RICOSTRUITI A LHC GLI ALBORI DELL’UNIVERSO

ALICE naviga nel brodo primordiale

Grazie alle enormi energie sviluppate all’interno del rivelatore ALICE del Large Hadron Collider, è stato possibile ricostruire le condizioni in cui si trovava l’Universo nei primi istanti della sua vita e di studiarne le caratteristiche fisiche. Con i commenti di Paolo Giubellino e di Federico Antinori

     10/02/2016
Foto scattata al rivelatore di ALICE nel 2008. Crediti: CERN

Foto scattata al rivelatore di ALICE nel 2008. Crediti: CERN

Un team di ricercatori ha ricreato in laboratorio il brodo primordiale di cui era composto l’Universo. La ricostruzione è stata possibile grazie alla collisione ad altissima energia di atomi di piombo all’interno del Large Hadron Collider (LHC), presso il CERN di Ginevra, l’acceleratore di particelle lungo 27 km. Il cosiddetto brodo primordiale è un plasma di quark e gluoni, e i ricercatori sono riusciti a misurarne le proprietà con grande precisione. I risultati sono stati sottoposti alla rivista Physical Review Letters per la pubblicazione.

Pochi miliardesimi di secondo dopo il Big Bang, l’Universo era costituito da una specie di brodo estremamente caldo e denso, composto da particelle fondamentali, in particolare quark e gluoni. Facendo collidere nuclei di piombo all’energia record di 5.02 TeV dentro all’LHC di Ginevra, è stato possibile ricreare queste condizioni e misurarne le proprietà grazie al rivelatore dell’esperimento ALICE.

«L’analisi delle collisioni ha permesso di misurare con una precisione senza precedenti le caratteristiche di un plasma di quark e gluoni a un’energia mai raggiunta prima», spiega You Zhou, ricercatore post-doc nel gruppo di ricerca di ALICE presso il Neils Bohr Institute. Il team internazionale di cui fa parte You Zhou è riuscito a studiare il comportamento del plasma e le sue oscillazioni in seguito alla collisione dei nuclei di piombo.

«Nell’esperimento ALICE c’è una forte componente italiana, partecipano in tutto 16 gruppi, per circa 130 collaboratori in totale: si tratta del contingente più importante tra tutti i paesi partecipanti all’esperimento», sottolinea a Media INAF Federico Antinori, physics coordinator di ALICE. «È anche significativo il fatto che gli italiani ricoprano ruoli chiave di management: come spokesperson (Paolo Giubellino), physics coordinator e run coordinator (Federico Ronchetti). I dati presentati in questo lavoro sono stati raccolti a novembre scorso e questi sono solo i primi ad essere stati analizzati; hanno un’enorme valenza scientifica, ma riguardano un campione ristretto. Al momento ci sono svariati gruppi che stanno lavorando all’analisi del campione globale, ma siamo solo all’inizio e senza dubbio nei prossimi mesi arriveranno altri risultati interessanti».

Nell’analisi condotta, l’attenzione si è concentrata sulle proprietà collettive del plasma di quark e gluoni, che ha mostrato di comportarsi più come un liquido che come un gas, anche alle energie più alte. Le misure effettuate, che fanno uso di nuovi metodi per studiare la correlazione tra grandi numeri di particelle, permettono di determinare la viscosità di questo peculiare fluido con grande precisione.

La figura simula la formazione di una piccola goccia allungata di plasma di quark e gluoni in seguito alla collisione tra due nuclei atomici. La distribuzione angolare delle particelle emesse permette di determinare le proprietà fisiche del plasma. Crediti: State University di New York

La figura simula la formazione di una piccola goccia allungata di plasma di quark e gluoni in seguito alla collisione tra due nuclei atomici. La distribuzione angolare delle particelle emesse permette di determinare le proprietà fisiche del plasma. Crediti: State University di New York

La tecnica sperimentale è molto avanzata e si basa sul fatto che, quando due nuclei atomici di forma sferica vengono sparati uno contro l’altro e collidono in maniera non perfettamente simmetrica, si forma un plasma di quark e gluoni di forma leggermente allungata, come un pallone da football. Questo significa che il valore della pressione varia in modo significativo tra il centro e la superficie di questa “goccia” di materiale ad alte temperature. La differenza di pressione innesca l’espansione e il flusso, di conseguenza è possibile misurare una variazione del numero di particelle prodotte nelle collisioni in funzione dell’angolo.

«È notevole il fatto che siamo in grado di effettuare misurazioni così dettagliate su una “goccia” di universo primordiale, che ha un raggio di appena un milionesimo di miliardesimo di metro. I risultati sono coerenti con le leggi fisiche dell’idrodinamica, la teoria che studia il moto dei liquidi, e mostrano che il plasma di quark e gluoni si comporta come un fluido. Si tratta comunque si un fluido molto speciale, poiché non è costituito da molecole come l’acqua, bensì da particelle fondamentali», spiega Jens Jørgen Gaardhøje, a capo del team ALICE presso il Niels Bohr Institute dell’Università di Copenaghen.

«Lo studio del comportamento idrodinamico di un sistema nucleare ad alta densità è uno degli ambiti di ricerca più importanti di cui si occupa il CERN», commenta a Media INAF Paolo Giubellino, membro del team ALICE presso il CERN. «Infatti l’articolo in cui viene riportata la prima misura di questo tipo è quello con più citazioni di tutto il programma LHC, escludendo quello sul bosone di Higgs. Il tema è molto importante e negli anni abbiamo dedicato molte energie a migliorare la qualità della misura e a immaginare modi innovativi per studiare questi fenomeni.

«Il punto fondamentale è che con le collisioni ad altissima energia si genera, per compressione e riscaldamento, una gocciolina di materia che ha le stesse proprietà dell’Universo primordiale: una “zuppa” uniforme di quark e gluoni che si è poi raffreddata a formare particelle elementari come neutroni e protoni. La transizione da un plasma indistinto ai quark legati è una fase fondamentale nell’evoluzione dell’Universo, e conoscere le caratteristiche fisiche di quel plasma primordiale ci permette di fare previsioni importanti», osserva Giubellino. «Una delle cose che vorremmo capire è come si siano formate le strutture su larga scala dell’Universo, e se sia possibile in futuro conoscere le origini di queste strutture in termini di qualcosa successo subito dopo il Big Bang. Se il plasma primordiale si fosse rivelato viscoso, il legame con la struttura a larga scala non potrebbe esistere, poiché un fluido viscoso non mantiene memoria delle condizioni iniziali. Il fatto di aver misurato valori bassissimi di viscosità, e che quindi questo sistema si comporti come un superfluido, ci rafforza e ci spinge a proseguire in questo ambito di ricerca».