostri (sulla destra). L’evidenza suggerisce che il processo di ionizzazione sia stato innestato a partire da “bolle” irregolari prima di diventare trasparente alla luce, come lo è oggi. Crediti: NASA / CXC / M.Weiss

Durante il periodo di reionizzazione, seguito ai “secoli bui” del nostro Universo, l’idrogeno ha subito una trasformazione da uno stato neutro, che ha la caratteristica di essere opaco e di assorbire la radiazione più energetica, a uno stato ionizzato e trasparente alla radiazione. Ma qual è stata la fonte della radiazione che ha permesso l’innesto del processo di ionizzazione? Ci aiuta a capirlo uno studio pubblicato su ApJ Letters da un team di scienziati che vede come primo autore Marco Castellano, dell’Osservatorio Astronomico INAF di Roma, nel quale l’individuazione di una struttura di galassie lontane contribuisce allo studio di come il processo si ionizzazione si sia svolto.

Il processo di reionizzazione è avvenuto probabilmente tra 500 e 900 milioni di anni dopo il Big Bang: solo in una piccola quantità di galassie così antiche riusciamo a percepire la luce emessa nella riga Ly-alpha dell’idrogeno, che viene facilmente assorbita dalla grande quantità di idrogeno neutro ancora presente. Ma non è sempre così: se infatti attorno ad una galassia distante c’è una bolla di gas ionizzato, la radiazione riesce a “fuggire”, permettendoci di percepirla.

Questo è vero ad esempio per due galassie recentemente scoperte, vicine tra loro in una regione conosciuta come Bremer Deep Field e che osserviamo in un momento in cui l’Universo aveva meno di 800 milioni di anni. Il fatto che siamo in grado di vedere la radiazione della riga Ly-alpha dell’idrogeno emessa da queste galassie significa che esse si trovano in una regione nella quale l’idrogeno è ionizzato: presumibilmente una delle regioni nelle quali per prime è cominciato il processo di reionizzazione dell’universo.

Nessuna delle due galassie individuate sarebbe però stata in grado di generare una bolla di gas ionizzato di entità tale da permettere alla propria luce Ly-alpha di filtrare oltre la “nebbia” circostante di idrogeno primordiale neutro. È da questo presupposto che è partito lo studio realizzato dal team guidato da Castellano per indagare l’esistenza di altre galassie deboli, vicine alle due già individuate, che avrebbero contribuito alla reionizzazione della regione.

BDF-521 n BDF-3299 sono state le due galassie originariamente scoperte; i rimanenti indicatori rossi indicano le ulteriori sei galassie scoperti nella stessa regione. Crediti: Castellano et al. 2016

BDF-521 n BDF-3299 sono state le due galassie originariamente scoperte; i rimanenti indicatori rossi indicano le ulteriori sei galassie scoperti nella stessa regione. Crediti: Castellano et al. 2016

Il team di scienziati ha realizzato quindi una survey, grazie all’utilizzo del telescopio spaziale Hubble. L’intuizione ha dato i suoi frutti: vicino alle prime due galassie scoperte, sono state individuate altre 6 galassie deboli anch’esse a una analoga distanza da noi.

«Con queste osservazioni abbiamo dimostrato per la prima volta il legame tra la formazione delle prime regioni ionizzate (“bubbles”) e le sovradensità di galassie», spiega Marco Castellano a Media INAF. «I modelli teorici avevano da tempo previsto la possibilità di questa connessione: per questo motivo abbiamo chiesto di osservare con Hubble Space Telescope proprio quella zona di cielo dove la presenza di due galassie brillanti nella riga Lyman-alpha dell’idrogeno suggerisce che, a differenza di gran parte dell’Universo a quell’epoca, il mezzo intergalattico è ionizzato. I dati HST hanno mostrato che, proprio come previsto dai modelli, attorno alle due galassie brillanti si trovano più galassie deboli di quante ce ne saremmo aspettate, suggerendo dunque che siano proprio queste galassie deboli le responsabili della reionizzazione».

I risultati sembrano quindi supportare la teoria secondo la quale i primi fronti di reionizzazione dell’Universo si sarebbero formati in aree con una significativa densità di galassie deboli. Galassie che, unendo le loro forze, sono riuscite a “fare breccia” nella nebbia di idrogeno neutro circostante, innescando il processo che ha portato alla reionizzazione dell’universo.

Sulle prospettive aperte da questo studio Castellano aggiunge: «Questo primo risultato ci mostra quanto sia importante per lo studio dell’epoca di reionizzazione analizzare in dettaglio la connessione tra l’ambiente in cui si trovano le galassie e lo stato di ionizzazione del mezzo intergalattico. Nel prossimo futuro, il James Webb Space Telescope permetterà di studiare ancora più a fondo questa zona di cielo e altre simili, per definire il legame tra clustering e reionizzazione, prima ancora che osservazioni radio con SKA permettano di vedere la “topologia” stessa del mezzo intergalattico durante questo processo».

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