NON CI SONO PIÙ I GIORNI DI UNA VOLTA

Quel secondo di troppo

Martedì 30 giugno durerà 86401 secondi, uno più del solito. Un artificio che si rende periodicamente necessario per compensare il rallentamento della rotazione terrestre. Monia Negusini (INAF): «Lo calcoliamo osservando le quasar con la tecnica VLBI»

     29/06/2015
Il radiotelescopio INAF di Medicina (BO). Insieme a quello di Noto, sempre dell'INAF, e a quello di Matera dell'ASI, fa parte della rete VLBI globale. Pur non partecipando direttamente al calcolo di UT1, le antenne italiane contribuiscono alla stima dei paramentri di orientazione terrestre sul lungo periodo. Crediti: INAF/R. Cerisola

Il radiotelescopio INAF di Medicina (BO). Insieme a quello di Noto, sempre dell’INAF, e a quello di Matera dell’ASI, fa parte della rete VLBI globale. Pur non partecipando direttamente al calcolo di UT1, le antenne italiane contribuiscono alla stima dei paramentri di orientazione terrestre sul lungo periodo. Crediti: INAF/R. Cerisola

Quanti secondi ci sono in un giorno? 86400, dite? Sbagliato. Domani, per esempio, ce ne saranno 86401. E non si tratta d’un evento straordinario: è più o meno dal 1820, fa sapere la NASA, che la durata del giorno ha infranto la barriera degli 86400 secondi. La colpa non è degli orologi che corrono più in fretta, bensì del nostro pianeta che arranca: per effetto d’una sorta di “tiro alla fune” gravitazionale con il Sole e con la Luna, la Terra ruota su se stessa sempre più lentamente. Di quanto? Rispetto a due secoli fa, per fare un giro completo impiega in media due millisecondi in più. Non è poco: accumulandosi giorno dopo giorno, fanno quasi un secondo all’anno. Quello, appunto, che occorre artificiosamente aggiungere per non perdere il ritmo degli orologi atomici, e mantenere allineati i due clock che segnano il trascorrere del nostro tempo.

Quali sono, questi due clock? Uno è appunto quello cadenzato dalle transizioni elettromagnetiche negli atomi di cesio degli orologi atomici: proprio come il Rockoccodrillo di Edoardo Bennato, il suo “strano ticchettio” non sgarra mai – o quasi: sbaglia al massimo d’un secondo ogni milione e mezzo di anni circa – ed è detto tempo coordinato universale. In inglese, UTC.

Poi però c’è anche l’UT1, il tempo universale, ritmato questa volta dal moto della Terra: ogni giro completo su se stessa segna il trascorrere d’un giorno. Ma come si misura con precisione “un giro completo”? Dal micromondo degli orbitali atomici, occorre passare al macromondo dei riferimenti cosmici, e affidarsi a una tecnica astronomica nota come “Interferometria a lunghissima base”, in inglese VLBI. «Il VLBI è in grado di evidenziare le variazioni a breve e a lungo termine della rotazione terrestre, e di conseguenza della lunghezza del giorno», spiega Monia Negusini, ricercatrice all’INAF IRA di Bologna ed esperta di geodesia spaziale, «utilizzando una rete di radiotelescopi che osservano sorgenti extragalattiche estremamente luminose, le quasar, che costituiscono i punti di riferimento del sistema celeste, essendo lontanissime dalla Terra e praticamente ferme rispetto a essa. I telescopi sono sparsi sulla superficie terrestre e sono in grado di osservare il ritardo con cui lo stesso segnale radio viene ricevuto da una stazione rispetto alle altre, stazioni che distano dalle centinaia alle migliaia di chilometri tra loro. Gli scienziati utilizzano queste piccole differenze per calcolare in maniera molto precisa la posizione delle stazioni, la velocità della Terra e la sua orientazione nello spazio».

In un mondo ideale – a rotazione costante, diciamo – UTC e UT1 dovrebbero andare di pari passo. In realtà non è così: i calcoli basati sui dati VLBI ci dicono che l’UT1 perde colpi. Ecco allora che si presenta la necessità, di tanto in tanto, di riallinearli. Lo scarto massimo consentito fra i due, stabilito dall’International Earth Rotation and Reference Systems Service, è di 9 decimi di secondo. Ogni volta che sta per essere superato, si corregge l’UTC aggiungendovi un secondo fittizio. In pratica, fermando per un secondo (il cosiddetto leap second) gli orologi di riferimento, si fa sì che un giorno – il 31 dicembre o, come accadrà domani, il 30 giugno – duri, appunto, 86401 secondi.

A rendere tutto ciò ancor più difficoltoso è però un altro aspetto, ovvero l’imprevedibilità. Perché se è vero che la Terra sta rallentando, la variazione non è affatto regolare. A influenzarla non c’è solo il “tiro alla fune” gravitazionale al quale accennavamo prima, ma anche fenomeni quanto mai caotici quali i cambiamenti atmosferici o stagionali, i mutamenti dovuti alle dinamiche del nucleo terrestre, agli oceani, allo scioglimento dei ghiacci, ai terremoti, alle eruzioni vulcaniche… ci si mette persino El Niño, in grado d’aumentare, lui solo, la durata del giorno d’un millisecondo. Insomma, l’aggiunta di un secondo non è un’operazione che si possa pianificare con largo anticipo. Per esempio, negli ultimi anni s’è resa necessaria un numero di volte stranamente basso: quella di domani è solo la quarta dal 2000 a oggi. Come se la Terra stesse rallentando più lentamente. E nessuno ha ancora capito esattamente il perché.