LA TERZA DIMENSIONE NON SERVE PIÙ

E se l’universo fosse un ologramma?

Per descrivere l’universo potrebbero bastare anche meno dimensioni di quante avremmo mai potuto pensare, e non si tratta di una freddura da matematici: nuovi calcoli dimostrano che si tratta di caratteristiche fondamentali dello spazio stesso

     28/04/2015
Crediti: TU Wien.

Crediti: TU Wien.

Lunghezza, larghezza, altezza. A prima vista non sembrano poterci essere dubbi: la realtà che abitiamo è tridimensionale. Eppure una delle teorie più chiacchierate in fisica negli ultimi anni sembra mettere in discussione anche questo assunto consolidato. Il cosiddetto principio olografico afferma che una descrizione matematica dell’universo potrebbe tranquillamente fare a meno di una delle dimensioni previste. Quello che noi percepiamo come tridimensionale potrebbe essere nient’altro che un trucco: un ologramma 3D su un enorme orizzonte cosmico 2D.

E se fino a ieri idee del genere erano considerate quantomeno esotiche, diventano credibili oggi grazie ai risultati ottenuti dagli scienziati della Vienna University of Technology (TU Wien): il principio olografico vale anche in uno spaziotempo piatto.

Tutti conosciamo gli ologrammi delle banconote o delle carte di credito. Sono oggetti bidimensionali, che pur tuttavia si presentano ai nostri occhi con le caratteristiche della tridimensionalità. L’universo che abitiamo potrebbe comportarsi in maniera non dissimile dagli ologrammi: il team di ricerca di Daniel Grumiller, della TU Wien, ha lavorato a questa idea per tre anni consecutivi collaborando con le università di Edimburgo, Harvard, IISER Pune, Kyoto e il MIT. I risultati sono appena stati pubblicati sulla rivista Physical Review Letters e confermano la validità del principio di corrispondenza in un universo piatto.

«Se la gravità quantistica in un universo piatto ci consente di avere una descrizione olografica a partire dalla teoria quantistica standard, allora ci devono essere grandezze fisiche calcolabili in entrambe le teorie, e i risultati devono combaciare», spiega Grumiller. Ed è soprattutto una caratteristica fondamentale della meccanica quantistica – l’entanglement – a dover apparire nella teoria gravitazionale (ne abbiamo parlato approfonditamente su MediaINAF).

Semplificando brutalmente, il fenomeno dell’entanglement quantistico sarebbe una rappresentazione nell’universo a 3D (senza dunque considerare la gravità) di quello che sono i wormholes in un universo a 4D (con la gravità). Insomma, il cunicolo spazio-temporale che unisce una coppia di buchi neri situati agli estremi opposti dell’universo e l’ineffabile stringa che vincola in modo indissolubile le proprietà esibite da una coppia di particelle elementari non sarebbero altro che due facce della stessa medaglia. Una visione, val la pena osservare, che entrerebbe a gamba tesa nell’annosa querelle fra meccanica quantistica e relatività generale.

Grumiller, con l’aiuto di Arjun Bagchi, Rudranil Basu e Max Riegler, è riuscito a dimostrare che l’entropia di entanglement assume lo stesso valore per la gravità quantistica “piatta” e per la teoria quantistica dei campi a dimensioni ridotte.

«I nostri calcoli confermano l’ipotesi che il principio olografico può essere realizzato anche su spazi piatti», dice Riegler della TU Wien. Questa scoperta non dimostra che stiamo davvero vivendo in un ologramma. Ma a quanto pare ci sono sempre più elementi a sostegno di una validità del principio di corrispondenza nel nostro universo.